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Porridge

Creato il 15 aprile 2010 da Renzomazzetti

PORRIDGECara Kitty, forse ti divertirai a sentire (io per niente) che cosa c’è da mangiare oggi. In questo istante, visto che di sotto c’è la donna delle pulizie seduta dai Van Daan al tavolo con la tela cerata e mi copro la bocca e il naso con un fazzoletto imbevuto di buon profumo dei tempi prima che ci nascondessimo, ma così non ci capisci niente, sarà meglio cominciare dal principio. Dato che i nostri fornitori di tessere sono stati beccati, tranne le cinque carte annonarie non abbiamo né tessere né grassi. Visto che Miep e Kleiman sono di nuovo ammalati, Bep non riesce a fare le spese, e visto che tutti sono sconsolati, anche la qualità del cibo ne risente. A partire da domani non abbiamo un briciolo di grasso, né burro né margarina. Non faremo più colazione a base di patate al forno (per risparmiare il pane) ma con il porridge (pappa d’avena), e poiché la signora teme che che si muoia di fame abbiamo comperato apposta latte intero. Oggi per pranzo ci sono i crauti del barilotto, alla maniera contadina. Per questo la misura preventiva del fazzoletto. E’ incredibile quanto possano puzzare i crauti, che probabilmente si trovano in quel barile da un paio d’anni! Qui nella stanza c’è un odore di prugne marce, di un forte conservante e di uova marce. Mah, mi vien male al solo pensiero di dover mangiare quella roba! E come se non bastasse le nostre patate hanno preso una serie di malattie stranissime, tanto che di due secchi di pommes de terre uno intero va a finire nella stufa. Ci divertiamo a cercare di capire le diverse malattie e siamo giunti alla conclusione che si tratta di volta in volta di cancro, varicella o morbillo. Eh, sì, non è affatto piacevole doversene stare nascosti durante il quarto anno di guerra. Se solo questa maledetta guerra finisse! In realtà il cibo non m’importerebbe tanto, se qui ci fosse qualcos’altro di un po’ più gradevole. Ecco il busillis: questa vita triste comincia a renderci tutti noiosi. Di seguito, l’opinione di cinque adulti dell’Alloggio segreto riguardo alla situazione attuale (i figli non possono avere opinioni, per questa volta mi sono attenuta alla regola). Signora Van Daan: La carica di principessa della cucina da tempo ormai non mi va più. Starsene con le mani in mano è noioso. Così sono tornata a far da mangiare, lo stesso devo lamentarmi: cucinare senza grassi è impossibile, tutti quegli odorini mi danno il voltastomaco. In cambio delle mie fatiche non ricevo altro che ingratitudine e proteste, sono sempre la pecora nera, la colpa è sempre mia. Del resto mi pare che la guerra non stia facendo progressi, alla fine vinceranno ancora i tedeschi. Ho una paura tremenda che moriremo di fame, e quando sono di cattivo umore attacco briga con tutti. Signor Van Daan: Devo fumare, fumare e ancora fumare, poi viene il mangiare e poi la politica. L’umore di Kerli non è poi cosi grave. Herly è una donna simpatica. Se non avrò da fumare mi ammalerò, poi ho bisogno di carne, poi viviamo troppo male tutto non è buono abbastanza e di certo si sta preparando una lite tremenda. La mia Kerly è una donna spaventosamente stupida. Signora Feank: Il mangiare non è molto importante, ma vorrei tanto una fettina di pane di segale integrale, perché ho una fame nera. Se fossi al posto della signora Van Daan avrei già fatto smettere di fumare Van Daan da un bel pezzo. Ma adesso avrei bisogno di una sigaretta perché mi sento confusa. I Van Daan sono gente tremenda; gli inglesi commettono molti errori, ma la guerra continua, devo ringraziare il cielo di non essere in polonia. Signor Frank: E’ tutto a posto, non ho bisogno di niente. Stiamocene tranquilli,che tanto di tempo ne abbiamo. Datemi le mie patate e me ne starò zitto. Posso mettere da parte qualcosa della mia razione per Bep, Con la politica va benissimo, sono ottimista. Signor Dussel: Io devo andare a fare il mio lavoro, finire tutto in tempo. La situazione politica è perfettissima, assolutamente escluso che ci prendano. Io, io, io…!

Tua Anne Martedì 14 marzo 1944. -Diario, Einaudi-

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PORRIDGE

APRILE

Che più d’un giorno è la vita mortale?

Nubil’e brev’e freddo e pien di noia,

che po bella parer ma nulla vale.

PETRARCA, Triumphus Temporis

I brivido invernale e il dubbio cielo

e i nembi oscuri che al novello amore

han fatto schermo della terra antica

dispersi a un tratto, al sol ride la terra

che d’erbe e fiori ancor s’è ricoperta

-se pur il ciel di nubi ancora svarii,

onde occhieggian le stelle nelle notti,

e nere fra il lor vario scintillare

traggan le lunghe dita pel sereno

che al piano oscuro ed ai profili neri

degli alberi dei monti si congiungono.

Ma nel cielo e nel piano, ma nell’aria,

ma nello sguardo della tua compagna

e nel pallido viso,

ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca

canta ciò che non sai: la primavera.

Così mi tragge a me stesso diverso

e amor m’induce e desiderio, ancora

ch’io non sappia per che, pur fiduciosi.

Ché pur in me natura si nasconde

insidiosa e ignaro me sospinge.

Ahi, che mi vale, se pur fugge l’ora

e mi toglie da me sì ch’io non possa

saziar la mia fame ora qui tutta?

Ma solo e miserabile mi struggo

lontano e solo, anco s’a te vicino

parlo ed ascolto, o mia sola compagna.

Mentre tra le dita delle nubi

a che occhieggian le stelle nel sereno?

Già trapassa la notte e nuove fiamme

leverà il sole ch’ei rispenga tosto:

passano i giorni e già qui ‘l verno

e il sol sorgendo pallido e incurante

farà fiorire il fango per le strade.

A che occhieggian le stelle nel sereno?

Qui bulica la terra e qui si muore,

cantano i galli e stridon le civette.

O gioia del novello nascimento,

o nuovo amore e antico!

PORRIDGE

O vita, chi ti vive e chi ti gode

che per te nasce e vive ed ama e muore?

Ma ogni cosa sospingi senza posa

che la tua fame tiene, e che nel vario

desiderar continua si trasmuta.

Di sé ignara e del mondo desiosa

si volge a questo e a quello che nemico

le amica il vicendevole disio,

nemica a quelli pur quando li ami

e ancora a sé per di più voler nemica.

Così nel giorno grigio si continua

ogni cosa che nasce moritura,

che in vari aspetti pur la vita tiene-

ed il tempo travolge- e mentre viva

vivendo muor la diuturna morte.

Ed ancor io così perennemente

e vivo e mi tramuto e mi dissolvo

e mentre assisto al mio dissolvimento

ad ogni istante soffro la mia morte.

E così attendo la mia primavera

una ed intera ed una gioia e un sole.

Voglio e non posso e spero senza fede.

Ahi, non c’è sole a romper questa nebbia,

ma senza fine e senza mutamento

sta in ogni tempo intero ed infinito

l’indifferente tramutar del tutto.

Pur tu permani, o morte, e tu m’attendi

o sano o tristo, ferma ed immutata,

morte benevolo porto sicuro.

Che ai vivi morti quando pur sia vano

quanto la vita il pallido tuo aspetto

e se morir non sia che continuar

la nebbia maledetta

e l’affanno agli schiavi della vita-

-purché alla mia pupilla questa luce

che pur guarda la tenebra si spenga

e più non sappia questo ch’ora soffro

vano tormento senza via né speme,

tu mi sei cara mille volte, o morte,

che il sonno verserai senza risveglio

su quest’occhio che sa di non vedere,

sì che l’oscurità per me sia spenta.

Notte 16-17 aprile 1910

-CARLO MICHELSTAEDTER-

 


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