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Precari tra presente e futuro

Creato il 28 gennaio 2013 da Webnewsman @lenews1

Scritto da Cristian

Precari tra presente e futuro

Una generazione nata nel benessere ed entrata nell’era di internet e delle connessioni globali. Una generazione i cui padri, i baby boomer, nati tra il 1945 ed il 1964 nei paesi  che evidenziarono un grande incremento nelle nascite ed entrati nel mercato del lavoro nel periodo della ricostruzione e della crescita economica.

Già questi dati, da soli, potrebbero risultare sufficienti a descrivere un “trand generazionale” in continua espansione ed arricchimento di competenze e  di sviluppo.

Ma non è così come la storia sta dimostrando. Cresce, a livello mondiale, la disoccupazione generata dalla più grande crisi finanziaria dal 1929 ad oggi.

L'Organizzazione Internazionale del Lavoro analizza la disoccupazione mondiale e conclude che non solo la stessa nel 2012 è tornata ad aumentare ma si prevede un ulteriore rialzo nel 2013. Per il Direttore Generale dell’ILO, Guy Ryder, il quadro economico incerto e l’inadeguatezza delle politiche adottate per affrontarlo hanno frenato gli investimenti e le assunzioni.

Il dato, tuttavia, che desta maggiore preoccupazione è legato alla disoccupazione dei giovani nel mondo, attestata al 12.6% e destinata ad aumentare investendo ad oggi 74 mln. di persone.

Non viviamo in una fase successiva ad una grande guerra e questo genera la mancanza di un programma di ricostruzione del tessuto sociale ed economico improntato su investimenti ingenti e strutturali piani di riqualificazione e di sviluppo.

Pare un paradosso poter pensare ad uno scenario apocalittico, quale quello equiparabile alla fase post – bellica, per ridisegnare la speranza nel  futuro.

Eppure l’evidenza sembra prospettare una situazione di inerzia nel campo delle riforme delle politiche sul lavoro tale da generare anche una paralisi di intenti.

Si parla di conflitto generazionale tra gli iper garantiti ed i precari a tempo indeterminato.

Si accusano le generazioni passate di aver costruito un Paese, l’Italia,  che oggi versa in queste condizioni.

La  spesa pubblica fuori controllo garantiva prestazioni di welfare che non ci si poteva permettere  di mantenere a lungo. Sono stati garantiti troppi posti di lavoro pubblici e sono stati mantenuti privilegi insostenibili nei luoghi di lavoro, creando un mercato bloccato e chiuso in cui oggi esistono da un lato coloro che vivono chiusi nella loro fortezza e dall’altro coloro che ne sono tenuti orgogliosamente  fuori.

Resta troppo poco alle nuove generazioni, in termini di risorse e di tempo, per creare una controffensiva sociale, civile ma efficace, per ridare voce alla parola della speranza.

Non deve essere una resa come spesso lo è scegliere l’esilio all’estero dove esprimere le proprie risorse o, peggio, accettare un lavoro miserevole, che spesso tuttavia nel proprio paese non si trova, pur di dare alla propria esistenza un senso minimamente decente.

Nonostante l’angosciante evidenza di fragilità diffusa, si ripropone un paradigma che fa irrigidire molti attraverso lo slogan meno ai padri più ai figli, perché considerato ideologizzante e privo di fondamento equitativo.

E’ pur vero che le tecniche di sfruttamento del lavoro hanno investito in questi anni anche i lavoratori “maturi” successivamente espulsi dal mercato e privi di ogni tutela fondativa della cittadinanza sociale e politica.

Tuttavia, guardando con uno sguardo, forse a tratti  romantico, alla differenza generazionale, verrebbe da pensare che a stare e peggio è chi una vita non ha nemmeno potuto iniziare a sognarla.

Lo scontro generazionale l’ha creato ed ha contribuito ad alimentarlo chi aveva ogni interesse a invadere il terreno sociale con gli effetti scaturiti da riforme politiche sterili, confuse se non totalmente assenti.

Chi ne ha subito i devastanti esiti non ha trovato in se stesso e nei propri coetanei le idee ed il coraggio per reagire contrapponendo l’orgoglio della propria esistenza ad una non esistenza scritta nella storia.

Cristian Curella


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