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Premiazione Primo Premio Letterario Psises.

Da Elisabettaricco

Premiazione Primo Premio Letterario Psises.Il giorno 15.12.2012 si è tenuta presso il nuovo Centro Correggio Art Home in Via Borgovecchio 39, la cerimonia di premiazione del Primo Premio Letterario di Psises.

1° classificato – Ex Equo -  PAOLA LUSVARDI con “Due giornate speciali” e  SILVIA LUSVARDI con “La separazione”.

2° classificato – (non previsto in caso di ex-equo al primo posto)

3° classificato – TEODORO LORENZO con “La lanciatrice sulla Luna”

Eccon l’estratto dalle opere vincenti per come presentato durante la Premiazione.

… un racconto interessante, commovente. Due parti che raccontano due giornate speciali, che trovano una fine comune.

Negli ultimi tempi entrare qui mi dà sempre più, un senso di angoscia profondo, tangibile, all’altezza dello stomaco. Un odore nauseante di morte. In fondo è Lei che vengo a trovare distesa sul tuo letto. La Morte, pronta a prenderti. So che è vicina come so che Virginia sta per nascere.

Devo percorrere tre piani di scale ripide e dissestate per giungere al tuo capezzale. Ogni piano una sosta, per riprendere fiato: la mia piccola è al sicuro nel mio grembo ma ormai a termine, si fa sentire sulle gambe e sulla schiena.

 La prima parte parla di morte, quella di una nonna, salutata dalla nipote che vive un momento speciale della sua vita: l’arrivo del primo figlio. E’ emozionante il distacco dalla nonna simbolo dell’albero genialogico a cui appartiene e a cui affondano le sue radici.

Tu sei la mia memoria, il mio passato, la fonte della mia forza di oggi. Da te ho imparato ad alzarmi dopo le cadute, a perseverare. Mentre non sono riuscita a imparare, a trovare sempre il lato bello delle cose come fai tu, ad avere ricordi positivi e amore, anche per chi forse non lo merita… La tua vita è stata dura, il lavoro ti ha piegato fisicamente e moralmente, ma tu da sola, hai affrontato ogni cosa.

Adesso non sei sola, sono qui con te, con mia sorella e i nostri mariti… Ti sono sempre piaciuti!

Ora un sospiro faticoso ti esce dal petto… ti contrai. Poi ti abbandoni di nuovo. Ogni istante sembra l’ultimo, ma ancora non lo è.

Aiuto… ho paura! Non lasciarmi! Non adesso! Devi vedere la mia piccola. Manca poco alla sua nascita.

 I tempi della vita non li decidiamo noi. Vorrebbe far vedere la bimba alla nonna, ma la morte arriva.

Ci guardi un ultima volta, con i tuoi occhi verdi, dolci e sapienti di un sapere di tanti decenni! Di fame, di guerra, di amore per chi è con te e per chi, con te, è stato un tempo. È come se ora, tu potessi riposare veramente.

Adesso li chiudi e ci saluti per sempre.

Tutto sembra improvvisamente immobile, fermo. C’è un forte silenzio. La finestra è aperta e qualche nuvola solca il cielo come se anche lassù ci fosse tristezza per te.

Mi chiedo se è vero, e lo domando agli altri… <<E’ morta?>> E’ così che si muore? Non l’avevo mai visto prima. Non ti sei scomposta eri tranquilla decisa. E ora che faccio? Chi lo dice a tuo figlio? Un velo di solitudine mi attraversa e comincio a piangere a dirotto di un pianto liberatorio.

 Ed ecco la nascita della bimba, siamo nella seconda parte dello scritto.

Proprio ieri sera la luna era grande, lattiginosa e tonda… proprio ieri ho abbassato lo sguardo di fronte alla sua luce pensando a te… Un brivido mi ha attraversato la schiena. E un nodo mi si è stretto alla gola: <<Forse ci siamo…>> E poi <<Ma no! E’ ancora presto! Mancano dieci giorni!>>

E all’alba ti sei fatta sentire con la tua forza, la tua vitalità. Ho detto a mio marito di andare tranquillamente al lavoro e che lo avrei aspettato. Ma non ero io a decidere!

Ho subito cercato di dominare la situazione, come spesso mi accade nei momenti difficili. Mi ripetevo le parole dell’ostetrica del corso pre-parto, mentre preparavo una borsa da portare con me, è tutto normale, non succede nulla… Si partorisce anche in casa e da sole! Non è una malattia… Ora provo con respiri profondi a concentrarmi a parlarti…

Ma ben presto prendi il sopravvento. Dopo un paio d’ore da sola tra dolori, con momenti più impegnativi chiamo mia sorella… Mi potrà sostenere e fare compagnia! Non si sa mai!

… ancora frammenti dell’attesa e poi la VITA. La nascita della figlia diviene simbolo di continuità tra generazioni.

Al massimo della mia vulnerabilità, un’altra onda di dolore: ora basta!

Sono diventata un animale feroce che è stato ferito e vuole togliersi di dosso la causa del suo male. Voglio vederti! Ora basta questa è l’ultima.

Un grido esce dal mio petto, i miei pugni sono stretti!

Arriva la stessa sensazione vissuta prima e poi sempre respinta. Ora non la rifuggo la voglio vivere fino in fondo! Voglio che il dolore mi attraversi e che dia i suoi frutti. Ancora pochi istanti… sei lì, ti sento! Ci siamo quasi, siamo oltre la cima della montagna…. Tra poco ti vedrò e ti sentirò.

Eccoti V (il nome della figlia)! Sei qui tra le mie braccia stanche ma forti per te.

Sei piccola ma grande nel mio cuore.

Vita e morte. Thanatos ed Eros, La morte e la vita, non si incontrano nella realtà, ma si incontrano nello scritto di Paola Lusvardi che invito sul palco a ritirare il premio.

Premiazione Primo Premio Letterario Psises.

 

Continuiamo con le premiazioni…

… E’ la storia di una separazione. Ci troviamo spesso in studio a confrontarci con situazioni di coppie che decidono di separarsi. In questa storia tutto è più difficile, amplificato dal dolore…

È stata proprio lei, la sua ragazza, a chiedergli di tagliarle i capelli, di “rasarla” per essere precisi; è stufa di perderli tutto il giorno, ha detto. E lui ha preso il rasoio elettrico, con cui solitamente rifila la propria barba, e reclinando la testolina sul lavandino del bagno l’ha rasata.

Gli occhi inespressivi ma velati di lacrime.

Quando ci sono grandi dolori ogni cosa viene descritta e percepita al rallentatore nei minimi particolari. Le emozioni diventano profonde e tirano fuori nuclei essenziali dell’individuo. All’interno del nucleo familiare non si distingue il malato. Ognuno fa a gara ad esserlo di più, ognuno a suo modo tenta di reagire alla malattia. Il padre taglia i capelli alla figlia che li perde per la chemioterapia E ancora poco dopo rivolto alla moglie.

<< E quando glielo diciamo? >> chiede alla moglie con un tono di voce spezzato, lieve nel volume ma colmo di timore.

<< Non lo so! Siccome l’hai voluta TU la separazione glielo dici TU! >>.

Una separazione durante la malattia di una delle tre figlie. Un padre emarginato fin dalla nascita della figlia all’interno della propria famiglia vive le emozioni a distanza e non partecipa in modo corporeo a questa vita.

Lui soffoca; ha abbandonato da qualche tempo l’illusione che un fatto così grave come avere una figlia malata possa, in un qualche modo, osmosi forse, sanare un amore finito. Lo sperava ardentemente e per qualche tempo dopo la diagnosi era così; sua moglie era talmente disperata e bisognosa di conforto che non aveva possibilità di odiarlo, troppo intenta a sopravvivere a quel dolore e alle colpe, spontaneamente assegnate a sé stessa per averla partorita in un mondo di tali sofferenze .

I luoghi della malattia…

Nel reparto l’aria è calda, l’ambiente accogliente, eppure lui percepisce la nausea anche poco prima di entrare dalla solita porta; una volta aperta l’odore di disinfettante irrompe nelle sue narici, il suono delle pompe ad infusione lo assorda, vedere gli altri degenti, coi loro genitori, lo spaventa: bambini calvi giocano al fianco delle loro flebo. Tutti hanno lo sguardo perso, infranto.

 L’aiuto psicologico.

La psicologa si protende verso sua moglie ed appoggia una manina sulla sua.

<< Coraggio, sono qui per questo! >>

Lui le guarda estraneo, a stento percepisce il proprio corpo.

<< E lei vuole aggiungere qualcosa? >> chiede in tono perfettamente gentile ed invitante la psicologa rivolgendosi a lui che in tutto questo tempo non si è nemmeno mosso. La posa marmorea dovrebbe già bastare a rispondere a questa domanda. Il cuore aumenta notevolmente il ritmo che scandisce la sua vita organica.

<< Io… penso che mia moglie abbia centrato il punto… >> replica timidamente, lo sguardo rivolto in basso, le mani congiunte sulle proprie cosce; il suo pensiero cerca invano una via di fuga.

La dottoressa accenna un piccolo sorriso e torna nella postura precedente mentre la moglie apre l’immensa borsa da cui estrae un fazzoletto. Ha già gli occhi colmi di lacrime.

<< Non abbia timore signora, io comprendo le sue difficoltà. Il pianto è una manifestazione di emozioni, si senta libera di esprimersi! >> la rassicura con voce dolce e materna e lei reagisce con un singhiozzo più forte ma che subito reprime ristabilendo velocemente un atteggiamento neutrale.

<< Cosa secondo voi può aiutare vostra figlia? In fondo la conoscete bene e sicuramente vi siete già trovati nelle condizioni di assisterla… anche se le malattie avute in passato non sono paragonabili a ciò che state vivendo ora…>>.

 Il tragico momento del comunicare ai figli la sua decisione.

Da tre giorni sua figlia ha terminato il penultimo ciclo di terapia e hanno dormito tutti meno del solito per i risvegli notturni necessari a somministrarle antidolorifici. Nonostante ciò sua moglie ha preparato un bel pranzetto, richiesto espressamente dalla figlia che quel giorno ha insolitamente appetito.

Pranzano tutti insieme nel salotto in genere riservato alle occasioni speciali. Forse la madre vuole celebrare le voglie gastronomiche della figlia, pensa. Lui si insospettisce ma cerca comunque di essere razionale e considerare il fatto come una semplice casualità.

Il suo stomaco si sazia, la sua mente si ingozza di paura.

<< Ragazze >> esordisce rivolgendosi alle figlie << devo dirvi una cosa. >> loro lo guardano intensamente, una traccia di terrore solca i loro occhi; non sanno cosa aspettarsi. Sperano solo non sia una tragica notizia da addizionare a ciò che già sperimentano da mesi.

<< Io e la mamma ci separiamo. >> conclude con fermezza.

Premiazione Primo Premio Letterario Psises.

E con immenso piacere che invito sul palco a ritirare il premio la dott.ssa Silvia Lusvardi autrice di questo meraviglioso racconto. Una storia di sofferenza, per la sofferenza.

 

Ed infine il terzo classificato.

… parla di una ragazza con una piccola malformazione che le ha segnato la vita. E’ una ragazza che trova nello sport, nel lancio del disco l’unica motivazione alla vita.

Non le era mai piaciuta la discoteca.

Non amava quella caverna, a metà tra rifugio di guerra e baraccone delle meraviglie di un luna-park, quel buio sotterraneo rotto da vampate di luce multicolore , quella musica prodotta in serie, un disco dopo l’altro, un disco dentro l’altro, musica violentata fino a diventare rumore, amplificato e assordante.

Non amava quella confusione; il forzato contatto con gli altri , quel continuo e obbligato sfregarsi, strusciarsi, toccarsi, scusa permesso, quegli odori che invadono le narici, zaffate nauseanti di profumo, colonia deodorante dopobarba brillantina lacca sudore.

Ridicoli poi le apparivano le persone che ballavano sulla pista, acefali burattini disarticolati affaccendati in ancheggi, dondolii, convulsioni di braccia e gambe tra smorfie e ammiccamenti .

Ma lei, Silvia De Andreis, genovese, vent’anni appena compiuti era certo un caso a parte, anomalo rispetto ai  suoi coetanei e nei suoi pensieri, anche lei ne era consapevole, c’era sicuramente della  esagerazione.

Del resto l’esagerazione era divenuta il suo tratto distintivo.

Spesso il sentimento di non accettazione da parte degli altri ci fa sentire esclusi.

Da lì scorgeva le compagne che ballavano in cerchio sorridendosi, godendo unicamente dei movimenti che imprimevano ai loro corpi.

Si sorprese di invidiarle.

Come avrebbe  voluto in quel momento staccarsi dal parapetto,  dimenticare il suo odiato corpaccione e unirsi alle sue amiche, lanciarsi in quel canestro luminoso  di serpenti umani e mischiarsi a loro, contorcersi, emettere versi e gridolini di piacere, sibilare con lingua e bocca, farsi serpente anche lei.

A volte basta l’interesse di una persona per farci toccare il cielo con un dito.

Silvia girò gli occhi per osservare quell’ombra  e colse una massa disordinata di capelli e lo scintillio di una lente.

“ Mi chiamo Miriam. E’ tanto che ti osservo ma eri talmente assorta che non volevo disturbarti. L’ho fatto ? “

Silvia strinse quella mano: la sentì calda e sottile come una sfoglia di pasta.

“ Allora, ti ho disturbato?”

La ragazza ora emergeva in tutta la sua nettezza; gli occhi scuri dietro gli occhiali, la piega colma della camicetta, le gambe nervose strette nei jeans e slanciate dai tacchi. Silvia la osservava con curiosità.

Sarebbe stato facile  per lei far cadere nel nulla quella domanda e allontanarsi con un pretesto qualsiasi ma una strana attrazione, una  misteriosa forza sconosciuta la tratteneva. Del resto, si disse, l’incanto è svanito, tanta vale scambiare due parole.

“ No anzi. Io sono Silvia, piacere “

“ Ma a cosa pensavi di tanto importante da rimanere tutto questo tempo in contemplazione del mare? Sembrava che  qualcosa ti attirasse, ti spingevi oltre il parapetto”.

“Mi sentivo aquilone. Ho sperato che il soffio della notte mi staccasse da queste pietre e mi trascinasse con sé a fare capriole tra le stelle. Ma il mio corpo mi ha tenuto ancora una volta attaccata alla terra.”

E le persone speciali hanno sempre modi e parole curano le nostre sofferenze e ci riempiono di gioia. Come sono vere queste parole:

“Non lo dicevo per il fisico, quello non mi interessa. Se vuoi saperlo credo anzi che il corpo sia soltanto  una gabbia fastidiosa del pensiero. Un’anomalia che ci inchioda alla terra e ci incatena alla quotidiana soddisfazione dei suoi sporchi appetiti. La zavorra che ci impedisce di volare, la carcassa di un aereo che in qualche epoca lontana ha solcato i cieli. E lo ha fatto sicuramente  perché ce ne portiamo appresso il ricordo indelebile. Di tanto in tanto, rarissime volte purtroppo, ci guizza dentro il riverbero di una luce, il ricordo del sole che batte sui vetri della carlinga e sentiamo viva la sensazione che finalmente tutto l’orizzonte e le sue verità si spalancheranno di fronte ai nostri occhi. Ma è solo un attimo fugace, un barbaglio del cuore subito risucchiato dalla nostra carne”

Questa volta toccò a Silvia sorprendersi.

In una sola immagine quella ragazza aveva reso chiare quelle confuse sensazioni che si arruffavano all’improvviso nella sua coscienza.

Premiazione Primo Premio Letterario Psises.

Un lavoro toccante, il racconto di un frammento di vita che fa riflettere. L’incontro tra due donne sconosciute, che sembrano parlare la stessa lingua, che sentono dal primo momento una grande empatia. Con vero piacere invito sul palco l’avvocato Lorenzo Teodoro e invito voi a fare un applauso al Terzo Classificato alla Prima Edizione del Premio Letterario di Psises.

Le versioni complete degli scritti possono essere richieste tramite Email all’indirizzo [email protected].

 

Premiazione Primo Premio Letterario Psises.
Un particolare ringraziamento alla lettrice dei brani in sala Manuela Salardi che ha saputo trasferire emozione ad ogni riga letta. Avrei voluto dare uno spazio a parte a Mauela splendida collaboratrice nella lettura, ma anche organizzatrice dell’intero evento compresi premi “Writer di Psises” e “Le persone che ho incontrato”.

 

Premiazione Primo Premio Letterario Psises.
Un altro grande abbraccio e ringraziamento la “puntualissimo” fotografo dei tre eventi Lorenzo Dondi. Anche per lui avevo pensato di inserirlo in un piccolo articolo di ringraziamento. Grazie persone splendide che mettete la vostragrande capacità e  professionalità per la riuscita di questi incontri.

Ringrazio gli autori che hanno dato disponibilità alla divulgazione dei propri scritti e tutti coloro che hanno partecipato a questa edizione del Premio Letterario Psises.


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