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Premio Sakharov a Denis Mukwege, il ginecologo congolese che ripara le donne

Creato il 25 novembre 2014 da Cafeafrica @cafeafrica_blog

Il vincitore di quest’anno del Premio Sakharov per la libertà di pensiero è Denis Mukwege, ginecologo congolese. Riceverà il premio a Strasburgo mercoledì 26 novembre.

Mukwege ha fondato a Bukavu,  capoluogo della regione del Sud Kivu, estremo est della Repubblica Democratica del Congo, l’ospedale Panzi, dove cura le donne che hanno subìto violenza sessuale o con gravi problemi ginecologici. Le regioni del Nord e del Sud Kivu sono da vent’anni teatro di una guerra che per numero di vittime segue solo la Seconda Guerra mondiale.

In quattordici anni ha assistito oltre 40mila vittime di violenza sessuale e per questo è conosciuto come “l’uomo che ripara le donne”. Nel suo ospedale hanno trovato cure, ma soprattutto accoglienza, migliaia di donne sfregiate da vere e proprie torture a sfondo sessuale. Una media di 3500 donne l’anno. “La mia prima paziente – racconta spesso Mukwege – era stata violentata: le avevano introdotto un’arma nell’apparato genitale e avevano fatto fuoco, aveva tutto il bacino distrutto. Pensai che fosse l’opera di un folle, ma nello stesso anno dovetti seguire 45 casi simili”.

Mukwege è uno dei maggiori esperti al mondo nel trattamento delle vittime di stupri e aggressioni sessuali violente, forma chirurghi specializzati ed è l’ideatore di un programma di reinserimento sociale e morale delle vittime quando sono ancora in fase di recupero. Ha ricevuto vari riconoscimenti, tra cui il premio Human rights delle Nazioni Unite nel 2008 e il premio internazionale Primo Levi 2014 ed è stato candidato quest’anno anche al Nobel per la pace.

Per il suo lavoro e per le sue denunce, insieme alla sua famiglia è stato più volte minacciato ed è stato oggetto di un attentato, in seguito al quale vive sotto protezione all’interno dell’ospedale.

Internazionale aveva dedicato a Mukwege un ritratto pubblicato da Le Monde (Internazionale 984, del 25/31 gennaio 2013). Ecco un estratto:

Il dottor Mukwege, un gigante sorridente con lo sguardo pacifico e la voce rassicurante, sembrava sfinito. Stanco di parlare a vuoto. Stanco di cercare invano di scuotere le coscienze. Stanco di raccontare la tragedia delle donne congolesi senza che niente cambi. Stanco di descrivere stupri e torture spaventose, di citare numeri raccapriccianti (500mila donne violentate in sedici anni) senza che nessuna autorità politica internazionale si dia da fare per prendere provvedimenti concreti. Stanco di ricevere premi e omaggi senza che le organizzazioni governative facciano qualcosa di più che inviare medicinali.

È una situazione incomprensibile. Com’è possibile che nessuno lo ascolti? “Come si può pensare di tradire i traguardi della civiltà a tal punto da restare inerti e con le mani in mano?”, chiede il dottore. Ci sono centinaia di prove, foto e testimonianze, ma non è stato fatto nulla. “Non si potrà dire, come accaduto in altri momenti bui della storia, che la comunità internazionale non sapeva. Loro sanno tutto”. Ma allora perché non agiscono? “Per loro è normale che la donna soffra. Come se fosse nella sua natura, come se lo stupro di migliaia di donne fosse meno grave della morte di un solo uomo”. Mukwege scuote la testa. Ha le spalle incurvate e gli occhi pieni di sconforto. “Molti uomini credono che lo stupro sia solo un rapporto sessuale non consenziente. Ma non è così. È una distruzione della persona, e nella Repubblica Democratica del Congo va avanti sistematicamente da sedici anni. Sedici anni di demolizione delle donne, sedici anni di disgregazione di una società. E la situazione non fa che peggiorare”.

“In ogni guerra si cerca di decimare la popolazione del nemico, di occupare il suo territorio e di indebolire la sua struttura sociale. Da questo punto di vista lo stupro è indubbiamente efficace”. Accanirsi sull’apparato genitale delle donne non è forse un modo di attaccare “la porta d’entrata della vita”? La maggior parte delle giovani donne violentate non potrà più avere figli. Le altre, contaminate dall’aids e altre malattie, diventano “sorgenti di virus” e “strumenti di morte” per i loro compagni e per i bambini nati dagli stupri, che tra l’altro saranno rifiutati ed emarginati dalla comunità e forse un giorno diventeranno bambini soldato.

Perché lo stupro come arma di guerra è scientificamente adoperato per distruggere la donna, base della cultura, e di conseguenza annientare un’intera popolazione. Non si tratta di crudeltà gratuita, di barbarie fine a se stessa: in gioco c’è il controllo di una delle aree col sottosuolo più ricco del pianeta. Nell’est del Congo si trovano giacimenti di orodiamanti, altri metalli come lo stagno e il tungsteno, ma soprattutto di quella columbo-tantalite (il coltan) essenziale per tutta la microelettronica, dai nostri smartphone alla tecnologia aerospaziale. Qui sono concentrate la maggior parte delle riserve mondiali. E poi ci sono i giacimenti di gas e petrolio scoperti di recente poco più a nord.

L’uomo che ripara le donne – per usare le parole della giornalista belga Colette Braeckman, che di recente ha dedicato a Denis Mukwege una biografia – non si arrenderà mai. Tornerà nel Sud Kivu. Continuerà a formare équipe mediche, a predicare la non violenza e a operare per diciotto ore al giorno. “Ma francamente”, ripete, “non capisco l’indifferenza della comunità internazionale nei confronti delle congolesi e delle donne in generale. Davvero, non riesco a capire”.

Il premio Sakharov per la libertà di pensiero è assegnato ogni anno dal Parlamento europeo. È stato istituito nel 1988 per premiare gli individui o le organizzazioni per il loro impegno a favore dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Lo scorso anno il premio è stato assegnato all’attivista pakistana Malala Yousafzai, militante per l’istruzione delle bambine.


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