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"presente continuo": come sfuggire all'oppressione dei tempi?

Creato il 04 agosto 2014 da Alessandro @AleTrasforini
Cosa potrebbe accadere alle definizioni di presente, passato e futuro in un momento nel quale il tempo diventasse enormemente accelerato?
Progresso e tecnologie hanno consentito all'essere umano di velocizzare certi processi, rendendo possibili cose che prima non lo erano neppure lontanamente.
Su questi sfondi si muove il libro "Presente continuo - Quando tutto accade ora", scritto da Douglas Rushkoff ed edito da Le Scienze - Codice Edizioni.
L'intento del presente testo sembra essere chiaro sin dall'anticipazione nel retro di copertina:
"[...] Il futuro che abbiamo rincorso per buona parte del ventesimo secolo è finalmente arrivato: oggi la tecnologia a nostra disposizione ci permette di essere sempre connessi e di avere a portata di mano ogni tipo d'informazione, in qualunque momento. 
Ma qual è stato l'effetto sulle nostre vite  di questa incredibile compressione di spazio e tempo?
L'era dell'accesso totale ha un rovescio della medaglia che avevamo sottovalutato.
I social network alimentano l'ansia di un costante 'qui e ora' senza direzione e priorità, frammentato e distratto; le email e la messaggistica istantanea ormai sono un assalto. E noi siamo sopraffatti da un illusorio presente continuo che ci sfugge sempre di mano. [...]"
L'impiego della tecnologia ha abbattuto molte delle pre-esistenti barriere, sia per le "versioni" di tempo che per quelle di spazio con cui l'umanità era abitualmente impegnata a confrontarsi. I ricorsi alla multimedialità ed al cosiddetto web 2.0 hanno costruito una sorta di mondo parallelo, nel quale ad ogni identità viene affiancata una sorta di "estensione" ulteriore; basti pensare, per farla breve, a quanto gli impieghi dei social network  e dei sistemi di messaggistica istantanea abbiano messo ogni essere umano in contatto con l'altro.
In maniera continuativa e duratura, senza possibilità di sosta alcuna: è questo forse uno dei risultati più negativi e non adeguatamente ponderati dell'impiego sfrenato ed indiscriminato delle tecnologie digitali? E' proprio l'assenza di tregue a penalizzare maggiormente le esistenze degli esseri umani?
A questo proposito l'autore sembra avere le idee piuttosto chiare nel merito delle questioni:
"[...] Questo è il nuovo 'adesso'. 
La nostra società si è riorientata verso il presente: oggi tutto è live, in tempo reale, senza un momento di tregua. 
Non si tratta di una sempice accelerazione, sebbene il nostro stile di vita e la tecnologia abbiano velocizzato i tempi delle nostre azioni; si tratta [...] di un ridimensinamento di tutto ciò che non sta accadendo adesso, e dell'assalto di ciò che invece, almeno apparentemente, è il nostro presente più immediato. [...]"
Analizzare questo nuovo "presente continuo", fatto di troppi attimi e di zero pause, è una missione che dovrebbe coincidere con lo svolgimento di appositi ed approfonditi studi nei confronti della collettiva timeline entro cui siamo inconsapevolmente sprofondati.
La definizione di questa timeline è una specifica da intraprendere necessariamente, data la complessità con cui certe situazioni si sono radicate nella storia dell'umanità intera. Si è avuta una tale compenetrazione di attimi e di situazioni da rendere l'intera società enormemente più complessa ed intricata; si è descritto un mondo tale da generare un nuovo movimento di pensiero con il quale fare i conti in maniera approfondita:
"[...] Se la fine del ventesimo secolo è stata caratterizzata dal futurismo, il ventunesimo secolo potrebbe essere quello del presentismo. 
Gli anni '90 erano segnati dall'atteggiamento del 'guardare avanti', destinato però a concludersi una volta iniziato il nuovo millennio.
Come molti altri, in quel periodo avevo previsto la futura focalizzazione sul presente, sull'esperienza concreta e su tutte quelle cose che oggi sono davvero importanti. L'undici settembre ha amplificato tale sensibilità, obbligando gli Stati Uniti a fare i conti con la propria transitorietà. 
La gente ha iniziato ad avere molti figli e a fare la fila per divorziare, in una sorta di consapevolezza inconscia del nostro destino mortale e con la conseguente riluttanz a portare avanti le cose all'infinito.
Se  poi aggiungiamo le tecnologie in tempo reale [...], un consumismo usa e getta [...], un cervello multitasking che però non è in grado di immagazzinare le informazioni né di sostenere un ragionamento prolungato, un'economia basata sullo spendere ora ciò che potremmo [...] guadagnare in un'intera esistenza, ecco che non si può non cadere vittime di un disorientamento temporale. [...]"
Questa consapevolezza divaricata del tempo deve fare i conti, inevitabilmente, con una struttura mentale predisposta ad interpretare il mondo seguendo un binario fatto di inalterati limiti ed invalicabili barriere oltre cui il nostro cervello non può forse spingersi. O, almeno, non senza sforzo.
Questo perenne "scontro" fra potenzialità e realtà ha contribuito (più di ogni altra cosa possibile?) a generare un conflitto capace di richiamare patologie conseguenti al cosiddetto "shock del presente".
La radice di questo disagio comune a molti esseri umani ha conseguenze che sembrano ripercuotersi su una lunghissima serie di campi: dalla ricerca continua del "like" alla propria intimità, dal consenso politico all'ambiente, dalla (ri)strutturazione dell'economia all'elaborazione di progetti per rendere la società maggiormente equa e sostenibile, dalla ricerca di diritti civili all'inseguimento di forme di progresso sostenibili.
Tutto sembra essere diventato veloce e velocemente eseguibile. A cosa potrebbe però condurre questo impetuoso cortocircuito?
La risposta da parte dell'autore non si fa attendere, sin dalla prefazione al presente libro:
"[...] viviamo in un presente fatto di distrazioni, dove le forze periferiche sono amplificate, mentre quelle che abbiamo sotto gli occhi vengono ignorate. La nostra capacità di dar vita a un progetto [...] è minata alla base dalla continua necessità di improvvisare il nostro percorso attraverso innumerevoli eventi esteriori, pronti a farci deragliare in qualsiasi momento. Invece di trovare un ancoraggio stabile nel qui e ora, finiamo per rispondere all'onnipresente assalto di impulsi e imposizioni simultanei. [...]"
Come poter fare per provare a guarire od essere il meno possibile toccati da questo mondo in costante accelerazione?
E' possibile riabilitare e ribadire il margine distintivo esistente fra passato e futuro?
Quella linea di demarcazione deve per forza chiamarsi presente o è possibile darle altri nomi?
La possibilità di rispondere a queste domande dovrebbe passare, più o meno direttamente, mediante la possibilità di scegliere un consapevole allontanamento od un'accorta distanza dal mondo multimediale: reale e virtuale dovrebbero essere separati, il più (a lungo) possibile.
Solo così, forse, il cosiddetto presente continuo saprebbe trovare una buona ricollocazione funzionale al raggiungimento di forme di progresso un pò meno patologiche. E più utili per l'umanità intera stessa, ovviamente.


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