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Processi mediatici: quando i reality show non bastano più

Creato il 27 maggio 2015 da Allocco @allocco_info

In Italia, la realtà dei processi non è certamente fra le migliori, soprattutto a causa di tempistiche a volte logoranti che ritardano quello che è un diritto – delle vittime in special modo, ma anche di chi, accusato, affronta una difesa processuale – di raggiungere un verdetto il più vicino possibile alla verità dei fatti.

A tale situazione, non certo edificante, va ad aggiungersi l’inclinazione, forse ancora più negativa, di anticipare e svolgere i processi su un piano mediatico. Luogo ideale di questa bizzarra e grottesca tendenza, sono i media televisivi e i social network, che rappresentano al tempo stesso le fonti e il luogo del processo, dove al posto di giudici e avvocati – persone competenti sia per quanto riguarda le nozioni di legge, sia nell’ambito del processo specifico – salgono alla ribalta conduttori e conduttrici televisive, persone comuni impegnate quasi convulsamente a commentare post su Facebook, il più delle volte senza informarsi realmente dalle fonti giornalistiche; fonti che, c’è da dire, cadono spesso nel pettegolezzo, raccontando dettagli che potrebbero avere senz’altro una rilevanza in un processo, ma solo e soltanto all’interno di quello che è un attento e giudizioso iter giudiziario.

Di esempi, in particolare di cronaca nera, ne abbiamo a bizzeffe, specie negli ultimi anni, periodo in cui questa tendenza un po’ perversa di raccontare fino allo stremo, analizzare con metodi troppe volte da dilettante e infine ipotizzare giudizi conclusivi, è andata formandosi in Italia.

La cronaca nera, in particolare, può racchiudere in sé un fascino macabro, quasi letterario; è forse per questo che vi è una particolare attenzione da parte dei media, televisivi e non, sempre alla ricerca di ascolti, visioni e, dunque, pronti a costruire una sorta di romanzo a puntate in cui il pubblico resta incollato allo schermo per saperne di più, col rischio di confondere le cose, in special modo a livello di sensazioni: sto seguendo un avvincente poliziesco con caccia al colpevole, o sto ascoltando particolari delicati – a volte fuorvianti, a volte addirittura invadenti – di un’indagine reale, di una morte reale?

Una disperata ricerca che corre dietro alle emozioni più intime – poi vissute con superficialità – di un reality show, alla caccia di una rappresentazione sempre più reale; in fondo, perché perder tempo a costruire spettacoli televisivi, quando la cronaca offre i suoi spunti, le sue trame, le sue indagini reali? Irreale ma reale, purtroppo; grottesco ma drammatico, vero.

Il rischio più grande è quello di produrre giudizi affrettati su quelli che sono gli indagati; se da un lato, infatti, si spera che un processo mediatico non possa in alcun modo influire su quello che sarà il giudizio del tribunale (pur ricordandoci che siamo umani, e che l’influenza psicologica è un qualcosa a cui siamo tutti suscettibili), dall’altro si rischia però di creare un’opinione pubblica che, per sua natura, lavora rapida, produce giudizi facili partendo alle volte da pregiudizi ancora più facili. Un caso emblematico in questo senso fu quello di Enzo Tortora, risultato innocente a processo ma demolito – oltre che, inizialmente, sul piano giudiziario a causa di false testimonianze; ma in tal caso si tratta di un problema all’interno del processo – da una campagna giornalistica che, cavalcando un processo del genere, a una persona famosa, ha partorito scoop denigratori con lo scopo di produrre, appunto, una risposta di natura economica. Stesso discorso si potrebbe fare oggi con la televisione; e questo accade, il più delle volte, con persone comuni, la cui dignità viene distrutta ancor prima di un lucido quando lecito giudizio del tribunale.

Ma da cosa deriva questo fenomeno? Quali sono le cause e quali le possibili soluzione? Certamente la lunghezza estenuante dei processi non calma l’animo del popolo, ma anzi lo aizza ad anteporsi a quello che è l’unico processo lecito e reale, quello del tribunale; d’altra parte, la televisione e i mass media in genere sono oramai entrati in un meccanismo dove la risposta del pubblico – e dunque il guadagno in termini economici – è il primo se non unico comandamento.

Ancora una volta, la sola risposta positiva e utile può venire da noi, dal basso. I casi di cronaca sono senz’altro episodi fondamentali della nostra società, ed è giusto conoscerli, informarsi; ed è naturale, umano, a quel punto, avere delle idee al riguardo. Ma dovremmo smetterla di ergerci a giudici, anche quando la materia non ci è estranea; poiché, anche in quest’ultimo caso, non si può mai avere una chiara e completa conoscenza di quello che è un iter complesso come quello giudiziario.

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