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Profezia Maya – Testamento (morale) ed altre cavolate da leggersi solo in caso di effettiva fine del mondo… E sulla “terra desolata”.

Creato il 16 dicembre 2012 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

279px-Dresden_Codex_p09di Rina Brundu. Mi rendo conto che il titolo è criptico quando non ossimorico: non si capisce infatti chi dovrebbe leggere l’articolo in caso di effettiva fine dei tempi. O chi vorrebbe leggerlo… a prescindere. Detto questo considerando le innumerevoli sciocchezze e le fesserie che sono state scritte sull’argomento, aggiungervi la mia è un poco come scorreggiare tra le raffiche più malevole dell’uragano Katrina. E poi qualcosa bisogna comunque buttarlo giù in maniera da poter dire “io l’ho fatto” e da togliersi l’argomento dalle balle il prima possibile.

Che l’aspetto più fastidioso è che sia proprio un popolo sanguinario come i Maya a metterci davanti al momento del redde-rationem! Chi coltivasse visioni bucoliche a proposito di quella grande civiltà – ma neppure tanto grande se si pensa ai monumentali achievements delle civiltà megalitiche del Sud America, per inciso quelle che hanno regalato al mondo Tiahuanaco e Puma Punku- dovrebbe infatti fare un corso veloce sulla loro cultura della vita energizzata con il sangue di infiniti innocenti sacrificati: uomini e donne, vergini e peccatori, giovani e vecchi tutti dipartiti troppo presto da questo mondo in maniera inenarrabile quando non uccisi dal loro stesso terrore.

Then again (mi ripeto), i tempi che viviamo, soprattutto in Italia, sono tempi che comanderebbero uno stop-ai-lavori. Pensiamo soltanto ai lecca-lecca, ai coni gelato, ai dvd, alle corse in taxi, alle cene che sono stati pagate coi denari del contribuente italiano grazie ai rimborsi elettorali elargiti alla Regione Lombardia. L’eccellenza-italica di cui Roberto Formigoni, suo Presidente, ha sempre fatto vanto. Per carità, ho dimenticato di dire che erano “cene di rappresentanza”. Ma rappresentanza di chi? Non certo degli operai lombardi che ogni giorno vanno al lavoro con la paura di perderlo, non certo degli imprenditori che pagano le tasse, non certo di ogni ultimo-cristo che tra quelle sponde vi è capitato per fato infelice o per miraggio di una ricchezza improbabile.

Che a spostarsi più a Sud, o muovere ad Ovest in quel della Torino città tramontata e sull’orlo del collasso economico, o spostarsi più ad Est tra le rovine dell’ennesimo miracolo economico italiano inizializzato coi soldi pubblici, o muovere in qualsiasi altra direzione possibile, finanche in alto o in basso, non fa differenza. Adesso come al tempo dei Maya noi restiamo dunque nazione dissipata in attesa dell’unico uomo savio che si adoperi come “salvatore” della patria. E se oggi quest’uomo sembrerebbe chiamarsi Piermario Monti, ventanni fa si chiamava Piersilvio, nel ‘500 Pierlorenzo e duemila anni or sono Piergiulio, ma la sostanza non è mai cambiata.

Che oltre Piermario esiste soltanto un vuoto riempito da fantasmi infestanti e determinati a non andare via, a non staccare il sedere atrofizzato dalla sedia del potere nell’atavica convinzione che il signor Rossi qualunque il cambiamento non lo voglia davvero e non sappia comunque notare… la differenza. Tra il prima e il dopo. Tra lo sfascio sistemico di prima e quello del poi. Colpisce, in questa pseudo-vigilia pseudo-apocalittica, il silenzio dell’intelligentsia, come se quella fosse dipartita molto tempo fa, come se non se ne fosse mai notata l’assenza e adesso che servirebbe non si avesse idea con chi o con cosa supplire per poter espletare i suoi compiti. Il tutto mentre un falso intellettualismo interessato scende in campo – spesso senza vergogna – a supportare le velleità politiche (o pseudo-tali) del fantasma di Tizio o di Caio che di andare “verso la luce” (o verso le tenebre, che dir si voglia), non ne vuole proprio sapere. O alla peggio scende in campo per rispondere alla pregnante domanda: Sanremo si o Sanremo no?

E allora, in questa “terra desolata” di eliottiana memoria e di rinnovate crisi sociali, lasciare testamenti, soprattutto morali, può risultare incombenza davvero improba. Quando non impossibile. Se non si capisce bene il titolo di questo pezzo, non si capisce neppure che magistero – davanti ad una reale fine dei tempi – noi potremmo lasciare. Cosa potremmo mai pensare di insegnare ad un diverso-Essere arrivato dallo spazio profondo a leggere il nostro ultimo messaggio in bottiglia? O ad altre future generazioni che verranno? Forse nulla, se non l’esempio stesso della nostra fragilità ed inettitudine. Che gli oracoli Maya – sebbene fagocitati dalle campagne pubblicitarie e mediaticamente folli dei tempi moderni da loro mai vissuti – la fine di un ciclo consunto forse l’avevano individuata davvero. Proprio come accade a tutti gli uomini sapienti incapaci di salvare la patria ma molto attenti a conoscere se stessi e i misteri della loro anima. “Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta” scrisse in diversa occasione Thomas Stearns Eliot e, alla sua maniera, coltivava comunque speranza.

 Featured image il codice di Dresda.

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