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Prometheus

Creato il 17 settembre 2012 da Veripaccheri
Prometheus
Trovandosi in una particolare disposizione psicologica - sazietà, distrazione,
catalessi - si sarebbe pure portati a concedere qualche margine di tolleranza
ad una operazione  come questa di "Prometheus" del britannico trapiantato in
America Ridley Scott.
Non fosse che l'aspettativa per il ritorno all'universo originario di "Alien"
si era stratificata oramai negli anni (risale, infatti, al 1979 la nascita - e'
proprio il caso di dirlo - della creatura disegnata da Giger), cosa che, di per
se', se da un lato alimentava le perplessità circa una rielaborazione della
storia e del "personaggio" finalizzata sic et simpliciter all'ennesimo
sfruttamento commerciale - e' di una saga, in fondo, che stiamo parlando,
qualcosa che nei decenni e' diventato un vero e proprio "marchio" - dall'altro,
in particolare negli amanti del fantastico, rimescolava interrogativi addolciti
dal desiderio-di-vedere-ancora, di esplorare recessi in teoria intatti di
quell'universo.
In realtà l'intenzione di Scott era quella di sottrarsi alle secche della
ripetizione (il regista non ha mai nascosto di non avere particolare
predilezione per seguiti, le repliche, le rivisitazioni, anche se, e' noto, con
gli anni le affermazioni in specie le più apparentemente radicali si
ammorbidiscono, si sfumano, si abiurano) inoltrandosi sul sentiero insidioso
della speculazione, della fantascienza riflessivo-contemplativa. L'approdo
pero' e' stato, per fortuna solo per una ventina di minuti, quelli del prologo,
un vario argomentare intorno alle sorti dell'uomo a partire dalle sue
ipotetiche origini extraterrestri, proprio come si farebbe tra amici dopo avere
assistito ad un qualche programma prodotto dalla Royal Geographical Society.
Intendiamoci: niente da dire sull'eventualità di raccontare mondi possibili
puntando sulla malia del pensiero teorico anziché sul pragmatismo di una solida
messa in scena (il Prometeo del titolo e' sia la nave spaziale spedita a
rovistare gli spazi profondi sia l'omonimo personaggio che nella variante
platonica del mito forgia la stirpe umana).
Prometheus
E' necessario pero' anche tenere presente che gran parte del fascino e della
forza dell'"Alien" primigenio risiedeva nel suo esplicito taglio avventuroso,
da thriller-western spaziale, si potrebbe dire, impressogli da un quartetto di
esperti della manipolazione dei generi made in USA rispondenti ai nomi di
O'Bannon, Shusett, Giler, Hill, i quali erano riusciti - col concorso
essenziale dell'inventiva di Giger, sia chiaro, in grado di materializzare una
creatura destinata a diventare uno spartiacque del cinema d'immaginazione e non
solo; quello non secondario di designer del calibro di Ron Cobb; o apporti
specialissimi tipo quello del grande Moebius, autore delle tute spaziali del
primo equipaggio e di alcuni dettagli dell'astronave "Nostromo" - all'interno
degli stretti pertugi di un cargo interstellare "vivo", il Nostromo, appunto,
mezzo di trasporto e di carico ma pure utero e incubatrice di una vita "altra",
nel non facile compito di mantenere un livello di tensione e di claustrofobia
sempre molto alto, grazie all'accorta combinazione di elementi tipici,
propriamente di "genere", risaputi quanto si vuole, eppure allo stato dei
risultati assai efficaci.
Prima di tutto, la diffidenza crescente tra i componenti di una ristretta
società di uomini che al netto delle caratteristiche e delle rivendicazioni dei
singoli si può ritenere solidale per il banale motivo di avere una missione da
portare a termine. Quindi, il sovvertimento degli equilibri di quel microcosmo
una volta che al suo interno si installa un "ospite" inatteso. E, infine,
l'epifania dell'ospite come potenziale distruttore dell'intero fattore umano,
inesorabile artefice di una caccia all'uomo, chiara metafora dell'antica sua
temuta (agognata ?) rimozione dalla Storia.
Prometheus
Ebbene: di tutto ciò in "Prometheus" non c'è traccia o accenno. Peggio: non
c'è presagio ma il rincorrersi disordinato e poco coinvolgente di temi
eterogenei spesso giustapposti o presentati come complementari senza il dovuto
costrutto, semplicemente orecchiati dagli altri episodi della saga se non di
diretta quanto piatta ispirazione derivativa dal capostipite del '79. Ecco
allora, in ordine sparso, i sempre nebulosi interessi commercial-militari della
super corporazione che finanzia il viaggio, gli sparuti accenni alla venalità
di un paio di componenti del nuovo equipaggio, gli scambi di battute anodini (e
micidiali per il ritmo) a comprovare l'esistenza di una benché minima dinamica
di gruppo, a cui si aggiungono i rovelli spirituali-filosofici del patriarca-
magnate in cerca di risposte definitive o le esageratamente levigate elusività
del "sintetico" David/Fassbender sorta di Bowie galattico, amante dei vecchi
film e più azzimato di una damerino.
Se poi a ciò si aggiunge la sostanza prettamente orrorifica, rappresentata non
tanto e non solo dalla creatura come mero "alieno" ma dalla sua misteriosa e
sublime inaccessibilità da un lato (ricordiamo che Ash, l'androide del primo
film con competenze scientifiche interpretato da Ian Holm, era arrivato a
definirla "purezza") e dall'altro - ed era sul serio una dei tratti
"spaventosi" del film - dall'inaccettabile, "oscena", possibilità che la sua
nascita da un corpo umano non fosse estranea ad una inconcepibile quanto
conturbante/disturbante compatibilità biologica con esso, ci si accorge di come
l'opera si dispiegasse centrata su dei cardini precisi, al tempo stesso
tradizionali e innovativi, bene ancorato comunque alle maglie esigenti del "
genere", al contrario di questa targata 2012, che più allarga i confini
possibili della sua indagine, più assolutizza le sue istanze di conoscenza, più
carica le inquadrature di luci e di oggetti, più tralascia la terribile
ambivalenza carne/"nuova" carne, più perde nerbo e credibilità.
Le notazioni, le premonizioni, i muti timori sulle frontiere del corpo come
estremo strumento di linguaggio, l'ipotesi di una sua trasformazione
(miglioramento ?) in chiave bio-meccanica, a distanza di trenta e passa anni
sono ancora quasi tutte li', a testimoniare una modernità cinematografica del
"prototipo", che il tempo e le mirabilia tecnologiche non hanno scalfito, se e'
vero come e' vero che esse rappresentano una sostanziosa fetta del dibattito
scientifico e filosofico contemporaneo.
Prometheus
Volendo per di più sorvolare sul fatto per cui anche marginalizzando queste
considerazioni - a dire il sotto testo articolato del film "vecchio", fatto di
rimandi e suggestioni, di sgomenti e dubbi lasciati scientemente senza
soluzione, liberi cioè di lavora sull'inconscio degli spettatori, sulle loro
ansie proprio riguardo i destini umani - l'insieme funzionava ed era godibile
pure al più spiccio piano di lettura del "chi sopravvive, vince", il punto e'
che la' dove "Alien" (la creatura e quindi il film) marciava sicuro e
pericoloso - non solo per la nostra incolumità fisica ma anche e forse
innanzitutto per le nostre certezze - "Prometheus", e non e' ironia spicciola,
rimane incatenato e concettualmente ondivago nelle sulle alterne elucubrazioni
circa le origini del mondo e della specie: gira a vuoto affastellando continue
scene di raccordo, contrattuali scampoli d'azione e congetturali spiegazioni
non richieste o tardive, mentre il suo predecessore seguiva con rigore una sua
progressione drammaturgica, lasciava che il terrore serpeggiasse sottotraccia
fino ad esplodere senza ritrosie e soprattutto non spiegava nulla, limitandosi
a suggerire e, suggerendo, diffondeva inquietudine e angosciosa attesa. Ne' gli
giova - a parte la quasi totale mancanza di ritmo interno - la riverniciatura
digitale aggiornata ai tempi, come la sempre puntuale sagacia di Scott (educato
alle arti, tra gli altri, al Royal College di Londra) nella costruzione
dell'immagine, nonché nell'impostazione impeccabile delle architetture e delle
scenografie. Nello specifico, resta poco pertinente, ad esempio, l' eccessiva
artificialità della scelta cromatica, concentrata sulle tinte vistose che
portano tutto in primo piano, riducono al minimo le zone d'ombra che di "Alien"
erano uno degli assi nella manica, accentuando con l'ambiguità di ogni punto su
cui si poggiava l'occhio il suo potenziale sinistro, la sua sostanziale
inaffidabilità. Così come lascia perplessi davvero lo smaccato anacronismo di
un apparato tecnico-scientifico troppo sofisticato rispetto agli avvenimenti
posteriori che si pretende d'introdurre.
Prometheus
In scia, simile risultato lo ottiene anche il cast, più o meno alla moda, più
o meno superfluo, quanto l'altro era formato da "facce" relativamente fresche o
comunque non ancora logorate dalla notorietà: in primis, l'insignificante
Rapace (forse la più fortunata tra le attrici senza carisma); poi, una rigida
quanto ininfluente Theron; quindi, un insipido Pierce nei panni stravolti del
vecchio tycoon assetato d'infinito e infine il nuovo beniamino (di buona parte
della critica e del pubblico femminile) Fassbender, algido ibrido, perfetto nel
far riemergere la nostalgia per la maligna fissità di Ash/Holm.
Trovata così la propria collocazione all'interno di un ideale asse tematico,
"Alien" (in maniera diversa "Blade runner"), appare adesso, con occhio
retrospettivo, come una delle più attente ricognizioni entro i non molti spazi
oscuri di un cinema eminentemente elegante e poco incline alle complessità
psicologiche quale quello di Scott, in riferimento al quale questo "Prometheus"
risulta invece al pari di una stanca estremizzazione, lei si' nata già vecchia
o fuori tempo massimo, nonostante (o magari proprio in parte per) la sua
smagliante, insistita cura formale. Uno splendore programmatico ma pressoché
inerte che ingabbia (per sempre ?) la mai risolta tentazione/ripulsa
manieristica del regista inglese in una opprimente camicia di forza, prima
accademica - un po' sussiegosa, un po' didascalica - poi slegata e
frastornante, infine prona alla "condanna" di un ulteriore capitolo. Tutto
l'insieme, più affine alla controproducente vacuità di molta spettacolare
divulgazione odierna che alla scrittura di finzione. Lontanissima, in ogni
caso, dalla fantasia, dalla meraviglia.
E ora tocca proprio a "Blade runner"...
(di The FisherKing)

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