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Promised Land: Gus Van Sant e le lobby dei gas naturali

Creato il 15 febbraio 2013 da Pianosequenza

Promised Land: Gus Van Sant e le lobby dei gas naturali

Promised Land
(Promised Land)
Gus Van Sant, 2012 (USA), 106’
uscita italiana: 14 febbraio 2013
voto su C.C. Promised Land: Gus Van Sant e le lobby dei gas naturali Steve (Matt Damon) e Sue (Frances McDormand) lavorano per una multinazionale interessata ad estrarre gas naturali dalle terre di alcuni redneck  degli stati del sud. Tutto fila liscio finché non si trovano a dover colonizzare un paesino all’apparenza uguale agli altri, ma abitato da alcuni contadini fin troppo pensanti, capeggiati da un saggio professore universitario in pensione (Hal Holbrook). Un ambientalista (John Krasinski) giungerà a complicare il quadro. Gus Van Sant ci introduce nel magico mondo dei gas naturali e delle terribili conseguenze legate al loro maldestro prelievo dagli appezzamenti terrieri di ingenui abitanti. Sebbene il tema sia d’interesse (perché agita uno spauracchio diverso dal vostro consueto lobbista delle compagnie petrolifere) il film che ne deriva è davvero poco convincente, dal punto narrativo e persino da quello puramente “artistico”.
La sceneggiatura, affidata in modo sospetto al duo di protagonisti Damon-Krasinski, viene fuori come un compitino da classe di scrittura: banale, prevedibile ed incoerente. Steve, presentato come spietato squalo pronto ad ingannare con qualsiasi mezzo (anche il “travestimento” sociale) pur di strappare un dollaro in meno sul prezzo, è inevitabilmente destinato a sciogliersi tra le braccia di una newyorkese capitata per sbaglio in provincia (Rosemarie DeWitt) e, non serve manco dirlo, tutti sappiamo che prima dei titoli di coda si troverà a fare la proverbiale cosa giusta almeno per una volta. Peccato, perché proprio sul finale la storia sembra assecondare una svolta sorprendente, di quelle che potrebbero gettare una luce tutta diversa sull’intera faccenda, ma Van Sant e colleghi non hanno il coraggio di seguirla fino in fondo, adagiandosi su una conclusione incoerente, ben poco verosimile e forzatamente bucolica.
Il cineasta americano, che aveva interessato tutti con la gioventù dei suoi più recenti Paranoid Park e Restless, appare intrappolato in una storia monocorde, dalla quale è impossibile trarre il minimo pathos; così l’unico punto di riferimento diventano le buone interpretazioni dei protagonisti, ciascuno provvisto di un personaggio ritagliato su misura.
Nessuno sembra però tenere conto dello sfortunato spettatore.
Occasione persa.

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