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Punto rosso

Da Nubifragi82 @nubifragi

rosso

Il fischietto sibila e le porte, azionate da un qualche algoritmo di vecchia data, si serrano con un rumore deciso che ha in sé qualcosa di definitivo. Clang! Non si torna più indietro! Come il Mar Rosso, come il muro di Berlino, come la cortina di ferro. Poi tre toni in scala dal più alto al più basso e infine qualcosa, lì sotto, si muove. Il corpo asseconda il movimento ondeggiando dalle caviglie alla nuca. A pochi chilometri di distanza Giulio Cesare proferì la celebre “Alea iacta est”. Sono passati duemila anni e il dardo è di nuovo tratto, la freccia inizia la sua rutilante accelerazione verso l’altrove, il lontano, il domani, la realtà. Già, la realtà. Che non è quella di oggi e non è nemmeno quella di ieri, che non è queste ore passate insieme, ma è le ore che passeremo domani, dopodomani e il giorno dopo dopodomani. Ma forse no, forse la realtà è anche questa, forse il tutto comprende anche quelle ore avvinghiati, i tuoi capelli, le parole sussurrate e quelle gridate e le nostre risate. C’è un antidoto per tutto, qualcuno disse. Non so, forse aveva ragione. Fatto sta che fatico a paragonare quella maglietta rossa ad un antidoto, mi fa ridere, anzi. Ora potrei dirti qualsiasi cosa e tu difficilmente riusciresti a capirmi. Cosa? Non capisco! E l’indice puntato verso l’incolpevole orecchio. Eppure io avrei ancora tanto da dirti. Chissà perché le parole più belle, quelle più nette, arrivano quando i dardi con le ruote di ferro sono ormai tratti. Si, tranquilla, non mi sporgo troppo. Ecco, mi sono voltato un attimo per controllare di non incocciare davvero la testa contro un palo e ti ritrovo più piccola. Non vedo più i tuoi occhiali, scorgo la testa, si, ma ancora per poco. E poi vedo un braccio che si alza e si allarga e ogni tanto la mano si avvicina alla testa e quasi mi sembra che tu voglia fare il verso agli indiani. Si ride per non piangere, capisci. Sei una macchia rossa, ora. E io ti parlo, ti dico cose che appena pronunciate svolazzano via tra le case e la strada ferrata. Forse arriveranno al mare e questi te le allungherà nel letto insieme alla fresca brezza della sera. E’ rimasto un punto rosso. Una barra blu con il nome della città e un piccolo punto rosso. Il dardo con le ruote di ferro si piega sulla sua destra. La mia mano si chiude, l’indice accarezza il palmo della mano. Una carezza ruvida, la mano d’un tratto arida come quella di chi ha lavorato la terra per una vita intera. Guardo davanti a me: uno spicchio di mare all’imbrunire, una ruota panoramica, insegne di hotel incastonate ovunque. Chiudo il finestrino e mi adagio sul sedile. Nel mio scompartimento una ventina di persone. Davvero non mi capacito. Le guardo una ad una, si, mi alzo e osservo i miei compagni di viaggio e me ne infischio se sono a chiedersi quale strano disturbo affligga la mente di questo ragazzo. Guardo e penso che forse va di moda il rosso, quest’anno. O forse davvero aveva ragione quel tale a dire che c’è un antidoto per tutto. Ed io vedo punti rossi in ogni dove. Sorrido, anche se tendere il labbro inferiore mi fa un po’ male. Niente più hotel a dieci piani né ruote panoramiche, ma case basse e auto parcheggiate nei cortili. E tu, piccolo punto rosso, ormai fuori dalla stazione. Ma perché, poi? Perché non immaginarti ancora là, con il braccio alzato sotto il cartello blu con il nome della città. Più ci penso e più ci credo. Mi alzo di scatto, tiro giù il finestrino e sporgo la testa. Il vento, squarciato dal dardo dalle ruote di ferro, mi riempie di scopaccioni. Si, lo vedo: un piccolo punto rosso in fondo al buio. Avrà un gran da fare questa notte il mare a raccogliere la striscia di parole, risa e pensieri che il vento sparge dietro al dardo dalle ruote di ferro. Una lunga striscia rossa partita da un punto altrettanto rosso. Quasi una cometa.



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