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pur peccando di egocentrismo

Creato il 30 luglio 2015 da Gaia

Ho deciso di scrivere alcuni aggiornamenti per chi fosse interessato. Sto scrivendo poco su questo blog, anche se ho praticamente finito il libro e quindi in teoria non ho più quel motivo per non scrivere e infatti mi sento in colpa. Il nuovo motivo per i non aggiornamenti è che sto leggendo molto, e leggendo mi rendo conto di quante poche competenze ho, e rimando le nuove espressioni di pensieri personali a un momento di maggiore conoscenza che potrebbe metterci davvero molto a venire o non venire mai. Però immagino che a qualcuno di voi possa interessare qualche aggiornamento riguardo alle cose di cui ho già parlato, e quindi eccolo.

Continuo con il mio sciopero dell’automobile: con una sola eccezione, dagli ultimi giorni del 2013 io non salgo su nessuna automobile per nessun motivo (una volta mi sono seduta su un sedile per aprire un computer, e una mia amica che è passata e mi ha vista me ne ha poi reso conto, ma la macchina non si è mossa e quindi non conta). Mi piace così tanto che spero di andare avanti così il più possibile. Ora che vivo in un piccolo paese di montagna posso rispondere anche all’obiezione: sì, puoi farlo perché vivi in città. Non vivo più in città, e lo faccio ancora. Ormai quasi tutti si sono abituati a questa mia stranezza, anche se c’è ancora chi fa qualche tentativo di farmi cambiare idea: “ma se attacchi la tua bici alla mia macchina e io ti tiro, vale?”, “ma non ti vede nessuno!”, “posso darti una botta in testa e buttarti dentro?” Ho superato anche la maggior parte, anche se purtroppo non tutte, le sfide dei matrimoni, i quali solitamente richiedono di essere in un posto in un certo momento e a quaranta chilometri di distanza mezz’ora dopo. L’ultima volta sono addirittura arrivata prima degli sposi, ma era perché io non dovevo essere fotografata.

Naturalmente, non sarebbe per niente facile avere un lavoro normale senza l’automobile, vivendo qui. Gran parte delle offerte di lavoro richiedono, tra le varie cose, di essere “automuniti” (espressione orrenda – pare quasi che l’automobile sia un organo in più del nostro corpo, quello che ci completa). Ma il poco denaro che potrei guadagnare con un cosiddetto lavoro normale verrebbe in buona parte speso per pagare una macchina, per cui non so quanto conveniente sarebbe al netto. La situazione per chi non ha lavoro è sempre più difficile. Molti non mi credono quando dico che non ne trovo, ma è perché ce l’hanno già. Uno degli sviluppi più inquietanti è che adesso molte aziende assumono con garanzia giovani, cioè si fanno pagare i dipendenti direttamente dallo stato (ho sentito che da queste parti offrono circa 800 euro al mese lordi per un tempo pieno, tra l’altro, e non è detto che arrivino). Sarebbe molto meglio se lo stato sostenesse direttamente chi non ha un lavoro, e l’azienda pagasse di tasca propria i dipendenti, ma evidentemente l’idea di pagare i lavoratori sta passando di moda.

Ora che è estate posso anche risparmiare sulla corriera, spostandomi in bicicletta sulle brevi distanze. Con un po’ di allenamento è più facile. La salita finale è sempre dura, ma ancor più duro è il fatto che quando finalmente arrivo al paese chiunque sia fuori in quel momento prende a incitarmi, a fare battute sul caldo o a prendermi in giro se sono scesa dalla biciletta per tirare il fiato.  Mi sembra di essere un corridore del giro d’Italia che crede che il peggio sia passato con il traguardo e invece deve rispondere ai giornalisti. Scherzo. È molto bella la partecipazione collettiva al mio sforzo personale. Mi piacerebbe pensare di dare il buon esempio, ma finora non so se è successo che io abbia ispirato ulteriori ciclisti.

Non trovo più latte. Gran parte delle vacche sono su nelle malghe, e persino i malgari che scendono a bersi i tagli in paese non hanno voglia di portarmi il latte. Bevo tè ogni mattina. Più passa il tempo più il latte industriale mi sembra come l’automobile, un errore che non voglio fare più.

Ho comprato Eating animals di Jonthan Safran Foer. Le prime pagine sono bellissime. Ammetto apertamente che, anche perché diffido dei fenomeni, faccio fatica a riconoscere il talento di un mio coetaneo che fa quello che vorrei fare io con giusto un po’ più successo di me :), quindi se vi dico che scrive benissimo e dice cose che meritano di essere dette a maggior ragione dovete credermi.

Ho anche letto Buoni si nasce di Paul Bloom e Confederalismo democratico di Abdullah Öcalan (grazie a chi me li ha regalati), e una biografia di William Morris. Volevo scrivere qualcosa su tutti e tre ma non so se a qualcuno interessa, se sì ditemelo e lo faccio, scusate la pigrizia, ma comunque i libri è meglio leggerli che leggerne il riassunto e tutti e tre meritano. In particolare, se vi piace almeno metà di quello che dico e faccio e soprattutto che dico di voler fare, vi consiglio di scoprire chi è stato William Morris, uno spirito affine se mai ne ho incontrato uno – se non fosse che disponeva di maggiori talenti e ancor maggiori risorse di me. William Morris è uno dei migliori modelli di quello che vorrei essere nella mia vita.

Sto cercando di organizzare (facendomi umilmente aiutare) delle presentazioni, se avete idee o proposte contattatemi pure. Ho un libro e alcune poesie già pronte, ma non pubblicherò più niente prima di aver venduto altre copie di quello che è già uscito, perché voglio capire se quello che sto facendo ha un senso oppure no (in realtà se fossi completamente onesta avrei già concluso che di senso ne ha poco, ma una certa misura di autoinganno e una certa inequità nel dare più peso agli incoraggiamenti rispetto alle critiche sono quello che mi manda avanti).

Infine, sto ricevendo numerose lezioni di umiltà dalle mie esperienze agricole. Non nel senso del signore la cui casa dà sul mio campo, che apre la finestra per gridarmi tutto quello che sto sbagliando (dovevo usare la vanga e non la pala, è tardi per le barbabietole, la luna non è quella giusta, e io non posso né controbattere né mollare quello che sto facendo, quindi continuo un po’ imbarazzata sperando che capisca), o del capriolo che mi passa saltellando davanti con una notevole faccia tosta considerando che è lui il probabile responsabile del fallimento dei pochi fagioli in cui riponevo le mie speranze, no: nel senso molto peggiore del rendersi conto di cosa vuol dire consumare la fertilità della terra, dipendere dal tempo capriccioso e dallo spazio scarso, e in fin dei conti, e chi lo nega mente, in grandissima parte dall’agricoltura industriale. Facile fare l’orto e avere il camioncino dell’ortofrutta e il supermercato a disposizione per tutto quello che manca. Una volta non c’erano, e la vita in montagna era molto più faticosa. Ma ci sto lavorando. Ci stanno lavorando tutti, in realtà – scambiare consigli, impressioni, sementi e persino prestare la terra sono attività normali quassù, spontanee e comunitarie, compreso il signore che dopo avermi redarguita mi ha offerto i suoi semi di rapa, e le parole non possono esprimere quanto sono grata a tutti i compaesani per tutto questo.


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