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Quale Africa

Creato il 08 gennaio 2014 da Lundici @lundici_it
Tougan, Burkina Faso settentrionale.

Uno sguardo da uno dei paesi più poveri dell’Africa. Il Burkina Faso.

Non per la prima volta scrivo d’Africa, tanto che a volte passo per esperta. Dev’esserci un equivoco. Io sono cresciuta a pane e “U.S.A dove sei”, a Hollywood e rock, massimo qualche emozione alla Lucio Battisti, e molte arrabbiature per le porcate dell’umanità, più il daltonismo razziale, per cui non vedo i colori della gente. Se la amo e la detesto sarà per tanti motivi, ma non per le sfumature della pelle. Da qui certe scelte di vita.

La premessa era d’obbligo, ma ora bisogna parlare davvero di questo continente. Siamo stati in Burkina Faso. Perché proprio lì? Non so gli altri, ma a me questo posto è sempre passato sotto il naso, da un’interrogazione di geografia al mito di Fausto Coppi che vi fece il suo ultimo viaggio nel lontano 1960, quando ancora si chiamava Alto Volta, questo vero e proprio “paese delle due ruote” (rari i mezzi pubblici e le auto, pochi i camminatori, quasi solo le “vélo”, la bicicletta, e motorette) non ha mai perso d’interesse ai miei occhi.

Piccolo, senza sbocco al mare e povero, questo è il Burkina. So che a molti non fa piacere che si rimarchi la miseria, ma siamo nel 2013 e certe situazioni dovranno pur finire, alla svelta, mi dico. Certo, da occidentale in preda a nostalgie decadenti, vedere villaggi fermi al precolonialismo, senza luce né gas, qualche pozzo per l’acqua, stuoie per dormire, zebù in libera uscita, insomma sarà anche fascinoso se cerchi l’esperienza antropologica mezzo Blixen e mezzo Bacchelli, ma non è ammissibile ciò che oggi ancora persiste.

Accoglienza

Accoglienza

Vorrei parlare di tante altre cose, per esempio l’adozione (o sostegno) a distanza, con una piccola associazione, che ti porta a conoscere coloro che aiuti, a parlarci, a verificare, senza i mezzi delle majors della beneficenza; e della gentilezza dei locali, i loro sorrisi, nonostante manchi molto o quasi tutto; l’imbarazzo di un’accoglienza di quelle che si riservano ai reali, il voler ricambiare i loro grazie (barkà, barkà, in lingua samo, parlata nella zona dove abitano i nostri ragazzini), le continue domande a chi ne sa di più, perchè questo e perché quello, perché la scuola tutta a pagamento, perchè pochi o niente ospedali, perché, perché, perché.

E che dire di uno dei pochi luoghi di villeggiatura dei vip burkinabé, al lago artificiale di Loumbila, con la “gioventù dorata” di Ouagadougou che beve ai tavoli (qualcuno potrebbe essere parente di un ministro, mi informano)? La vedi e ridi per non piangere: meno male che i maggiorenti se ne volano in Costa Azzurra, poverini, altrimenti riesce difficile entusiasmarsi per una piscina o due giochi per bambini che in Europa trovi nel parchetto di periferia.

La festa offerta da noi alla locanda (il Burkina è multireligioso, ma la domenica è alquanto rispettata) è stata una sorpresa, i nostri ragazzi non erano mai saliti su un’auto, capite? Hanno trascorso il pomeriggio a giocare, invece che come al solito: le femmine, a badare ai fratellini più piccoli, i maschi a pascolare il bestiame, che è poi quello che comunque devono fare anche se paghi loro gli studi.

Non tutta l’Africa è così, anzi alcuni paesi se la passano molto meglio, questo è evidente, ma anche molto peggio se hanno risorse appetibili. Qui, niente petrolio o diamanti o bauxite, e allora dove sono l’ONU e la FAO?

Molti rimpiangono l’ansito di Thomas Sankara, ma la sua tomba viene alternativamente omaggiata e vandalizzata, troppo marxismo, obietta qualcuno: allora, il sacrificio della sua vita a cosa è servito, se dopo ventisei anni non si può uscire dall’albergo senza che stuoli di bambini si avvicinino silenziosi e speranzosi in un bon bon o una foto?

Dunque, non è forse giunto il momento di salutare un certo atteggiamento da “mal d’Africa” e mettere i piedi nel piatto? Molti governanti locali, con tutte le scusanti del caso, valgono ben poco, nonostante si tratti di una classe dirigente formata in Europa. O forse proprio per questo. Alcuni di essi hanno torbidi passati, ma si chiude un occhio se è il caso, accordi commerciali, forum sulla pace, intermediari con gli integralismi in agguato, e allora si tollera che continuino gap spaventosi in materia di stato sociale, istruzione, sanità. Beninteso, la questione non riguarda solo l’Africa, ma è di essa che stiamo parlando, è il suo destino che ci sta a cuore.

Quando arrivano i barconi e la gente affoga, quando si scopre che i CIE offrono l’ospitalità di un pollaio, una parte di società occidentale si gira dall’altra parte e pensa che sia meglio chiudere le frontiere, ma le sparate elettorali lasciano il tempo che trovano dinanzi all’urgenza del problema e alla sua origine, diremmo alla sua radice.

Ouagadougou, capitale del Burkina Faso.

Ouagadougou, capitale del Burkina Faso.

Il volontariato è una gran bella cosa e, se torni da uno di questi paesi dopo averne fatto, non è raro essere riaccolti in patria da un coro di elogi, però il pensiero di chi torna rimane fisso a ciò che ha veduto, al perché questo sia potuto accadere, si rivisitano dei canoni etici, puoi essere l’individuo più progressista o l’asceta dell’anno, ma in un giorno consumi più di una regione africana tutta intera, il tuo benessere è a spese di qualcuno.

Tutto ciò non ci fa forse perdere il sonno, la vita continua, ma la cecità verso i fenomeni epocali presenta il conto, anzi lo sta già facendo. Per quanto ancora si potrà andare avanti, e parliamo di Italia, a scontrarsi nei talk show o nelle piazze al grido di “tutti a casa loro!”, o a un più sussurrato “viva la solidarietà”, noi stessi, quelli “buoni”, quelli “solidali”, a volte poco convinti di fare davvero la cosa giusta e non invece di stare sbagliando tutto?


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