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Quando il futuro sembrava una promessa

Creato il 10 ottobre 2012 da Tabulerase

Quando il futuro sembrava una promessaTi capita a volte un pensiero fuori moda, un specie di Timberland fuori tempo massimo, come l’idea dell’interrail ai tempi di rayanair, C’era un tempo neppure tanto lontano in cui si credeva che lo startac fosse una meraviglia della tecnologia e che Motorola avrebbe segnato le nostre vite come la Fiat 127 e il Telefunken avevano fatto con le vite dei nostri genitori e l’idea di smartphone non era contemplata neppure nelle ipotesi più fantasiose degli scrittori postmoderni.

 Invece accade che la turboobsolescenza non solo produce, tritura e rigetta in pochi anni mercati ed aziende, rivoluzionando mondi che sembrano pieni di certezze e solidi capisaldi, ma investe e quasi azzera concetti sui quali pensavamo di fondare il nostro futuro.

 Credevamo un tempo non lontano di poter costruire qualcosa di importante che avrebbe richiesto magari qualche secolo per affermarsi pienamente che, però ,  avrebbe disegnato il futuro del Vecchio mondo. Pensavamo di costruire un grande paese al di fuori degli schemi del nazionalismo ottocentesco o del manicheismo ideologico del Novecento,  pensavamo di costruire uno spazio multiculturale pieno di opportunità, riccodi storiae di bellezza, portatore sano di uguaglianza al nastro di partenza, crasi di culture differenti ma contigue, garante di ultima istanza della democrazia nel mondo intero.

 Pensavamo di partecipare al processo di costruzione  della Nuova Europa, pensavamo di essere giàla Nuova Europaed era appena il 1999.

 E non erano i colori dei 20 anni ad ingannare i nostri occhi, non era il profumo dell’aspettativa di un mondo ancora non imbrattato dal fanatismo ortodosso, non  la convinzione che l’aggettivo “radicale” era una medaglia da appuntarsi con fierezza perché voleva dire staccarsi dal vecchio e aver il coraggio di credere in un mondo condiviso possibile a convincerci di questo. Era il mondo di Clinton e di Eltsin, del centrosinistra al potere e della società delle nazioni che prendeva si le armi ma contro la pulizia etnica in Kosovo, credevamo che il tempo del regresso era definitivamente alle spalle e un tempo luminoso fosse davanti a noi.

 E non avevamo paura della parola Europa, eravamo italiani ed europei, spagnoli ed europei, danesi ed europei. Passeggiavamo nel barrio Chino o a saint Germain immaginando con orgoglio una moneta che non sarebbe stato il simbolo revanchista di  una qualunque delle nazioni che avevano maciullato milioni di nostri coetanei 60 anni prima , bensì la prima pietra del nostro Edificio Comune.

Un Edificio costruito nei secoli sulle innumerevoli stratificazioni a volte geniali, a volte ingegnose a volte ammirevoli, spesso terribili che nel bene e nel male hanno attraversato il nostro continente. E senza esclusione alcuna, tutti ci sentivamo figli della democrazia ateniese e del diritto romano, allo stesso tempo nipoti del genio impressionista e padri colpevoli dell’Olocausto. In minima parte tutti noi che eravamo europei alla fine del Novecento sentivamo la fierezza di 3 millennidi storiae i sensi di colpa delle brutture partorite dal nostro ventre a volte marcio ma sempre pronto a generare bellezza anche dalle lordure più aberranti.

 E di tutto ciò che cosa resta dopo neppure 15 anni?

Oggi il nostro edificio che pareva imponente ci appare tetro, le  porte  maestose aperte al mondo intero diventate ignobili fessure sbarrate dall’acciaio e circondate dal filo spinato. Le stanze un tempo festose ormai abitate da omuncoli che hanno capovolto il senso della costruzione, dominata ormai dalla finanza che da mezzo si è fatta fine.

Oggi Europa è un mero concetto geografico nella migliore delle occasioni, un severo giudice intransigente e sadico, sinonimo di un privilegio per il burocrate che gode di un posto al sole pallido.

E invece per me Europa è la gioia di attraversare il Brennero, il Frejus o i Pirenei senza dovermi fermare perché Italia, Francia, Austria e Spagna sono tutte Europa, la mia casa.

Europa per me è vivere a Marburg per un anno senza dovermi recare ad un posto di polizia per comunicare chi sono e da dove vengo.

Europa per me è piangere davanti a Guernica perché quella mostruosità è stata anche colpa mia, perché io sono Europeo.

Europa è potermi incazzare se un cappuccino a Rennes costa 2 euro perché, cazzo, un cappuccino è un cappuccino a Rennes, a Valencia e ad Atene e 2 Euro sono due euro a Rennes, a Valencia e ad Atene.

Europa è vergognarmi di Alba Dorata, di Forza Nuova, del Front National perché Grecia, Italia e Francia sono innanzitutto Europa e io mi vergogno di chi imbratta gli orizzonti dell’Europa, del mio Paese a qualunque latitudine.

Europa oggi non è uno Startac, non è un paio di Timberland, non è il Commodore 64, Europa non è un concetto vintage simpatico ma desueto. Europa deve ritornare ad essere il progetto di bellezza di un continente che non ha bisogno più di grigiore e muffa ma di spalancare di nuovo le proprie finestre e riassaporare l’aria pura e rarefatta di chi ritorna a percorrere i sentieri che ci porteranno in cima alla vetta più alta.


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