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Quando il rumore del silenzio diventa parola

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

Il cuore per un istante mancò un battito. Tenere a bada i pensieri, a volte, è come restare senza fiato. I silenzi, poi, pesano due volte più delle stesse parole. Sono come delle gelide folate che sferzano il viso. Alleviare le vertigini dell’accondiscendenza muta, priva di spessore dialettico, di forma consistente, è un precario baluardo contro la propria dignità. Stare zitti, non parlare, abbassare la testa e scuoterla senza peso significa dilatare lo stomaco per accogliere quello che la testa rifiuta. Certo, per alcuni esiste l’arte della diplomazia. Del festival della parola, traboccante, piena, serpentina, boriosa. Per quelli con le spalle larghe e forti, oppure per coloro che si nascondono dietro il sorriso traditore. Come per magia, le bocche impastate di parole scivolano come terra bagnata tra i ciottoli del giardino della falsità. Le figure ingobbite dal servilismo passano come un alito di ghiaccio. Le loro critiche si dissolvono nel torrente di complimenti stucchevoli. Si servono di iperboli per indebolire e di elogi per distruggere. Sempre loro, dal tuono untuoso, vanno oltre. Procedono e si allontano paonazzi, certi di aver ingrassato anche l’anima. Eppure i silenzi di coloro che sono spogli di parole raccontano delle lunghe falcate in groppa alla dignità.


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