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Quando referendum non significa democrazia

Creato il 03 novembre 2011 da Exodus, Di Luca Lovisolo @LucaLovisolo

Nei giorni scorsi, il capo del Governo greco Giorgos Papandreou ha annunciato ad Atene l’intenzione di indire un referendum sui provvedimenti decisi con gli altri Paesi dell’Unione europea a sostegno della Grecia, nella sua difficile situazione economica. L’annuncio, non concordato con gli altri membri dell’Unione, ha suscitato nervosismo e pesanti conseguenze economiche.

Si può interpretare l’intenzione di ricorrere alle urne come una ricerca di supporto da parte del Governo di fronte alle difficili decisioni richieste dall’attuale momento economico. Il ricorso al sovrano attraverso il voto comporta sempre una certa solennità e si presta non di rado a letture non esenti da retorica.

Il popolo esprime la propria sovranità nelle forme e attraverso gli strumenti stabiliti nelle Costituzioni dei diversi Paesi. Il ricorso al voto del popolo su singoli provvedimenti è regolato con precisione in ogni Stato. Esso ha delle limitazioni, che possono concernere le politiche di difesa, aspetti fondamentali di legislazione tributaria ed economica o le norme cogenti previste dai trattati internazionali.

Lo spirito di queste limitazioni è chiaro: non è possibile sottoporre a voto popolare diretto materie che toccano diritti fondamentali, interessi collettivi supremi o sovranazionali. La decisione su queste materie è riservata ai Parlamenti, dai quali ci si attende la necessaria competenza tecnica e visione globale sull’oggetto in discussione. Non per questo tali materie sono sottratte alla sovranità popolare: i parlamenti, infatti, sono espressione del voto del popolo.

Non si tratta qui di discutere se la Costituzione della Repubblica greca preveda o meno la possibilità di sottoporre a referendum l’adesione all’euro o i singoli provvedimenti anticrisi. Indire su queste materie una votazione popolare, però, costituisce in questo contesto una sconfitta della democrazia rappresentativa.

Va ricordato che la posizione della Grecia, insieme a quella dell’Italia, è in questo momento al centro delle preoccupazioni per la stessa sopravvivenza della moneta unica europea e dell’Unione europea come la conosciamo oggi. I membri del Parlamento di un Paese devono essere in grado di decidere su una materia di tale importanza senza ritornare al voto del popolo, poiché a tale scopo sono stati eletti come rappresentanti dei cittadini.

Un delegato indeciso, che a ogni decisione importante torna a chiedere lumi al suo delegante, non fa l’interesse del delegante, ma rinuncia di fatto al suo ruolo. La miglior dimostrazione di questo asserto è la confusione economica e politica seguita all’incauto annuncio del referendum da parte del capo del Governo greco. Un Paese che solo la settimana scorsa sembrava essere riuscito a serrare le fila, dimostra con questo passo tutta la debolezza dei suoi dirigenti. Nel voler pronunciare un’affermazione di sovranità, la Grecia ha distrutto quella poca che le restava, quale che sarà l’esito del referendum (se si terrà) e si avvia a un fallimento economico non controllato che solo pochi giorni fa sembrava ancora evitabile o governabile.

Tutto ciò non ha nulla a che vedere con il potere di controllo esercitato dal popolo e con l’esaltazione della sovranità popolare diretta. Ne è, in realtà, l’esatta negazione, poiché un tale modo di procedere, nel contesto presente, mina le basi stesse dell’esistenza di uno Stato democratico e dei trattati internazionali che ha sottoscritto. | ©2011 Luca Lovisolo


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