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Quando scrivere è sporcarsi le mani:il noir di Valerio Varesi

Creato il 03 marzo 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

C’è un modo, quel modo di dire le cose che attinge a piene mani dal cuore e dall’esperienza, e fa di Valerio Varesi, giornalista di Repubblica (redazione di Bologna) con al suo attivo numerosi libri con protagonista l’ormai celebre commissario Soneri, un uomo che, per radici e indole fa della sua profondità un suo tratto distintivo. Un doppio ruolo il suo che gli ha consentito di avere un’ottica ampia adatta per far comprendere, in primis a sé stesso, con cosa avrebbe dovuto lottare una volta deciso che scrivere gli piaceva proprio e non era soltanto un mestiere. Ma in questo forse si è ancora troppo soli, come ci dice anche lui…

1) Quanto è importante la consapevolezza di essere soli per lo scrittore Varesi?

Credo che chiunque scriva si senta sempre molto solo. Tutto ciò ha un lato positivo nella sensazione di essere una sorta di demiurgo con tutto ciò che ne consegue in termini di libertà, ma spesso lo scrittore è anche di fronte a un cammino del tutto incognito con momenti di vera angoscia. Forse è proprio questa la conseguenza dell’essere liberi di creare

2) Tu e il personaggio di Soneri, che apprezza i piaceri della cucina: cosa c’è da assaporare come un piacere ancora, nella scrittura di oggi?

Dipende dai gusti come per la cucina. In generale credo che oggi la vera letteratura sia nascosta e negletta. Bisogna andarla a cercare allo stesso modo di un buon ristorante. Non la si trova certamente, salvo eccezioni, tra i libri reclamizzati, né tra quelli suggeriti nelle trasmissioni tv in voga. Raro anche nelle classifiche. Uno scrittore milanese mio amico, Matteo Di Giulio, ha detto che in Italia non ci sono scrittori famosi, ma famosi che scrivono. Mi sembra azzeccata come definizione.

3) Doppio ruolo di giornalista e scrittore, hai una visione dei costumi ampia e dettagliata: qual è la differenza più evidente che intercorre tra la scrittura di oggie quella di quando hai iniziato tu?

A livello giornalistico la differenza è enorme, forse meno nell’ambito letterario. Il giornalismo, quando ho cominciato io, vale a dire la metà degli anni ’80, era più umile e didascalico, ma anche molto più curioso. Si andava a cercare ciò che era prezioso e nascosto, mentre oggi si celebra ciò che è noto e televisivo col risultato di omologare tutto. Il linguaggio doveva essere fruibile a chiunque, mentre oggi ci sono settori, come quello economico, in cui i giornalisti raccontano un fatto con termini così tecnici da essere capiti solo dai laureati in Economia. In letteratura, invece, si è approfondita la contaminazione con il linguaggio di cinema e tv. Si è persa sensibilità e sottigliezza.

4) Il giornalismo aiuta veramente la letteratura oggi?

Solo per quel che riguarda la fornitura continua di fatti, personaggi e situazioni, vale a dire di tutto il materiale che può costituire il retroterra di un romanzo o racconto. Non dimentichiamo che la realtà è sempre più avanti della fantasia.

5) L’attaccamento alla propria terra d’origine è un cordone ombelicale da tagliare per diventare scrittore di ambito internazionale, o si può ancora fare dei regionalismi un’arma in più per produrre letteratura di alto livello?

Non sono necessari grandi scenari anche se la televisione ormai ha così appiattito le nostre percezioni da indurre l’idea che se non ci sono gli stradoni e i grattacieli di Los Angeles, non sia possibile né scrivere un romanzo né girare un film. Io rimango fedele al detto cechoviano che se vuoi essere universale devi parlare del tuo paese. Tutto sta nel come ne parli. La forma, in letteratura, è il contenuto. In una presentazione berlinese, un lettore tedesco mi disse che il bello del giallo italiano era proprio la sua capacità di rappresentare tanti angoli d’Italia.

6) Valerio, perché hai subìto il fascino del noir?

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Perché ritengo che sia molto efficace nel raccontare l’oggi. Non tanto nella sua forma classica dell’indagine su chi ha ucciso, ma nella versione più propria del noir che si chiede perché è successo. Se ci si mette da questo punto di vista, l’indagine stessa si allarga alle cause sociali del delitto e dunque assurge al ruolo di romanzo sociale.

7) Cosa si può ancora inventare di nuovo e nel genere e cosa invece non ti convince?

Forse quello che si potrebbe inventare è un commissario impegnato in inchieste che finiscono con uno scacco, un niente di fatto e l’archiviazione come casi insoluti. Sarebbe molto realistico visto che succede così per circa la metà dei delitti commessi. Certo verrebbe meno uno dei pilastri della gabbia narrativa del giallo. Non so se sarebbe ben accettato un libro così. Quello che non mi convince è l’insistere col giallo enigmistico e ingenuo, i commissari sbadati, sventati, ridicoli se non macchiettistici. Non mi convincono i serial thriller, poco credibili nel nostro paese. Mi vien da ridere leggere di dieci morti in posti di provincia: ma quando mai? E’ successo raramente.

8) Vedi qualcosa di nuovo nella letteratura di oggi, o è vero che la qualità si sta abbassando?

Il male della letteratura di oggi è che non esiste più una società letteraria capace di fare filtro e di giudicare. Molti libri sono il prodotto standard di autori improvvisati e della revisione degli editor. Gran parte dell’editoria di oggi, infestata dai manager della Bocconi incapaci di distinguere la differenza tra vendere un libro e vendere un cioccolatino, produce solo libretti di consumo. Non si investe su autori destinati al catalogo, ma si bada solo al fatturato. Una politica suicida.

9) Oscar Montuschi (Il rivoluzionario) e Franco Soneri (13 romanzi della serie), profondamente diversi per temperamento, condividono una stessa fede nella giustizia sociale, che in Montuschi non viene meno neppure all’infrangersi degli ideali di partito e in Soneri non vacilla davanti alla corruzione di un sistema che non risparmia nemmeno le Forze dell’Ordine. Vedi la scrittura come un impegno sociale, ha un fine ultimo più nobile del puro intrattenimento?

Assolutamente sì. Se mi accorgessi di praticare solo intrattenimento smetterei. Credo, invece, in una letteratura di impegno in cui l’autore si sporca le mani e si mette in gioco. I libri parlano sempre di noi, della vita, dell’umanità. Non devono divertire, bensì far riflettere. Per il divertimento ci sono mille altre cose migliori.

10) Il ruolo dell’Editore oggi rispetto ai grandi modelli del passato, che orientavano il gusto e rischiavano da imprenditori nella promozione di autori sconosciuti ma di qualità.

Ci sono editori che ancora inseguono la qualità e investono sull’autore. Frassinelli, all’inizio, mi fece proprio questo discorso: “Non compriamo un titolo, ma investiamo su un autore”. Tuttavia, la maggioranza dei marchi editoriali, per ragioni economiche, puntano su quelle opere che possono far fatturato e allora avanti coi cantanti, i presentatori, i calciatori, gli attori… Ce n’è una sfilza lunghissima. Se uno è famoso per altri motivi, va sempre bene perché appena il libro sarà pronto ci saranno trasmissioni in gran quantità a ospitarlo. Ha a che fare qualcosa con la letteratura tutto ciò? Semmai coi bilanci. Un tempo si facevano libri commerciali per finanziare la ricerca letteraria di nuovi talenti. Oggi ci si ferma al primo stadio.

Valerio Varesi il sito

Chi è Valerio Varesi:

Valerio Varesi è nato a Torino l’otto agosto 1959 da genitori parmensi. A tre anni è tornato nella città emiliana dov’è cresciuto e ha studiato. Si è laureato in filosofia all’università di Bologna con una tesi su Kierkegaard. Nell’85 ha iniziato a scrivere su giornali e riviste pubblicando anche racconti in raccolte collettive. Dopo essere stato corrispondente da Parma per La Stampa e La Repubblica, nell’87 ha lavorato alla Gazzetta di Parma e nel ’90 è passato alla redazione bolognese di La Repubblica. La prima pubblicazione è del ’98, un romanzo giallo (Ultime notizie di una fuga ed. Mobydick) liberamente tratto dalla vicenda Carretta. Nel 2000 è uscito Bersaglio, l’oblio edito da Diabasis con il quale è stato finalista al festival del noir di Courmayeur e al premio Fedeli, organizzato a Bologna dal Siulp. Assieme a una decina di altri autori (tra i quali Macchiavelli, Manfredi, Barbolini e Pederiali), ha pubblicato Aelia Laelia Crispis (Diabasis), una raccolta di racconti ispirati a una misteriosa lapide bolognese. Nel 2002 è uscito Il cineclub del mistero edito da Passigli con la presentazione di Carlo Lucarelli. Sono Seguiti alcuni romanzi con l’ispettore Soneri protagonista: L’AffittacamereIl Fiume delle nebbieLe Ombre di Montelupo, A mani vuoteOro, incenso e polvere, La casa del comandante e Il commissario Soneri e la mano di dio (editi da Frassinelli). Al di fuori della “serie” legata all’ispettore Soneri, nel 2007 è uscito il romanzo Le Imperfezioni(Frassinelli) e nel 2009 Il paese di Saimir (Edizioni Ambiente, VerdeNero) di Il commissario Soneri e la mano di dio. Nel 2010 esce E’ solo l’inizio, commissario Soneri e nel 2011 La sentenza, dopodiché vengono pubblicati Il rivoluzionario e Il commissario Soneri e la strategia della lucertola

Il commissario Soneri, protagonista dei romanzi di Varesi, con il volto di Luca Barbareschi è approdato in Tv nella serie di sceneggiati Nebbie e Delitti su Rai Due nel novembre 2005 (al fianco di Barbareschi c’era anche Natasha Stefanenko).



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