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Quando una passeggiata diventa ricerca storica

Creato il 27 aprile 2013 da Jasper @MarcoFocaccia

Qualche giorno fa, ho fatto un giro al mare, nei pressi di Cervia. Camminavo sulla spiaggia, mentre pensavo ad una persona, e al fatto che mi sarebbe piaciuto averla lì al mio fianco in quel momento,
Quando una passeggiata diventa ricerca storica
quando i miei piedi mi hanno portato davanti ad un cancello maestoso, ma arrugginito. Ho guardato oltre quel cancello e mi sono accorto che ero davanti all'ormai abbandonata Colonia Varese a Milano Marittima. (Molti di voi diranno e che c'è di particolare in una colonia abbandonata?) normalmente nulla, ma questa è la Colonia per eccellenza. Ora vi spiego.
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Molti appassionati di horror e stimatori del Grande Pupi Avati sicuramente la conosceranno come la Colonia di Zeder. Infatti nel 1983, il regista Pupi Avati girò un film all'interno di questa colonia. Zeder per l'appunto un film horror da lui sceneggiato con il fratello Antonio e Maurizio Costanzo. Ne sono protagonisti Gabriele Lavia e Anne Canovas.
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Oggi non voglio parlarvi del film, magari un'altra volta lo farò, dopo averlo rivisto per l'ennesima volta, potrei cimentarmi in una recensione, ma non sarei imparziale, in quanto adoro il grande Pupi Avati (è sua la colpa se mi piace il cinema e se voglio provare a diventarlo, ma questa è un'altra storia)
Passiamo alla storia della Colonia Varese:

Quando una passeggiata diventa ricerca storica

Com'era la colonia negli anni 60

Costruita all’incirca nel 1937 dall'ingegnere Mario Loreti per conto della Federazione dei Fasci di Varese. È una costruzione che sfrutta le opportunità offerte dall'assenza di punti di riferimento urbani e dalla semplicità dell'assetto tipologico per celebrare le potenzialità del nuovo dettato razionalista, di volta in volta messo a confronto con le pulsioni di carattere monumentale o di ascendenza futurista. È il caso della colonia Varese (intitolata a un'icona del fascismo, Costanzo Ciano), dove la nitida geometria solida dei corpi di fabbrica posti in faccia alla battigia di Milano Marittima viene esaltata, sul fronte, dall'innalzarsi imponente dei corpi scala. Il cantiere, si apre nella primavera del 1938, e già nell'anno successivo i lavori si possono ritenere conclusi. L'edificio, allora isolato fra la pineta e il mare, appare fin da subito enorme: si distende, infatti, su un'arena di circa sei ettari, con una superficie coperta di 4.300 metri quadri e una volumetria di 62.000 metri cubi. Le suggestioni futuriste emergono, in tutta evidenza, nell'assetto planimetrico che richiama, attraverso una disposizione ad archi di centri concentrici, l'immagine di un idrovolante. Come nella colonia Le Navi di Cattolica, insomma, si ripropone, su uno schema di schietto stampo razionalista, il mito macchinista di matrice aeronautica o navale. Domenico Zamagna scrive su essa: “Esaminando la pianta dell'edificio è infatti possibile identificare la coda del velivolo nel blocco contenente l'ingresso principale, la fusoliera nei due volumi che si diramano da questo e delimitano il cortile interno, le ali nel sistema delle rampe e dei servizi, i motori nei corpi su quattro piani che contengono le camerate e la cabina di pilotaggio è individuabile nel corpo di fabbrica a due piani che si affaccia sul mare, dove sono collocati i refettori e gli spazi di ricreazione”. Tutto questo senza rinunciare, in alzato, al principio di monumentalità, da notare le due enormi rampe di scale e a un razionalismo rarefatto e lineare che si esprime nelle geometrie elementari delle pareti finestrate. L'edificio, era stato pensato come una città doveva esser in grado di ospitare un migliaio di bambini e mostra, fin dall'esterno, le funzioni a cui è destinato: le camerate e i refettori, ben distinti, per i maschi e le femmine, le sale della direzione, gli alloggi del personale, gli uffici, i locali di servizio, secondo una rigorosa articolazione gerarchica che disciplina la vita quotidiana della colonia. Al centro della corte, prospiciente il mare, si staglia poderosa la scultura del duce. Un inno al fascismo trionfante, destinato però, di lì a poco, a una rapida obsolescenza. Durante la seconda guerra mondiale la colonia è subito destinata al ruolo di ospedale e di carcere per le truppe tedesche, mentre il corpo centrale delle rampe viene abbattuto. lntorno al 1960 che rappresenta il periodo in cui é stato intrapreso un progetto di ricostruzione, mai portato a termine. La parte di struttura rimasta incompleta, corrispondente alla zona centrale, oltre ad essere un'affascinante diaframma fra la pineta antistante e il mare, funge da cerniera per tutto l’intero organismo. Un gioco tra consistenza ed inconsistenza, effimero e incombente rende la colonia un oggetto architettonico particolarmente “carismatico”. La colonia dagli anni ‘90 é entrata a far parte delle competenze della Sovrintendenza dei Beni Culturali (come previsto dalla Legge n 1089 del 1939), in quanto ha compiuto i cinquanta anni dalla data di costruzione. Ma lo stato di abbandono è destinato a permanere e oggi la colonia, ormai in rovina, rimane in attesa di una sempre più problematica opera di recupero e rivitalizzazione.

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La colonia oggi

Fino a qualche anno fa ci abitava un portoghese sulla cinquantina, che l'aveva scelta come sua dimora, oggi non so se c'è ancora lui, ma qualcuno ci vive!

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