Magazine Cultura

Quanto è importante il titolo?

Da Marcofre

quanto è importante il titolo

Risposta breve: tanto.
Vuoi la risposta “articolata”? Continua a leggere.


Non ci vuole un genio per capire che il titolo di una storia lunga, o di un insieme di storie brevi, è importante. Lasciami però ricordarti che probabilmente chi scrive non ci pensa affatto; o ci pensa poco. Insomma: io scrivo per un paio d’anni una storia e poi devo inventarmi un titolo capace di accalappiare l’attenzione dei lettori?
Be’, sì. Questo è un punto importante che un po’ tutti sottovalutano. Sono persuasi che il titolo che hanno dato, sia quello giusto; può darsi. In realtà credo che sia necessario prendersi del tempo per azzeccare quello giusto.

Come compri un libro?

Già, come lo compri? Di solito si va in libreria (ancora adesso) e si getta un’occhiata ai titoli. Io, credo di averlo già scritto in passato, spesso scelgo in base al titolo. Adesso però potresti farmi notare che con i libri elettronici:

  • non si va più in libreria;
  • la copertina ha un peso maggiore.

Sulla prima affermazione sono d’accordo. Io stesso vado sempre di meno in libreria. Compro libri elettronici e dopo pochi istanti li ho sul mio iPad.
Anche la seconda affermazione è giusta, ma la copertina ha sempre avuto un ruolo importante; solo che non ci badavamo troppo. Dicevamo: “Bella”, oppure “Brutta”, ma a noi questo tipo di argomento appariva insignificante. Lo sai perché?
Perché mica pensavamo di diventare autori di libri auto-pubblicati. E anche se scrivevamo, pensavamo che un editore ci avrebbe notato, e ci avrebbe pensato lui. Erano compiti suoi insomma, e invece…
Se vuoi che qualcuno compri il tuo libro devi pensare al titolo.
Fermati.
Lo so. Hai avuto l’illuminazione. Ti piace. Il titolo che hai pensato ti sembra quello giusto. Perché racchiude il senso della storia che hai scritto. Posso dire a questo punto un eloquente: “Uhm”?

Creare titoli è un’arte insidiosa

Quello che ti sfugge è che sei troppo coinvolto. Quello che dovresti fare è prenderti un bel po’ di tempo, dopo che hai chiuso la storia. Dimenticala completamente, tanto lo devi fare, lo sai vero? Non sei uno di quelli che appena finito, subito pubblica; perché sai che sarebbe un errore ciclopico.
Lascia che le scorie si depositino sul fondo, e poi riprendi tutto e pulisci ancora una volta. Hai dei lettori beta? Un editor? Bravo, affidati a loro. Più volte.
Creare titoli è un’arte insidiosa come scrivere: sembra facile, ma non lo è affatto. Pensi di aver trovato quello giusto ma probabilmente non è così. D’accordo, e quindi?

Il titolo come evocazione

Semplificando parecchio ci sono due tipi di titoli: quelli che dicono con chiarezza il tipo di storia che andrai a incontrare (“Lasciati odiare così poi ti amo”; “Lasciati amare perché altrimenti ti odio”; “Lasciami, o in due siamo in troppi”).
E quelli che “evocano”. Per esempio: “Il muschio grigio arde”; “Cantilena mattutina nell’erba”; “Uomini famosi che sono stati a Sunne”.
Ci sarebbe in realtà almeno un’altra categoria, quella che dice con semplicità cosa troverai: “I Promessi sposi”; “Il conte di Montecristo”; “Oratorio di Natale”. Ma non fa parte della prima categoria? A mio parere, no. Benché chiariscano alcuni aspetti (“Una storia su due che si sposano? Interessante: chissà però che succede!”), in realtà si limitano a socchiudere la porta, ma quello che si troverà una volta varcata la soglia sarà un altro paio di maniche.
Il secondo e il terzo gruppo quindi “evocano”, e danno poco per scontato.
Il primo di solito procede su rotaie ben solide; i colpi di scena? Ci sono, ma si tratta di espedienti che hanno come scopo quello di rallentare l’ovvio epilogo.
I romanzi di molti autori divenuti classici (Dickens), presentano colpi di scena, ma l’epilogo o non chiude nulla, oppure è solo un finale quasi ovvio, che rimanda all’opera successiva, che rimanderà a quella dopo, che rinvierà a quella successiva ancora… Una storia non deve chiudersi con un “Fine” ma con un “Fine?”, seguito da un ghigno possibilmente diabolico.
Un titolo dovrebbe produrre sulla fronte del lettore ignaro una ruga: “E che ci sarà in queste pagine?”. Ecco, la presenza di quella ruga potrebbe essere indizio di un titolo azzeccato.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog