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Quanto pensiamo ai futuri lettori?

Da Anima Di Carta
Quanto pensiamo ai futuri lettori?
Qualche giorno fa in un commento a un post (Inserire sogni e visioni in un romanzo) una lettrice, Nadia, ha scritto a proposito di un suo finale:
Ho detto più volte a me stessa che rincorrere troppo i lettori fa perdere il fiato...
Le sue parole mi hanno fatto pensare. Spesso nelle mie riflessioni sulla scrittura mi ritrovo a fare riferimento ai futuri lettori a proposito di ciò che scriviamo, dicendo cose come "questo annoia i lettori". Ma fino a che punto è giusto farci condizionare da ciò che potrebbe o non potrebbe piacere? In che misura dobbiamo tener conto di ciò che comunemente viene trovato interessante o accattivante? Così facendo non rischiamo di uniformarci al comune pensare e ingabbiare la fantasia?
Se devo fare riferimento alla mia esperienza personale, nella fase più creativa non penso affatto a chi mi leggerà. Anzi, credo che mettersi ad analizzare in quel momento quello che viene dettato per lo più dall'ispirazione sia altamente controproducente, porrebbe vincoli tali da paralizzare la creatività e bloccare qualcosa che deve invece essere libero di esprimersi.
Ancora meno penso ai lettori prima della scrittura vera e propria, ovvero quando decido di dare seguito a un'idea per un romanzo e comincio a elaborarla. Come spiegavo in un altro post, le storie finora si sono sempre imposte, al di là di ogni calcolo o ragionamento. E non ho la minima idea di come potranno venire percepite e accolte da un eventuale pubblico.
Eppure, arriva sempre il momento in cui non posso fare a meno di pensare al futuro lettore. E' la fase in cui riprendo in mano quello che ho scritto e lo rileggo a mente fredda, senza il velo dell'innamoramento che c'è nella prima stesura. A quel punto tutti i dubbi vengono fuori e comincio a domandarmi se una certa svolta nella trama verrà vista come troppo banale, se un certo dialogo suonerà ridicolo, se una descrizione annoierà, se qualcuno resterà scandalizzato da qualcosa. Non so esattamente quali elementi vengano fuori in questa analisi, ovvero se sono condizionata da regole e convenzioni, insomma da un comune pensare. Posso solo augurarmi che non sia così, perché dopo tutto chi scrive dovrebbe essere libero di sperimentare ed esplorare terreni mai battuti.
Credo che più che pensare a dei lettori fantasma, sia fondamentale essere noi i primi lettori imparziali. Dovremo essere in grado di raggiungere un distacco tale da considerare le nostre creazioni come se le leggessimo per la prima volta, in modo disincantato. Mi è capitato a volte di tagliare delle parti o di modificarle proprio perché rileggendole avevo la sensazione di annoiarmi, così che mi sono ormai data la regola: se dopo un certo numero di riletture un pezzo comincia a stancarmi, c'è qualcosa che non va.
D'altra parte, anche quando abbiamo delle persone in carne e ossa su cui testare le nostre creazioni, fino a che punto dovremo accogliere le loro indicazioni? In generale, io tendo ad ascoltare il mio lettore-cavia, anche se non credo accetterei mai modifiche tali che stravolgano troppo la mia visione dei personaggi o della storia.
Poi c'è una fase in cui pensare ai lettori è davvero obbligatorio ed è quella della revisione finale. Qui entra in gioco proprio il rispetto per chi avrà tra le mani il nostro testo. Purtroppo, se devo stare alla tanta sciatteria che c'è in giro, questo rispetto non viene proprio preso in considerazione. Errori ortografici e grammaticali, virgole messe a caso, puntini di sospensione sparsi qua e là, spazi prima dei punti e roba simile: tutti segni che riflettono una totale mancanza di cura e soprattutto un grande disinteresse per chi leggerà. E quelle poche volte che mi è capitato di farlo notare ai diretti interessati, sono stata accusata di pignoleria inutile, perché ciò che conta secondo queste persone è il contenuto. Un contenuto che comunque non mi viene voglia di scoprire, a conti fatti.
E voi in che misura pensate ai lettori quando scrivete?
Anima di carta


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