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Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte

Creato il 17 ottobre 2011 da Alessandro Manzetti @amanzetti
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Introduzionedi Alessandro Manzetti
Per i pochi sopravvissuti della 1° parte di questo Viaggio IV, a tema Il Mare e le Isole Fantasma, che ci ha trascinato verso le fitte nebbie di isole e luoghi orribili e inimmaginabili,  ora dovrete affrontare altre prove, altrettanto inquietanti. Questa 2° parte del viaggio correrà sul doppio binario dell'angoscia e del terrore; oltre ad avvicinare nuove isole infernali, conosceremo lo stomaco del mare e il suo profondo e disturbante odore di morte. Per i nuovi viaggiatori, è meglio che vi imbarchiate prima sul numero precedente, per avere la piena consapevolezza dei rischi che state per affrontare. Poi, se dimostrerete abbastanza fegato, tornate qui.
Ma veniamo ai racconti e alle opere che sono pubblicati in questa seconda parte del Viaggio IV:
Daniel Keohane, finalista al Bram Stoker Award con il romanzo Solomon's Grave, propone un breve racconto inedito dal titolo La Linguista, una interpretazione creativa del tema Isole Fantasma. Daniel  fa sbarcare su una spiaggia misteriosa un gruppo di pirati in cerca di un tesoro, accompagnati da una linguista, Marlene. Ma l'isola nasconde un segreto, alla fine comprendiamo quanto sia importante, vitale, la conoscenza delle lingue, antiche e moderne. Come sempre la narrativa di Keohane è agile e molto incisiva; nonostante la brevità del  racconto e lo spazio angusto per le descrizioni e le caratterizzazioni, l'autore riesce comunque a materializzare in modo convincente personaggi e dettagli. Una grande abilità.
Lorenza Ghinelli, ruduce dal grande successo del suo romanzo Il Divoratore, con il suo racconto inedito Infido ci fa attraversare, citando l'autrice, la membrana del tempo, in un tratto particolarmente sottile, tanto da rompersi. Il mare diventa viola, denso di corpi, la nebbia copre tutto accecando la realtà e i vecchi sensi, ormai inservibili. Lorenza ci proietta in una nuova dimensione, ci fa nuotare nei colori e nell'ignoto, senza alcuna vera direzione. Solo il mare sembra continuare a esistere, estendendosi oltre i confini della realtà, che l'autrice immagina come uno scoglio appuntito su cui sbattono le onde, le navi, le persone. Resta forte il dubbio di non trovarsi solo in un sogno.
Alda Teodorani, nome storico dell'horror italiano, propone per questa speciale occasione un lavoro sperimentale, il suo breve racconto Il Mare Uccide  si caratterizza per l'evocazione di atmosfere rarefatte e inquietanti, che scorrono senza tempo, dove il protagonista è Il Mare e i personaggi sono le nostre emozioni, nuove, antiche, primordiali. L'acqua che porta la vita e la morte, l'acqua che è l'inizio e la fine. Alda con grande lirismo, fotografie in bianco e nero della realtà, frammenti putrefatti, sperimenta nuovi scenari narrativi, lasciandoci alla fine con il cuore umido e con qualche brandello di carne trascinato via da arcani canali. Che portano al Mare.
Alla fine ci attende Nicola Lombardi, uno di quelli che ama il genere horror più di se stesso e che con il suo ultimo romanzo I Ragni Zingari ha offerto una prova originale e degna di grande attenzione. Il suo racconto inedito che leggeremo, Sonny, è davvero coinvolgente. Nicola muove corde di sclaviana memoria nella costruzione del personaggio principale, estraneo, freak, che proietta ombre lunghissime su un angosciato equipaggio. Con questo racconto torniamo al tema Isole fantasma, grazie a una misteriosa formazione, inesistente sulle mappe, che l'autore sistema sulla linea di navigazione della Queen Anne's Resurrection, descrivendola come un butterato dorso d’animale sormontato da soffici creste di vegetazione. Sulla spiaggia un  fuoco, una presenza, l'orrore è ovunque. Vicino e lontano.
Ma non finisce qui, conclude il Viaggio IV il nuovo numero di Ocracoke Cemetery di Daniele Bonfanti, con la 1° parte della Vita e leggenda di Edward Teach, meglio noto come il pirata Barbanera. La Queen Anne's Resurrection, per chi non conosce la storia di questa nave, nasce proprio dal relitto dalla ammiraglia di Edward Teach, la Queen Anne's Revenge, che non era altro che la Concorde predata dal pirata alla marina francese. Insomma, questo numero di Ocracoke Cemetery è imperdibile per conoscere alcune delle leggende più affascinanti della pirateria.
L'illustrazione della locandina principale, L'isola del silenzio, presentata nella 1° parte di questo Viaggio IV, è stata realizzata dal duo Diramazioni.
E' il momento di salpare definitivamente e dirigerci verso i contenuti che vi ho anticipato, giusto per avvisarvi. Come ripeto sempre: buon viaggio e (specialmente) buona fortuna sulla Queen Anne's Resurrection. Ci ritroveremo poi presto tra acque infestate e orrori archetipali per il Viaggio V, che si preannuncia mostruoso e terrificante...
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
La linguistadi Daniel Keohane(traduzione di Alessandro Manzetti)
La scialuppa sibilò sulla sabbia bianca trascinata a riva da Festle e il suo equipaggio. Marlene rimase seduta, sapendo che il capitano e gli altri quattro marinai non avrebbero accettato il suo aiuto. La sua vita e la sua verginità stavano ormai arrivando agli sgoccioli. Ora che loro erano arrivati qui, la sua abilità di linguista non  sarebbe più stata necessaria.
Festle dispiegò la pergamena, come aveva fatto un centinaio di volte da quando erano salpati da Carolinas.  Mai alzare lo sguardo,  disse, - Kern, resta con la donna, mentre noi andiamo in avanscoperta per cercare il bottino -
Kern era una sudicia montagna d’uomo, con le braccia graffiate e infettate dai costanti tatuaggi che si produceva da solo. Fece un furioso passo avanti, agitando un braccio variopinto verso la linea degli alberi. - Mi lasci con questa sgualdrina e ti prendi la mia parte? Così non mi sta bene -
Il capitano rimase calmo, guardando sopra la spalla del marinaio, poi verso la scialuppa - Tu hai la barca, amico mio. Potresti facilmente lasciarci nei guai su questo foruncolo d’isola e rubare la mia nave o no? -
Non è un'isola, pensò Marlene. Questo era chiaramente spiegato nella antica mappa che era stata costretta a tradurre. L'equipaggio aveva massacrato il padre e le tre sorelle, risparmiando Marlene solo per la sua rinomata abilità con le lingue antiche. Era per questo motivo che all'inizio avevano violato la sua casa sulla costa. L'avvertimento sulla parte superiore della mappa era stato scritto in corsivo difficilmente leggibile. Un avvertimento che lei non aveva rivelato a nessuno.
Festle arrotolò la pergamena e spostando il suo sguardo sul vestito logoro di Marlene e disse - Senza contare poi che tu hai la donna. Sono certo che potrai trovare diversi modi per passare il tempo mentre noi arrancheremo tra i boschi -. Il sorriso del capitano mostrò le gengive marroni e i denti anneriti. Gli altri sghignazzarono mentre Kern sbuffò, realizzando improvvisamente che il lavoro che gli era stato assegnato era indubbiamente il migliore. - Sì, signore - mormorò, già senza fiato per l’attesa
Marlene finse di grattarsi una gamba per il prurito, per verificare che l'arma fosse ancora nascosta sotto. Il capitano e l'equipaggio risero e iniziarono la loro marcia verso un’altura sabbiosa, seguendo la linea sbiadita disegnata lungo la mappa.
Non appena gli altri si allontanarono dalla vista le mani di Kern cercarono subito le curve di Marlene. Le sue mani la lasciarono altrettanto velocemente quando lei affondò l’affilata lama di metallo nella sua gola. Kern ansimò, cercando di catturare gli spruzzi di sangue come per recuperare la vita che si versava sulla sabbia.
In lontananza, la voce concitata del primo ufficiale:  - Qui, capitano! L’ho trovato! -
Marlene spinse la scialuppa nell'acqua bassa e poi saltò a bordo. Dietro di lei, l'isola si ripiegò su se stessa tra le urla scioccate dei pirati. Gli alberi, le foglie, tutto ciò che mascherava le cime aguzze, si serrò triturando tutta la materia vivente nelle sue fauci.
Marlene remò via, sapendo che avrebbe ancora avuto a che fare con un membro dell'equipaggio rimasto a bordo della nave. Sperava che sarebbe stato troppo stordito per opporre resistenza,  assistendo alla scena di quella bocca mostruosa che si chiudeva stretta contro la preda, masticando i suoi compagni come fossero concime.
- Non è un'isola -, disse per la prima volta ad alta voce, non sentendo nemmeno la fatica della pagaia contro le onde. - E' Una pianta. E sembra essere molto affamata -.
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Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Profilo dell'AutoreDaniel Keohane ha scritto molti racconti e opere brevi, pubblicati su diversi magazines come Cemetery Dance, Shroud Magazine, Apex Digest e nella raccolta Christmas Tree and Monkeys. Il suo primo romanzo Il Segreto di Salomone (Solomon’s Grave) è stato pubblicato in Europa e poi negli USA, e nel 2009 è risultato finalista al Bram Stoker Award. Recentemente è stato pubblicato in Germania il suo secondo romanzo, Plague of Darkess. Di prossima pubblicazione in Italia, ad Halloween, il suo racconto L'ultimo Halloween all'interno della raccolta Arkana Racconti da Incubo a cura di Alessandro Manzetti e Daniele Bonfanti (Il Posto Nero Free Ebooks). Il suo ultimo libro è Margaret Ark. Daniel Keohane vive nel New England con i suoi figli. Sito Web
Leggi l'intervista del Posto Nero a Daniel Keohane

Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Infidodi Lorenza Ghinelli
Sono Marco, ho quindici anni e credo solo a quello che vedo. Per questo tengo gli occhi chiusi.Devo ricordare ogni momento. Sono partito, ecco, questo lo ricordo. Io e miei amici, Gianni, Francesco e Martino. Abbiamo lasciato la riva senza maschera e senza pinne, sappiamo nuotare noi, e il fondo si vede lo stesso. Basta aprire gli occhi e ti sembra d’essere un pesce.Siamo partiti. E anche la meta ricordo: uno scoglio che affiora a pelo d’acqua, lo chiamano Infido, perché si vede appena, e dicono che tanti anni fa una nave ci si è schiantata contro, e ora se ne sta morta sul fondo del mare, come un gigante a cui hanno rotto la schiena. Da riva, lo scoglio sembrava vicino. Si può fare, abbiamo pensato.E siamo partiti. Ricordo che l’acqua ha iniziato a farsi profonda; abbiamo aperto gli occhi, e abbiamo visto i pesci come fossero ombre, divenire sempre più grandi. Fa paura quando vedi ma non distingui, perché la fantasia ci ricama sopra e il cuore inizia a mitragliarti in petto. Poi l’acqua si è fatta buia, e ci è rimasta solo la fantasia. Non è mica bello quando succede e intorno a te l’acqua è nera e non tocchi. È stato a quel punto che Gianni, Francesco e Martino hanno scelto di tornare.Ricordo che ho pensato che invece io ce la potevo fare. È stato un po’ come una sfida. Come dire che sono più duro di loro. O forse loro non c’entravano nulla. Ricordo che era stata più una cosa fra me e il mare. Una cosa fra me e la parte più scura di me, scura come il fondo del mare che non so cosa nasconde, ma so che è vivo e che ci sono immerso fino al collo.Ricordo che tornare sarebbe stato un po’ come non essere partito. E allora mi sono detto: “Ehi, io continuo”. Anche questo mi ricordo. E ho nuotato, con la smania di arrivare e la fatica, e il pensiero assurdo che non avrei avuto bandierine da piantare per rivendicare la scoperta. Poi qualcosa è cambiato, qualcosa che non so mica dire bene, qualcosa che ha confuso il cielo con il mare, che ha mescolato i punti di riferimento, come quando da piccolo ti bendano e ti fanno girare, o come quando sai che sogni e non riesci a svegliarti, anche se la piega che il sogno sta prendendo non ti piace per niente. Ecco. Se non fossi già sveglio mi vorrei svegliare, per assurdo penso che dovrei addormentarmi, magari cambierebbe qualcosa. E invece nuoto, ancora. Solo che non capisco se vado avanti o indietro. È calata la nebbia, anzi, è piombata. Una caligine densa, cinerea. Ed è inutile, per quanto mi sforzi di ricordare non riesco a trovare un prima e un dopo la nebbia, non ci riesco. La nebbia c’è, ed è come se ci fosse sempre stata. Mi sento solo da star male, come se fossi il primo uomo sulla terra. Una solitudine così, totale. Che ti fa venire voglia di non lottare, di non nuotare, di non mettere bandierine, ma solo di sparire in un nero di cui non vedi il fondo. Un desiderio pericoloso di non opporre resistenza. Un desiderio di pace violenta.Ricordo che ho avuto paura. È stato allora che ho urtato lo scoglio. Anzi, è stato allora che ho sentito qualcosa di freddo e appuntito, tagliente, aprirmi la pelle sopra il ginocchio. E ho capito che ero arrivato. Ho sentito dolore, e mi sono aggrappato. Dolore, calore, e odore di ferro. E rumori. Le voci dei sommozzatori, ho pensato. Ma i sommozzatori non sparano, non gridano, i sommozzatori non combattono con clangore di armi di ferro e non pronunciano bestemmie irripetibili. E i giorni, in mare aperto dovrebbero essere blu, o grigi se piove. Non bui, non accesi da fuochi che deflagrano impazziti. E il calore dovrebbe venire dal sole, non dal sale che mangia le ferite. Non dal sangue che si disperde nell’acqua e chiama creature che dalla fantasia risalgono gli abissi.Ricordo che ho gridato. Ho gridato forte e qualcuno mi ha sentito: si è avvicinata una scialuppa con a bordo uomini cenciosi che sembravano… sì, è quello che mi ricordo, sembravano pirati. Ed erano furiosi, tesi alla guerra, violenti. Contro cosa o chi non lo so, non l’ho capito. Ma ci sono ancora colpi di mortaio sulle nostre teste, e il mare è un campo di battaglia sterminato che puzza di ferro e di sale, di legno e di polvere da sparo. Nessuna riva. Soprattutto questo, nessuna riva, né amici, né un presente solido a cui fare ritorno. Il mare è viola, e denso di corpi, di parti di corpi tranciate come carni al macello. Un pirata mi allunga la mano, gli mancano due dita, e uno sfregio micidiale gli si apre sul braccio. Grido. E bevo. Non voglio quel contatto, non voglio quell’aiuto, non voglio conoscere, forse, quel che l’uomo, o qualunque cosa esso sia, può avere da dirmi. Per la prima volta, penso, è meglio il nero. È meglio del viola. Non so dove porta il nero, ma è davanti a me e nuoto. Deve finire il nero. Forse il nero è davvero un sogno, anche se il ginocchio brucia, e piscia fiotti di sangue che il mare disperde. Deve essere un sogno, anche se i muscoli strepitano a un passo dai crampi.Deve finire il nero. Solo l’universo è infinito. E io non posso esserci finito dentro, così, per distrazione. Queste cose non succedono. Allora nuoto. Continuo a nuotare, ed è come se a forza di bracciate avessi frantumato la membrana del tempo, e persino lo spazio, con tutte le sue coordinate che ora si riducono, da qualche parte, a meri schizzi d’inchiostro su inutili carte.Ho deciso: conterò fino a dieci.Uno. Continuo a nuotare.Due. La voce del pirata alle mie spalle mi graffia i timpani “Dove credi di andare se nemmeno sai dove ti trovi?”.Tre. Lo sento ridere. Quattro. Non mi volto.Cinque. Basta poco, mi dico. È questione di secondi.Sei. Nuoto nel nero, dentro al nero, dentro al nero, dentro al nero...
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Profilo dell'Autore
Lorenza Ghinelli. Nata a Cesena nel 1981, è diplomata in grafica pubblicitaria, fotografia, web design e montaggio digitale. Laureata in Scienze della Formazione, ha conseguito, presso la Scuola Holden di Torino, il Master in tecniche della narrazione. Autrice di vari racconti, opere teatrali e cortometraggi, ha scritto Francis degli specchi, un romanzo disegnato da Mabel Morri. Nel 2010, insieme a Simone Sarasso e Daniele Rudoni, ha pubblicato J.A.S.T. (Just another spy tale - Marsilio). Il Divoratore (2011 Newton Compton) è il suo primo romanzo, i diritti sono già stati venduti in Russia, Olanda, Francia, Spagna e America Latina. Vive a Roma dove lavora come editor e sceneggiatrice per la Taodue.  Blog

Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Il mare uccidedi Alda Teodorani
Onde e ancora onde. Non c’è davvero niente che mantenga la struttura della realtà, quando l'acqua lo lambisce. L'acqua e i suoi infiniti poteri, acqua che nutre, che dà la vita. Acqua piena di germi, satura dei brandelli di carne dei corpi morti che nasconde. Acqua che uccide. Le onde si schiantano contro gli edifici di Venezia. Si propagano a ogni passaggio di una barca, a volte si limitano a leccare piano gradini di pietra. Sempre, in un modo o nell'altro, le acque nascondono segreti nelle loro profondità. Vite acquatiche nascono dove l'acqua ristagna, strisciano sul fondo dei canali, si diffondono, escono dal putridume, risalgono collettori, la loro corruzione s’incunea nelle vecchie pietre, risale attraverso la calce, entra nelle case, nei tubi di scarico, procrea, diffonde uno strano morbo, talmente sottile che nessuno s’è ancora accorto della sua esistenza. Ma se tu avessi visto una donna dalla pelle candida e dall’espressione terrorizzata salire sul treno a tarda notte, se avessi visto un giovane poeta andarsene da Venezia a testa china, lo sguardo smarrito, allora avresti indovinato che loro sì, loro l’hanno sentito mordere le loro carni, hanno sentito le sue braccia putride risalire lungo le vene, arrivare fino al cuore e stringerlo con le sue unghie adunche, azzannarlo con i denti affilati e velenosi. In mare, nei fiumi, persino nei grandi canali di irrigazione delle campagne, in pianura, l'acqua è il letto di morte di migliaia di annegati. O di persone torturate e uccise. La putrefazione è così diffusa e normale che ogni giorno tutti la respirano. Nessuno sa che l'aria nei suoi polmoni, quella stessa aria condivisa dalle migliaia di persone che l'attorniano, è corrotta, degradata, piena di morte. Per questo sulle strade che portano al mare sono luoghi di morte; agli incroci delle strade che portano al mare, più che in altri punti, si può morire improvvisamente, prima che l’auto si schianti contro il paraurti del camion che arriva ai centocinquanta all’ora dalla direzione opposta. È il mare, il mare che uccide: le onde spargono il loro veleno sulla spiaggia, il vento lo raccoglie, lo trasporta, lo incanala lungo la Via del Mare, lo porta in città. Ovunque diffonde punti dove semplicemente si può incespicare e morire. I modi sono tanti, ma la causa principale è una sola. Quando piove, l'acqua incanala il veleno nelle fogne e dalla corruzione nasceranno altri mostri che raggiungeranno il mare, non prima di essersi diffusi nella rete idrica, di aver contaminato le sorgenti, di essere finiti nel tuo bicchiere. È così che piano piano, un sorso alla volta, il mare uccide anche te.
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Profilo dell'AutoreAlda Teodorani: Ha spaziato tra vari generi letterari tra cui l'horror, il giallo, l'erotico. All'attività di scrittrice affianca quella di traduttrice. Fin dai suoi esordi, nel 1990, ha determinato la sua vena "splatter" scrivendo sceneggiature di fumetti. Ha pubblicato racconti in antologie, quotidiani e riviste. Ha esordito pubblicando il racconto Non hai capito in "Nero Italiano, 27 racconti metropolitani" - Oscar Mondadori. Con Carlo Lucarelli, Loriano Macchiavelli e Marcello Fois ha fondato il Gruppo 13. Si è poi trasferita a Roma, dove vive oggi e dove dove sono ambientate alcune delle sue opere.  I suoi racconti hanno ispirato i film di Appuntamenti Letali (2006), DVD realizzato con il patrocinio del portale Filmhorror, comunità di film-maker indipendenti. Insegna scrittura alla Scuola Internazionale di Comics di Roma. Tra i suoi romanzi: Giù, nel delirio (Granata Press, 1991); Le Radici del male (Addictions, 2002) ; Belve (Addictions, 2003); La Signora delle torture (Addictions, 2004); Incubi (Halley Edizioni, 2005); Bloody Rainbow (Hacca, 2006); I sacramenti del male, Mondadori (collana Il Giallo Mondadori 2008). Suoi racconti sono pubblicati in diverse antologie da Stampa Alternativa, Einaudi, Giallo Mondadori. Sito Web


Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Sonnydi Nicola Lombardi
“So che lo puoi fare, Sonny… Lo puoi fare, se vuoi… E allora fallo!”
Spruzzi di schiuma rossastra si levano nella brezza del tramonto mentre i remi affondano nell’acqua per riemergere e frantumarla in miriadi di perle rese sanguigne dal bagliore del sole basso, all’orizzonte. L’ansimare ritmico di Jackson Le Havre e dei suoi uomini si confonde con lo sciabordio dei flutti che si distendono, arrotolandosi, ritirandosi, scontrandosi, sulla spiaggia ormai vicina.
L’isola deve distare dalla scialuppa una trentina di colpi di remo, o poco più. Anche vista da vicino, non si lascia comunque distinguere più di quanto non abbia fatto dal ponte della Queen Anne’s Resurrection, ormeggiata al largo. La luce radente nega profondità a quell’insolita formazione, che si presenta come un immenso, butterato dorso d’animale sormontato da soffici creste di vegetazione. Una diffusa nebbiolina striscia sul pelo dell’acqua e in prossimità dell’isola si gonfia e si solleva, quasi a nascondere ciò a cui nessuna carta nautica ha dato un nome.
Ma se quattro uomini sono stati mandati in perlustrazione dal capitano Evans, e con una certa premura, non è per pura curiosità. Dove la spiaggia cede il posto alla boscaglia, in un punto apparentemente incassato fra due spuntoni rocciosi, qualcuno ha acceso un fuoco.
Il giorno prima…“Capitano! Suo figlio… Sonny!…”
Timothy Summer Evans si tolse di scatto i pincenez dal naso e si voltò per conficcare uno sguardo duro come una punta di lancia in mezzo agli occhi di Rudy. Stava esaminando una cartina sgualcita, nella cabina di comando, quando il giovane creolo aveva fatto irruzione trascurando qualsiasi precauzione formale. Il ragazzo teneva il berretto fra le mani, e lo torceva come se lo stesse strizzando dall’acqua.
“Da quando non si usa bussare?” gli chiese il capitano, e il tono della sua voce, per quanto contenuto, fu la lama di uno stiletto appena estratta da un blocco di ghiaccio.
“Mi… mi deve scusare, capitano…” Rudy ansimava e come sempre, quando era agitato, balbettava. “Sonny… È caduto… mentre si arrampicava… Non… non si muove più…”
Evans lo squadrò per qualche istante, valutando se fosse il caso di punire seduta stante l’incauto mozzo per quel suo ingresso irriguardoso, indipendentemente dalla motivazione che lo aveva indotto a trasgredire a una fra le più elementari regole di comportamento; poi, concluse che avrebbe avuto tutto il tempo per provvedere in seguito. Sonny era caduto. Non si muoveva più…
“Vattene,” disse soltanto.
Il ragazzo aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma una particolare luce negli occhi del capitano gli suggerì di girare i tacchi e guadagnare a passo svelto l’uscita.
Rimasto nuovamente solo, Evans si immobilizzò in ascolto. Si udivano voci concitate, e un certo trambusto, provenire dal ponte di coperta. L’istinto lo stava istigando ad accorrere. Suo figlio aveva avuto un incidente. Ma non poteva permettersi di manifestare un sentimento così intimo, così profondo, come quello paterno. Non davanti alla ciurma. Circolava voce che fosse fatto di granito, e che non avesse un’anima. In merito a quello, nessuno avrebbe mai dovuto cambiare opinione.
Posò lentamente un compasso sulla carta nautica, quindi si avviò con passo misurato verso l’esterno.Attorno al corpo inerte del ragazzino si era accalcata una mezza dozzina di uomini. Quando si avvidero che Evans stava arrivando, subito si tirarono indietro.
Le vele della Queen Anne erano gonfie, e si increspavano a tratti per poi ridistendersi con strappi nervosi, a seguire i capricci del vento. Filtrati da nuvole e randa, il raggi del sole piovevano sopra Sonny infondendogli una tinta dorata, e la liquida chiazza rossa che scintillava sotto il suo capo ricordava una lingua di lava.
“Com’è successo?” ruggì il capitano. In risposta ottenne solo un confuso bofonchiare. Distinse qualche “è caduto”, “si stava arrampicando”, e addirittura un “io non c’ero”, come se qualcuno temesse di essere chiamato a rispondere dell’accaduto. In realtà il capitano sapeva che al ragazzo piaceva arrampicarsi su per le sartie, e nonostante i numerosi avvertimenti Sonny non aveva mai dato prova di eccessiva prudenza. Il fatto che fosse precipitato rientrava nella rosa degli eventi possibili, o più che probabili.
Evans si chinò sul figlio, e la sua ombra intorbidì l’oro di cui era intriso il corpo immobile. Due dita sul collo, poi l’orecchio premuto sul petto…
Quando si rialzò, dovette tendere i muscoli del viso per non lasciar trapelare il senso di profondo sollievo provato nel riscontrare che il figlio non era  morto.
“Tu, e tu: portatelo nella sua cabina!” ordinò, puntando un dito contro Boot e Delaan. “Vedete di usate il massimo riguardo! E voi altri, tornate immediatamente ai vostri posti o vi appendo fuoribordo!” Detto ciò, si voltò e si sottrasse a passo deciso alla vista della ciurma. Ma prima di allontanarsi, colse un lampo nello sguardo di Jackson Le Havre. Poteva esserci soddisfazione maligna, in quegli occhi? Mista magari a delusione? A quell’uomo non era mai andata giù, la presenza di Sonny sulla nave. E nemmeno alla combriccola di farabutti che gli ronzava attorno. Evans era cosciente di doversi sempre guardare le spalle, come del resto è costretto a fare ogni capitano. Ma sapeva perfettamente che Le Havre e i suoi compari avrebbero esultato – seppure in gran segreto, se tenevano alla loro pelle – in caso il ragazzo avesse fatto una brutta fine. Sonny era sempre stato gentile con tutti, e col tempo non pochi gli si erano affezionati. Ma non tutti. Alcuni ne avevano paura.Una manciata di minuti dopo che i fidati Boot e Delaan ebbero trasportato Sonny in cabina, Evans entrò e si richiuse la porta alle spalle. Il ragazzo era stato disteso con cura sulla sua branda, addirittura infilato sotto la coperta di panno. Evans notò con soddisfazione che gli avevano perfino sfilato i sandali.
Tirò a sé uno sgabello, e si sedette di fianco al letto. Sonny respirava lentamente, ma con regolarità. La sua pelle tesa pareva di ceramica, alla luce biancastra che colava da una finestrella dai vetri scheggiati. Evans sapeva che avrebbe incontrato problemi, accettando di portarselo appresso, in mare. Il fatto era che Victoria stava morendo di tifo, quando – pochi mesi prima - lo aveva pregato di prendersi cura di lui. Aveva avuto molte donne, e chissà quanti ragazzini dagli occhi chiari e stretti come i suoi gironzolavano lungo le coste dell’Atlantico. Ma Victoria… Victoria aveva la-sciato un segno più profondo, in lui. Se mai aveva sfiorato la consapevolezza di cosa poteva significare la parola ‘amore’, era stato con lei… E quando l’aveva incontrata, l’ultima volta, lei gli aveva parlato con estrema franchezza. Non le restava molto tempo. Avevano fatto un figlio, assieme, e nessuno se ne sarebbe curato, quando fosse morta. Un figlio che il cielo non aveva benedetto, o che forse aveva benedetto in un modo che loro non potevano capire. Lo avrebbero chiamato ‘down’, se fosse nato qualche secolo dopo.
Evans passò un dito sulla fronte di Sonny, undici anni compiuti da poco, scostando una ciocca castana resa appiccicosa dal sudore. I suoi uomini lo avevano accolto con favore, almeno all’inizio. Poi, avevano cominciato a girare strane voci sul suo conto. Evans si era sempre rifiutato di dar credito a certe scempiaggini, ma pure lui, doveva ammetterlo, si era accorto che quel povero ragazzino possedeva qualcosa di… inspiegabile, ecco. Quando si innervosiva, perché magari era stato contrariato da qualcuno o da qualcosa, stringeva forte gli occhi, e si pigiava i polpastrelli dei pollici contro le tempie. Allora, da qualche parte, sulla nave, c’era chi giurava di aver visto… cose. Tom Grinn affermava di aver scorto una specie di orrendo gnomo, o una bestiola che si reggeva su due zampe, uscire da un barile attraversandone il legno per poi svanire in un groviglio di sartiame. Un altro, Stockey, aveva visto un ragno grosso a suo dire quanto un ratto sgusciare da sotto uno scaffale della cambusa, e subito sciogliersi in una chiazza bruna che le tavole del pavimento avevano assorbito. Evans stesso, in un di quelle occasioni, aveva colto un’ombra arrampicarsi sulle pa-reti della sua cabina, finendo per raggiungere il soffitto e scivolare lungo la catena che reggeva il lampadario; dove, di fatto, almeno un paio di candele si era spento. E sulla Queen non avevano tardato a diffondersi sproloqui su maledizioni, su presenze diaboliche… Tutte storie che ruotavano attorno a Sonny, che non avrebbe neppure potuto concepire l’idea di possedere facoltà al di fuori della comprensione. “Vedo cose brutte, quando sono arrabbiato,” aveva confessato un giorno a suo padre. Il problema era che a volte riusciva a farle vedere anche agli altri.
Evans rimase a fissarlo per diversi minuti, valutando quel suo stato di inerzia. Avrebbe pensato al termine ‘coma’, se lo avesse conosciuto.
Un’intuizione incandescente, ora, gli stava corrodendo il cervello. Non si era trattato di una disgrazia! Qualcuno lo aveva fatto cadere. E si sentì certo di poter additare il responsabile, anzi, i responsabili. Le Havre e compagnia si erano più di una vol-ta lasciati sfuggire di bocca mezze frasi circa l’opportunità di sbarazzarsi di Sonny. Mai apertamente, ovvio. Evans li avrebbe strangolati con le sue mani, se li avesse sentiti…
Si chinò accanto alla testa del figlio immobile, e gli sussurrò alcune parole all’orecchio. Quindi si risollevò, e raggiunse la porta. La ferita alla testa non era profonda, e già il sangue aveva cessato di inzuppare il cuscino. Il buon Doc avrebbe saputo medicarlo a dovere. Ma prima di uscire, rivolse uno sguardo al ragazzino che sembrava dormire, e in un soffio disse: “So che lo puoi fare, Sonny… Lo puoi fare, se vuoi… E allora fallo!”Avvistarono l’isola nel pomeriggio del giorno seguente. Fu Petey a dare il segnale. Evans accorse sul ponte, e puntò il cannocchiale. Sulla rotta che stavano seguendo, quell’isola non avrebbe dovuto esserci, e la bussola poteva confermare che il timo-niere non aveva perduto la testa.
L’ordine del capitano venne immediato: dirigersi senza indugio verso quella formazione misteriosa. Ogni perplessità circa quella decisione venne messa a tacere con veemenza, e dopo aver coperto metà della distanza divenne chiaro che là doveva esserci qualcuno. Qualcuno che aveva acceso un fuoco.
In altre circostanze, Evans avrebbe usato ogni cautela. Invece, non esitò un istante a imporre la propria volontà: Jackson Le Havre si sarebbe messo ai remi, e avrebbe raggiunto quella spiaggia assieme ad Aaron, a Steven e a Josh. Ogni rimostranza dovette morir loro fra i denti.
Adesso…I contorni dell’isola si sono diluiti, nella foschia. Solo il falò si mantiene vivido, e irrequieto, unico punto di riferimento per i quattro uomini che ora si trovano a una decina di metri dalla spiaggia. Nessuno ha davvero voglia di scendere dalla scialuppa, eppure dovranno decidersi a farlo, lo sanno. C’è un gran silenzio, e la luce morente del giorno sta esalando gli ultimi sospiri. Spire di nebbiolina fumosa giocherellano come dita inconsistenti attorno ai remi immobili.
“Accendo una torcia, Jackson?”
“No, Aaron. Non ancora. Voglio capire cosa…”
La frase muore all’apparire improvviso di una sagoma umana, una forma indistinguibile, proprio dietro il falò. Gli uomini spalancano occhi e bocca quando quel simulacro entra nel fuoco, lo attraversa, e prende a dirigersi – a fluttuare! – nella loro direzione.
Nella mano di Le Havre compare una pistola; ma trema troppo, e non gli riesce di prendere la mira. I suoi compagni gemono, nel riconoscere quella figura. È Sonny.
Il ragazzino è un cupo miraggio dal profilo tremulo, incubo impossibile ma presente, modellato con nebbia e paura. Giunto, a pochi metri dalla scialuppa, Sonny solleva un braccio e punta un dito.
“Voi siete cattivi,” rantola in quel momento il ragazzino incosciente disteso sulla sua branda, a bordo della nave. “Mi avete fatto cadere…”
Lo stesso ripete la sua funerea proiezione, là, su quell’isola che si va disfacendo nell’ombra, con una vocetta che si infila come un lungo chiodo caldo nelle teste di quegli sciagurati.
Urli. Bestemmie. Gesti concitati. I quattro tentano di rimettersi ai remi maledicendo chi li ha spediti in bocca a quell’orrore. Di certo non possono udire gli ordini tuonati da Evans. La Queen Anne’s Resurrection toglie gli ormeggi e si muove, pesante, in lontananza. Nessuno dell’equipaggio solleva una sola obiezione.
L’isola senza nome, adesso, già non esiste più. E neppure Sonny, o quella cosa evanescente dalla testa insanguinata che gli somigliava. Tutto dissolto. Il sole non è più che uno spicchio di sangue, e il cielo a est è già un funereo drappo nero. Evans, sul ponte, il cannocchiale puntato verso la scialuppa, sorride. E lo stesso fa Sonny, steso nella branda, perso tra le sue inconoscibili fantasie.
Jackson e i suoi uomini cominciano a remare, ma i loro inutili grugniti si smarri-scono presto nella solitudine della notte.
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Profilo dell'Autore
Nicola Lombardi esordisce nella narrativa macabra nel 1989 con la raccolta Ombre - 17 racconti del terrore per le edizioni Arstudio C di Ferrara. Legatosi al movimento letterario romano Neo Noir, pubblica racconti, articoli e traduzioni su riviste e antologie per diverse case editrici: Newton & Compton, Stampa Alternativa, Perseo Libri, Datanews e altre. Suoi sono i romanzi tratti dai film di Dario Argento Profondo Rosso e Suspiria, entrambi pubblicati da Newton & Compton. Ha collaborato per anni con il mensile Mystero di Luigi Cozzi in veste di narratore e traduttore. Altre sue raccolte di racconti horror-noir: I racconti della piccola bottega degli orrori (Mondo Ignoto, 2002); La fiera della paura (Mondo Ignoto, 2004); Striges (Robin, 2005). Il suo romanzo I Ragni Zingari è stato pubblicato nel 2010 da Edizioni XII. Collabora attualmente con l’edizione italiana di Weird Tales. Il suo ultimo  libro è La Notte chiama e altre storie scritto insieme a Luigi Boccia (Dark House Books)

Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Ocracoke Cemetery
di Daniele Bonfanti
Barbanera  - vita e leggenda di Edward Teach - 1° parte
Non fu il pirata che si arricchì più di ogni altro, quello con più navi al comando o quello dalla carriera più lunga, né fu quello che affondò più nemici.
Fu però, senza dubbio, il più temuto di tutti i tempi.
E con questa fama terribile è passato alla Storia come il pirata per eccellenza. E non solo alla Storia, ma anche al mito, che attorno a lui aleggiava e si ingigantiva, rendendolo una figura leggendaria già in vita, il cui nome si pronunciava sottovoce e con un brivido.
Un gigante, emerso dall’Inferno le cui fiamme recava attorno al viso e dalla cui barba aleggiavano vortici di fumo sulfureo. Si muoveva come una belva, alla bandoliera sei enormi pistole e la sciabola in pugno. Non conosceva pietà. Se lo si incontrava per mare, era la fine.
Eppure, scavando, si scopre che in verità non era un mostro, ma un astuto stratega, ben conscio che l’arma più potente su cui poteva contare non erano le sue pallottole, la lama della sua spada o i cannoni dei suoi vascelli: ma il terrore che era in grado di incutere nei suoi avversari. E questo terrore imparò a coltivarlo, a fomentarlo, e a utilizzarlo.
Stupirà infatti sapere che non esistono resoconti diretti che abbia ucciso o usato particolare violenza contro alcuno, perlomeno fino al giorno dell’ultima battaglia.
Certo, è difficile da credere, e risulta probabile che qualcuno abbia fatto fuori. Eppure la semplice esistenza di questo dubbio fa riflettere. Fu un maestro nel far sì che le voci attorno alla sua mostruosità si moltiplicassero e si diffondessero sempre di più, di bocca in bocca. È un po’ quello che oggi viene chiamato “marketing virale”.
Chi era Barbanera?
Nessuno sa dove nacque o come si chiamasse. Ebbe molti nomi, il più noto dei quali è Edward Teach. È tuttavia discusso se fosse questo il suo vero nome, o un “nome d’arte” com’era consuetudine dei pirati. Diverse fonti vogliono che il vero nome fosse Edward Drummond, e che fosse nato a Bristol attorno al 1680, forse figlio di un Capitano pirata. La sua carriera marinara inizia durante la guerra di successione spagnola (la Guerra della Regina Anna), in cui opera come corsaro.
Come molti altri colleghi, nel 1713 si ritrova senza lavoro perché la guerra è finita, e come molti altri colleghi non ha intenzione di cambiare vita: si dà alla pirateria, imbarcandosi sulla nave del Capitano pirata Benjamin Hornigold, di stanza in Giamaica. Dopo quattro anni di servizio Hornigold viene rovesciato dalla ciurma, che elegge Teach nuovo Capitano. Questi prende il comando di una delle recenti conquiste, la nave francese La Concorde, un mostro di 300 tonnellate e 40 cannoni, che ribattezza Queen Anne’s Revenge rendendola propria ammiraglia.
La sua armata e la sua fama crescono rapidamente, e arriva a comandare – assistito dall’“artiglio di Barbanera”, il suo secondo Christopher Blackwood – 300 uomini su quattro navi, che assaltano navi di ritorno dai Caraibi lungo la costa della North Carolina. Ha diverse basi tra le miriadi di insenature, ma la più nota è presso Ocracoke, dove ancora oggi si può visitare il “buco di Teach”.
Come coltivare una leggenda
Barbanera faceva di tutto perché si parlasse di lui. Possibilmente, molto male.
Ma la gente non parla di te se non fai nulla, per cui lui si adoperava per “curare” la sua immagine di demonio. Innanzitutto il suo Jolly Roger fu personalizzato a includere un diavolo in forma di scheletro che trapassa un cuore nemico. Poi, come una vera rockstar, si concentrò sul look: prima degli scontri, arricciava la foltissima barba e così i lunghi capelli, e inseriva micce a lenta combustione tra i peli, alle quali dava fuoco. Sarebbe apparso così avvolto dal fumo, come una figura nera e sovrannaturale, impossibile da mettere del tutto a fuoco e quindi ancora più inquietante.
Una volta sfidò il suo equipaggio a una gara di resistenza: scendono tutti nelle stive, riempiono delle bottiglie di zolfo, chiudono i boccaporti. «Facciamoci il nostro Inferno e vediamo quanto resistiamo», dice Teach. Accendono. Tutti gli uomini, in pochi secondi, scappano sul ponte tossendo e con gli occhi brucianti. Tutti tranne il Capitano, che emerge tranquillo e sbotta: «Dannati smidollati! Sono un uomo migliore io da solo che tutti voi lattanti messi insieme!»
E se queste cose erano volte a costruire l’immagine, poi c’erano le storie, molte delle quali probabilmente messe in giro da Teach stesso, ma che poi si erano disseminate da sole.
Girava la voce che un giorno fosse sceso a terra su una piccola imbarcazione con un marinaio e un forziere. Al ritorno era solo: il cadavere del marinaio sarebbe stato poi ritrovato in cima al forziere. «Come monito per chi volesse metterci le mani». O che una volta avesse sparato al suo secondo a una gamba, affermando: «Se non spari a uno o due della ciurma, ogni tanto, si dimenticano chi sei». E un’infinità di altre leggende. Qualcuna vera, qualcuna gonfiata, altre inventate. Per esempio, una raccontava che prima dell’imbarco per una missione avesse preso in moglie una ragazza di sedici anni, e che questa fosse nientemeno che la sua quattordicesima moglie. Dopo essersela spassata con lei tutta la notte, forzava la ragazza a prostituirsi davanti ai suoi occhi con un drappello di uomini della sua ciurma, uno dopo l’altro.
È piuttosto difficile credere che un uomo che passava la sua vita in mare avesse tutto questo tempo per sposarsi di continuo, e non esiste alcun resoconto delle altre 13 mogli – e questo stesso della quattordicesima non può contare su alcuna fonte accreditata. Si tratta di chiacchiere. Documenti attendibili rivelano invece che Teach avesse un comportamento sempre misericordioso per quanto riguardava per esempio i passeggeri o gli equipaggi delle navi mercantili che gli si arrendevano. Molto improbabile quindi che fosse davvero violento nei confronti della moglie sedicenne. (Comportamento per altro alieno ai pirati della Golden Age).
Teach però non faceva nulla per screditare queste dicerie. Anzi, annuiva e rideva.
E così, quando la sua bandiera si issava, a bordo delle navi nemiche o a terra, nei villaggi di costa, era il panico. E lui non doveva fare altro che chiedere gli consegnassero tutto senza creare problemi.
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Profilo dell'Autore
Daniele Bonfanti è autore del romanzo Melodia (Edizioni XII) e di racconti tra weird, avventura, orrore e fantascienza; è curatore di varie raccolte di racconti, tra cui Archetipi, Carnevale e Discronia, tra cui l'ultima: Arkana - Racconti da Incubo (Il Posto Nero Free Ebooks)  insieme a Alessandro Manzetti. Studioso di semiotica intepretativa, attualmente lavora come editor-in-chief per Edizioni XII, casa editrice per la quale dirige la collana Camera Oscura, e come editor e consulente letterario freelance. Caporedattore del portale LaTelaNera.com, per oltre due anni ha curato rubriche fisse legate ai misteri antichi sulla rivista Hera, per la quale ha anche scritto tre saggi; collabora come articolista o responsabile di rubriche e laboratori con diversi portali e riviste digitali. E' Membership Co-ordinator Italy e Associate Member della Horror Writers Association, e insieme a Alessandro Manzetti si occupa dell'organizzazione della HWA Italy, la filiale Italiana della Horror Writers Association.  Sito Web

Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte
Per chi non ha letto la prima parte del Viaggio IV della Queen Anne'e Resurrection, con racconti inediti di Michael Laimo, Giancarlo Marzano, Benjamin Kane Ethridge, una illustrazione dedicata di Diramazioni e il precedente numero di Ocracoke Cemetery di Daniele Bonfanti, può leggerla qui.
Per visitare la nave, leggere la sua storia e tutti gli altri Viaggi già percorsi dalla Queen Anne's Resurrection, potete salire a bordo qui
Al prossimo appuntamento con la Queen Anne's Resurrection, per un terrificante Viaggio V!
Queen Anne's Resurrection - Viaggio IV Il Mare e le Isole Fantasma - 2° parte


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