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Quel jolly chiamato “free will”

Creato il 17 ottobre 2011 da Pandm

Che c’entrano filosofi come Locke, Hobbes e Hume con il bilancio trimestrale della mia società?

È quello che mi sono chiesta anch’io leggendo l’articolo del fu Sumantra Ghoshal “Bad Management Theories are destroying Good Management Practices” (2005).

Quanti di noi si sono trovati almeno una volta a ripetere “homo homini lupus” di fronte a scelte professionali, interne o esterne alla propria azienda? I fatti ci hanno dato a volte ragione, ma forse non sempre. È quindi una assunzione valida?

Ghoshal si chiede se sia possibile semplificare così tanto la complessità dell’uomo e del suo agire, riducendola a un unico ed univoco comportamento: la ricerca del proprio utile senza nessuna apertura verso altri ambiti della vita, propria, altrui e della società. L’uomo è solo un “self-interest maximizer”.

Mi trovo d’accordo con l’autore: non è così semplice (per fortuna!). Quanto spesso agiamo per motivi diversi, più nobili e altruistici, ed il buon senso ci aiuta a riconoscerlo: la libertà è un jolly che può cambiare continuamente il punteggio delle carte in mano.

D’altra parte i risultati di una gestione aziendale guidata dalla sola massimizzazione del profitto sono di fronte agli occhi di tutti. Previsioni autorealizzantesi, le chiama Ghoshal: se sono convinto che i comportamenti umani siano fondamentalmente opportunistici – e quindi agisco prevedendo e prevenendo ogni possibile danno da parte di chi lavora con me o per me – non creo un clima collaborativo, e finirò per invogliare i miei collaboratori/dipendenti ad agire in maniera opportunistica, anche contro di me.

“The manager’s task is to use hierarchical authority to prevent the opportunists from benefiting at the cost of others. What is the outcome of such a management approach? It is likely to be exactly the opposite: instead of controlling and reducing opportunistic behavior of people, it is likely to actually create and enhance such behaviors. […] One of the likely consequences of eroding attitudes is a shift from consummate and voluntary cooperation to perfunctory compliance.”

Ed ecco qui il panorama desolantemente burocratizzato di alcune realtà lavorative:

“To ensure effective coordination, managers must know what everyone ought to be doing, give them strict instructions to do those things, and use their ability to monitor and control and to reward and punish to ensure that everyone does what he or she is told to do.”

Un mio amico mi raccontava che nella sua azienda internazionale esistono dei “controllori” che all’uscita possono aprirti la borsa per controllare cosa stai portando fuori dall’edificio; conosco diversi capi che passano ore alle spalle dei propri collaboratori per controllare cosa fanno al pc; in più aziende ho sperimentato banalità quotidiane come la disattivazione delle porte USB dei pc per evitare il passaggio di dati (che poi, basta un dropbox un po’ alla volta…), il controllo individuale della posta elettronica tramite i server (mittente, destinatario e contenuti), la corsa a ostacoli per rispettare i regolamenti degli uffici del personale per le richieste trasferte, rimborsi, permessi, malattie, ecc…

Tutto ciò, dice lui, è nato da teorie filosofiche deterministiche che hanno inculcato nella nostra testa l’idea che fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio: l’individualismo estremo (vedi Hobbes) e la costrizione del comportamento morale dell’uomo in schemi puramente causali. Come riportava il sottotitolo della principale opera di Hume, un tentativo di introdurre il metodo sperimentale di ragionamento negli argomenti morali, prescindendo da intenzionalità più ampie. Uno sguardo ristretto, che dimentica che a volte si può scegliere di fare un passo indietro, per poterne fare dopo due in avanti.

Finora abbiamo avuto un “pensiero negativo” sull’uomo, una visione scura della società, e i risultati sono stati altrettanto grigi. Ma proviamo a guardare la realtà in maniera diversa: non ci sono solo persone cattive da controllare e bloccare, ma molte più persone buone che possono essere sviluppate, stimolandole a fare cose buone. E a cui dare fiducia.

Come? Per esempio rendendo partecipi i propri collaboratori degli obiettivi dell’azienda e propri, condividendo con loro il fine a cui si tende; stimolando la loro iniziativa; chiedendo pareri e consigli; soprattutto delegando: senza paura di scoprire di avere sbagliato in prima persona, e celebrando le “piccole vittorie”. Come dice Ken Blanchard: lodi da un minuto, e sgridate da un minuto. Ovvero: punta a sottolineare il bene, e rendi oggettivi (quindi rapidi) i feedback sugli errori.

Certo, è più rischioso, e più complesso da gestire. Ma più vero, e dunque più efficace nel tempo.

Ghoshal sosteneva che invertire il trend delle teorie di management possono farlo solo le business schools (così recuperano anche la diffusione di teorie manageriali distorte a cui hanno contribuito finora).

Io penso che invertire il trend delle pratiche manageriali possano farlo solo i manager.

Carte in mano: fate il vostro gioco.

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