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Questa vita tuttavia mi pesa molto – Edgardo Franzosini

Creato il 08 ottobre 2015 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

UNA STAGIONE DA LEGGERE – Rubrica dedicata alle stagioni nei libri, perché ogni storia ha la sua stagione.

AUTUNNO – Questa vita tuttavia  mi pesa molto

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Con la nuova rubrica UNA STAGIONE DA LEGGERE proviamo a parlare di libri seguendo il ritmo delle stagioni per ritrovarle tra le pagine letterarie.

Da pochi giorni è iniziato l’autunno e leggendo l’ultimo sforzo letterario di Edgardo Franzosini, Questa vita tuttavia mi pesa molto (Adelphi, 2015), scopriamo fin dalle prime pagine una cornice autunnale alla storia di Rembrandt Bugatti.

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«Che tempo, Dio mio! Inizia proprio bene l’autunno» dice la custode stringendosi in una specie di scialle di pelo di pecora, giallo e sudicio, che, appena comincia il freddo, Madame Soulimant si mette sulle spalle. «Ho letto sul “Matin” che è colpa delle cannonate, delle scariche d’artiglieria. Sono loro che provocano la pioggia!».

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«È stato al mercato, Monsieur Bugatti?» domanda ancora la custode all’inquilino, alzando un po’ la voce per farsi sentire.
Le otiti croniche hanno reso Rembrandt quasi sordo. Un anno fa ha iniziato a sentire fitte dolorose, fischi, ronzii e la propria voce che gli risuonava alle orecchie. I rumori hanno preso ad assomigliare tutti a un brusio. Riesce ancora a distinguere solo i versi degli animali – i barriti, i ruggiti, i nitriti – e al pensiero di questa cosa non può fare a meno di sorridere.

Chi è Rembrandt Bugatti? Fu uno scultore milanese (1884 – 1916) appassionato di animali selvatici, divenuto celebre a Parigi negli anni Dieci del Novecento e oggi dimenticato. Fratello minore di Ettore Bugatti, il fondatore della omonima casa automobilistica, visse in una sorta di struggente empatia con i suoi “modelli” (babbuini, elefanti, gazzelle, pantere, leoni, rinoceronti, antilopi) tra Milano, Parigi e Anversa. Fuggito «dalla noia di Milano» si trasferì ad Anversa, dove visse in prima linea i drammi della Grande Guerra.

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Rembrandt ha messo per la prima volta piede in Belgio all’inizio dell’autunno 1906. «Ho saputo che è appena arrivato un rinoceronte stupendo» così ha detto al padre, senza ulteriori spiegazioni, già pronto per la partenza.

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Rembrandt non si preoccupa nemmeno di cercarsi un alloggio: con la valigia in mano, sotto nuvole cariche di pioggia, si presenta direttamente alla biglietteria del giardino zoologico. Aspettando il suo turno in coda; guarda impaziente i due mosaici che ornano l’ingresso: una tigre che combatte con un serpente e un leone dalla bocca spalancata che ruggisce con indolente ferocia.

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Il fuoco di sbarramento dell’artiglieria e i tiri di due batterie montate su treni blindati non bastano più a tenere le posizioni fortificate, l’allagamento delle campagne intorno ad Anversa rallenta ma non ferma gli assedianti, le due cinture difensive si spezzano e infine cedono, l’una dopo l’altra. La notte del 7 ottobre i mostruosi obici tedeschi vengono rivolti contro la città; i cannoni belgi ammutoliscono del tutto di fronte alla superiorità del nemico. Il 10 ottobre il borgomastro offre ai Tedeschi la capitolazione.

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Gli effetti della Grande Guerra furono devastanti per il raffinato Bugatti che cadde in una profonda depressione quando fu presa l’orribile decisione di abbattere tutti gli animali dello zoo di Anversa.

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La mattina seguente nel pallido cielo autunnale sopra lo zoo volano in cerchio i corvi. L’odore della polvere da sparo ristagna a lungo nell’aria e si mischia con il fetore dei corpi che fermentano e imputridiscono. Nella fretta non si è pensato che la capacità del forno crematorio è ridotta, mentre la quantità di animali è sterminata. Nell’attesa le carcasse vengono accatastate vicino alla recinzione, e l’odore del sangue attira per giorni branchi di cani randagi.

A 32 anni, in una gelida giornata del gennaio 1916, Rembrandt Bugatti si tolse la vita.

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Per leggere il necrologio di Rembrandt più commosso e forse più esatto bisogna attendere le parole di Giulio Ulisse Arata che, qualche settimana più tardi, scrive sulle pagine di una rivista d’arte che si stampa a Milano: «Bugatti aveva vissuto nella vita come un estraneo, ed è morto come lo sconosciuto che cancella dietro di sé ogni traccia della sua esistenza».

Edgardo Franzosini, nato in provincia di Lecco nel 1952, è tra i più raffinati scrittori italiani contemporanei. Tradotto con successo in Francia, Spagna e Germania, ammirato tra i tanti anche da Antonio Tabucchi, è uno di quei rari scrittori capaci di rimanere impressi oltre la pagina scritta. Non è tipo da piegarsi alle mode e segue un proprio percorso letterario iniziato con Raymond Isidore e la sua cattedrale, la storia di un custode di cimiteri che ideò una cattedrale interamente costruita con detriti e oggi considerata un luogo d’arte con visitatori da tutto il mondo (a Chartres, Francia). Proseguito con Bela Lugosi. Biografia di una metamorfosi, storia dell’attore di origine ungherese giunto a Hollywood alla fine del 1923, impostosi in un centinaio di film come il primo riconosciuto Dracula del grande schermo e uomo tormentato dagli eccessi e dalle passioni sfrenate. Fino a Sotto il nome del cardinale, storia misconosciuta a molti di Giuseppe Ripamonti, lo storico seicentista che ispirò a Manzoni I Promessi Sposi e processato dall’Inquisizione per finire incarcerato nelle segrete del palazzo arcivescovile di Milano. Tutti pubblicati per Adelphi.

Questa vita tuttavia mi pesa molto
Edgardo Franzosini
Adelphi, 2015
pp. 117, € 12

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