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Questione di traspirazione

Creato il 05 novembre 2012 da Albino

Stare a Hong Kong mi sta dando un nuovo livello di percezione della realta’. Sono andato al mare ieri. A 20 minuti dal centro sono capitato in una baia di spiaggia pulitissima e mare cristallino. Torrette di guardia e reti di protezione, bar fronte mare e alberelli ben curati. Figata.

Eppure… tutto traspira di cinese. Come la citta’. Non so come spiegarlo – forse sono io che non c’ho ancora fatto l’abitudine. Cammino guardingo sulla sabbia a piedi nudi: la spiaggia e’ pulita da fare impressione, piena di divieti (con tanto di cartelloni giganti: in spiaggia non si fuma, non si mangia, non si gioca col freesbee, non si gioca a palla, non si porta il cane… non si puo’ fare niente!), non c’e’ una pagliuzza fuori posto. Classica spiaggia asiatica: c’e’ gente che prende il sole, altri che camminano vestiti con l’ombrello parasole. Eppure non mi fido – aspetto da un momento all’altro di pestare il piede sopra qualcosa di tagliente e infettato.

In Giappone, per un paradosso inconcepibile, giri per Kamakura a piedi scalzi senza nessun problema. Kamakura, questo immondezzaio fatto spiaggia, sabbia che sembra fanghiglia marcia, alghe ovunque, meduse ovunque, un canale di scolo dritto in mezzo alla spiaggia che scarica in mare, sabbia che chissa’ se qualcuno la pulisce poi. Eppure sei in Giappone, tutto traspira di giapponese, quindi hai l’animo in pace: non ti puo’ capitare nulla.

Stessa cosa in Italia, non so se c’avete fatto caso. In Italia un edificio vecchio e scrostato fa antico, fa bello, fa arte. Ma prova a mettere un edificio vecchio e scrostato con l’intonaco che cade e i mattoni in vista in mezzo a una citta’ asiatica: altro che arte, al massimo comunica una sensazione di muffa.

Idem con patate in India. In India puoi andare nel piu’ bello e moderno dei grattacieli, nel piu’ pulito dei campus a sei stelle, eppure tutto traspira d’India. Di sgarruppato. Di entropia. Di baffo sudato e pantalone a zampa d’elefante. Ti guardi intorno e gli angoli non sembrano mai combaciare perfettamente, i marmi non sono tutti in linea, le finestre hanno il silicone sbavato ai bordi. Ti trovi nel Paese dell’entropia, dove tutto tende al caos.

Ma torniamo a Hong Kong. Quando sbarchi da queste parti ti accorgi subito di essere arrivato in un posto a due facce. C’e’ l’efficienza, la perfezione, la bellezza del moderno di Singapore, di Tokyo. E allo stesso tempo pero’ c’e’ il casino della Cina metropolitana, il traffico di Bangkok, la sporcizia di Kuala Lumpur. Ci sono gli edifici vecchi e ammuffiti, magari fianco a fianco ai grattacieli a specchio. E come in spiaggia, ti aggiri per la citta’ guardingo, pure nei posti piu’ belli (e ce ne sono, forse anche piu’ che a Tokyo), perche’ tutto in fondo qui traspira di cinese, anche se cinese non e’ e non vuole essere.

(Ed ecco forse un altro punto a sfavore dell’Australia, che ina ben guardare non traspira di una minchia, e alla lunga ti lascia con il gusto dell’insipido in bocca).


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