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Quinta Puntata Orlando Furioso: Commenti Selvaggi e Sproloqui Affettuosi sul Furioso

Creato il 12 gennaio 2012 da Gaetanocelestre @GaetanoCelestre

Quinta Puntata Orlando Furioso: Commenti Selvaggi e Sproloqui Affettuosi sul Furioso

E così a qualcuno sembrava che dopo la lunga e beata pausa estiva non sarei tornato a calcare i boscosi sentieri dell’Orlando Furioso? Beh, chiunque abbia potuto maturare tali strambe idee non ha fatto i conti con la mia capacità di rendermi persino fastidioso. No, non demordo, commentare questo grande poema non è solo una cosa che mi piace ma addirittura un obbligo morale. L’esigenza civile di far conoscere l’opera dell’Ariosto a quanta più gente possibile. A pericolo di ripetermi, devo ricordare ancora una volta che non è bisognevole esser cattedratici universitari per poter parlare (anche a sproposito) della qualunque e qualunquemente ancoramente meno bisognevolmente lo è parlare dell’Orlando Furioso. Rabelais, Erasmo e per l’appunto Ludovico Ariosto, trio di sempiterni incompresi e geniali sbeffeggiatori, monicelliani ante-litteram. La loro opera era indirizzata principalmente al lettore comune non-colto, perché solo questo avrebbe potuto comprendere appieno la presa per il culo diversamente indirizzata a cattedratici, luminari, signorotti danarosi e potenti della terra. Addirittura indicandoli quali figli diretti e legittimi di sua maestà Madre Ignoranza.
E allora ora che si fa? Mentre noi comuni lettori mortali ci leggiamo Topolino e Libero (che è un quotidiano umoristico proprio molto divertente e ve lo consiglio), lasciamo che i cosiddetti illuminati, con le “scuole alte” e la faccia da ebete, parlino tra di loro delle cose che erano in realtà indirizzate a noi?

Ma non è una gran stronzata???

E poi, ve lo dico io, gli illuminati signori della conoscenza formale, difficilmente parlano di Rabelais o dell’Ariosto. Prima che mi possa lanciare in una lunga disquisizione su quanto in cattive mani sia la Cultura oggi, e su quanto sia mal compreso il suo stesso termine di riferimento (Cultura ha solo le prime tre lettere ed una vaga assonanza con Culo e suoi derivati, niente più), mi interrompo e vado avanti nel mio commento, riprendendo lì da dove lo si era lasciato al canto I, ottava 32.

Avevam dunque deciso di seguitar Angelica che fuggiva dallo spasimante Rinaldo. La bella principessa del Catai è così preoccupata di poter incontrare quell’appiccicoso proto-stalker (ma mischinieddo Rinaldo, mi pare parola grossa, ad esser sincero) che ad ogni rumore, ad ogni ombra dalle sembianze umanoidi prende una direzione diversa e si perde nei meandri del bosco.

L’Ariosto è stranamente pittorico nel descrivere l’ambiente vegetale circostante ed è comunque piacevole leggerlo. Ci si perde, piacevolmente, tra la verzura. Addirittura il grande poeta si passa il piacere di prenderci in giro ponendo una similitudine tra Angelica ed il tremante cucciolo di un capriolo che tra i rami del boschetto fugge dopo aver visto la madre squarciata nel petto dagli artigli di un bestio feroce (un leopardo).

Si vuol condurre il lettore a figurarci la fiera nella persona di Rinaldo. Peccato che noi già sappiamo quanto Angelica si diverta a giocar con gli uomini. Sarà anche una visione vagamente maschilista, ma alla lettura non può che sortirne un sorriso.

Il maschilismo poi è comunque temperato dalla descrizione avventurosa della principessa, che coraggiosamente per un giorno e mezzo vaga per boschi, valli e colli. Fino a quando giunge ad un leggiadro boschetto, sulla riva di due chiari ruscelletti.

E nuovamente l’Ariosto diventa pittorico, musicale nel descrivere in quadretto idilliaco: ottava 35: Duo chiari rivi, mormorando intorno, sempre l’erbe vi fan tenere e nuove; e rendea ad ascoltar dolce concento, rotto tra picciol sassi, il correr lento…

Sono luoghi in cui ci si vorrebbe perdere, privi di ogni responsabilità. E invece stiamo qui a pregare ogni giorno: … “dacci oggi il nostro smog quotidiano”. Dov’è finita la tensione a voler fuggire dalla costrizione dei legami formali del mondo “per bene”?

Così ad Angelica sembra finalmente di essere in salvo dagli amorosi ardori di Rinaldo. Ma lei non sa che il suo manovratore non è più Boiardo, ma bensì Ludovico Ariosto, autore troppo ironicamente cinico e maturo, per non sapere che l’essenziale nel teatro della vita è rappresentare sempre il disinganno: il disattendere le aspettative.

Le cose non sono mai come le vediamo, figuriamoci se sono come le abbiamo immaginate.

Ad ogni modo, mentre io qui congetturavo, Angelica vede un bel cespuglio che può servirle da giaciglio. Un luogo abile a nasconderla dall’arrivo improvviso di Rinaldo o chiunque altro nutra desideri amorosi nei suoi confronti.

E difatti la principessa riposa ben poco, ché subito sente un calpestio. Qualcuno giunge! Chi sarà, amico o nemico?

Oh, porca la miseriaccia che non si può star mai tranquilli in questo poema.

Pian pianino Angelica si alza e ben nascosta osserva un cavaliere, tutto armato, che si pone vicino alla riva d’un dei due ruscelletti. Angelica è chiaramente in apprensione e trattiene persino il respiro.

Il cavaliere si inginocchia e resta immobile, a capo chino, per almeno un’oretta. Che problemi avrà? Non ricorda il codice p.i.n. del suo conto corrente e dunque non può prelevare la pensione? Vuole diventare igienista dentale e consigliere provinciale ma non ha il danaro utile e convertibile in una laura telematica? Un neutrino svizzero non si è fermato allo stop e gli è venuto addosso rovinandogli la fiancata della sua splendida fiat americana?  Si dispera perchè Tra Monti e TreMonti non vede discontinuità a lui vantaggiosa? Pensa che non sia il tempo più adatto per cavalieri di ogni sorta? Sente forse grande necessità di piangere alla parola “sacrifici”?

Ecco, deve essere proprio così, poichè il tizio – un colosso tutto armato di ferro – d’un tratto, scoppia a piangere.

E speriamo che adesso nessuno lo nomini Ministro!

Sospirante piangea, tal ch’un ruscello parean le guance, e ‘l petto un Mongibello.

Nel contempo, così si lamenta: “Ah, maliritti, maliritti malipinseri ca m’agghiazzati e ‘nfucati u cori. Ah, com’agghia fari, com’agghia fari ca ci fu quarcarun’autru c’arrivò prima di mia a coglier lo fiore!!! Ah, maliritti malipinseri! E Ju chi ci varagnai? Li paroli e la tagliata, eccu chi mi ristau! Beccu ca sugnu!”

In poche parole si tratta di Sacripante e non della Fornero. Il guerriero è una vecchia conoscenza di Angelica, un suo spasimante della prima ora. Qui si lamenta del fatto che dopo averla avuta tra le proprie possibilità lussuriose per lungo tempo, ha perso ghiotta occasione poiché la principessa se ne è andata in giro appresso ad Orlando. E dunque ora è ben più che convinto che altri (e chissà quanti) ne abbiano approfittato. Il fiore è già stato colto e a lui restano per premio un bel paio di corna sul capo.

Povero Sacripante e la sua Virtù cortese e cavalleresca. Ma povero neanche tanto, più che altro cretino! E così ancora parla:

Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata! trionfan gli altri, e ne moro io d’inopia. Dunque esser può che non mi sia più grata? dunque io posso lasciar mia vita propia? Ah più tosto oggi manchino i dì miei, ch’io viva più, s’amar non debbo lei!

Angelica lo aveva riconosciuto subito, altroché! Molto prima di noi poveri lettori. Ed è bellissima la figura posta in essere dall’Ariosto:

l’aventurosa sua fortuna vuole ch’alle orecchie d’Angelica sian conte: e così quel ne viene a un’ora, a un punto, ch’in mille anni o mai più non è raggiunto.

Quanti spasimanti, pur negando con falsa fierezza, in realtà vorrebbero far giunger le lamentele d’amor alla propria amata? Ed è questa la fortuna di Sacripante, la fortuna negata a molti innamorati.

Solo che Angelica non prova neanche un briciolo di pietà, anzi forse è pure un po’ divertita da tanta imbecillità! Ma più che altro comincia a ragionarvi sopra e a macchinar qualcosa che possa rendere la faccenda utile ai suoi bisogni.

E poi bisogna turarsi il naso in talune occasioni, come diceva Indro Montanelli a favor di un moderno scudocrociato. E forse sarebbe stato meglio far come Angelica, ci mancava forse quel giusto cinismo di cui invece abbondava lo scudocrociato…ma questi son altri discorsi.

Eppure occorreva far proprio come Angelica che si ingegna e alcuno inganno di tenerlo in speranza ordisce e trama; tanto ch’a quel bisogno se ne serva…

E ve la immaginate quando esce dal cespuglio? Che gran stronza, eh? Si fece pure bella, uscendosene con una frase ad effetto che somiglia all’offerta di non so quanti posti di lavoro, la cancellazione dell’ICI dalla prima casa o finalmente una manovra che comprenda ‘sta mitica patrimoniale:

Pace sia teco; teco difenda Dio la fama nostra, e non comporti, contra ogni ragione, ch’abbi di me sì falsa opinione.

Capite cari lettori, la tizia gli va pure a dire che si sta sbagliando riguardo la perduta verginità! Eh, chissà quanti se ne era passati…

Poveraccio, poveraccio di un re di Circassia, poverazzo maschietto in balia di una donna sempre proterva.

Storie da scuola superiore, cari miei lettori, quante ne capitano tra i banchi di storie simili. Quante smaliziate donzelle abbindolano torme di scimuti sbavanti dietro una gonnellina più corta del normale.

Come un cretino perfetto qual è, Sacripante si butta al collo della fanciulla. Lei comincia a raccontargli storie, tipo delle cose delle sue ferie divertentissime, ma tipo che lei era andata la’ con un sacco di creme dopo sole, poi ha preso un casino di sole, si e’ bruc … e insomma, Sacripante non conosceva bene il significato di due di picche o comunque come dice l’Ariosto:

Quel che l’uom vede, Amor gli fa invisibiIe, e l’invisibil fa vedere Amore. Questo creduto fu; che ‘l miser suole dar facile credenza a quel che vuole.

Siamo tutti servi della gleba, e abbiamo dentro il cuore una canzone triste. Servi della gleba a testa alta, verso il triangolino che ci esalta. Niente marijuana ne pasticche: noi si assume solo il due di picche . Servi della gleba in una stanza, anestetizzati da una stronza…no, no…quest’ultima e degli Elii!

Comunque le cose non si stanno mettendo benissimo per Sacripante, lui non lo sa, lui ignora, ignorante, ma è l’unico che rischia seriamente di perder la verginità. E però – proprio come molti che hanno pestato la cacca senza accorgersene e pensano che a puzzare siano gli altri – il re di Circassia pensa tra sé di esser molto figo, e che non è mica un imbecille come quello strabico di Orlando, lui non se la lascerà mica scappare quel fiorellino di Angelica, eh no!

Così pensa il cretino:

Corrò la fresca e matutina rosa, che, tardando, stagion perder potria. So ben ch’a donna non si può far cosa che più soave e più piacevol sia, ancor che se ne mostri disdegnosa, e talor mesta e flebil se ne stia: non starò per repulsa o finto sdegno, ch’io non adombri e incarni il mio disegno.

Cioè, ma vi rendete conto di quanto questo sia fuori dal mondo? Sta dicendo forse: “a macari a idda fa finta ri nenti, puoi viri ca ci piaci macari! Se, se, ci piaci macari a idda, comu no…”?

Ma chistu è persu ro ‘nturnu, picciuotti!

E mentre si prepara al dolce assalto, continua sempre a non conoscere il finale della canzone degli Elio e le Storie Tese:

“Ciao, senti, hai 5 minuti? Perche’ volevo chiederti due cose… Senti, guarda, sinceramente vado al dunque subito, ci sono rimasto molto male perche’ ho saputo che sei uscita con Tafano ieri sera, e… perche’? Scusa, ti ho telefonato a cena, ti ho detto: ci vediamo?, tu hai detto: no, devo studiare. E va beh , se poi esci con lui… cioe’ , perche’ non me lo devi dire? Pensi che sia un problema per me accettare che tu hai una storia? Un uomo? Vedi qualcuno? No, non e’ un problema per me perche’ io ti voglio bene veramente e non ti chiedo nulla, anzi, magari sono qui a dirti: se hai bisogno di qualcuno io ci sono.
E allora? Che cosa devo fare?
Mi vuoi mettere una scopa in culo cosi’ ti ramazzo la stanza?”

Proprio mentre è pronto per saltarle addosso si ode un romore! E cchi fu? E cu è? Sacripante deve rinunciare, ma solo per il momento. Si riveste di metallo e monta a cavallo con la lancia in resta. Così aspetta l’ignoto in arrivo.

Gaetano Celestre

33
Fugge tra selve spaventose e scure,
per lochi inabitati, ermi e selvaggi.
Il mover de le frondi e di verzure,
che di cerri sentia, d’olmi e di faggi,
fatto le avea con subite paure
trovar di qua di là strani viaggi;
ch’ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
temea Rinaldo aver sempre alle spalle.
34
Qual pargoletta o damma o capriuola,
che tra le fronde del natio boschetto
alla madre veduta abbia la gola
stringer dal pardo, o aprirle ‘l fianco o ‘l petto,
di selva in selva dal crudel s’invola,
e di paura trema e di sospetto:
ad ogni sterpo che passando tocca,
esser si crede all’empia fera in bocca.

35
Quel dì e la notte a mezzo l’altro giorno
s’andò aggirando, e non sapeva dove.
Trovossi al fin in un boschetto adorno,
che lievemente la fresca aura muove.
Duo chiari rivi, mormorando intorno,
sempre l’erbe vi fan tenere e nuove;
e rendea ad ascoltar dolce concento,
rotto tra picciol sassi, il correr lento.
36
Quivi parendo a lei d’esser sicura
e lontana a Rinaldo mille miglia,
da la via stanca e da l’estiva arsura,
di riposare alquanto si consiglia:
tra’ fiori smonta, e lascia alla pastura
andare il palafren senza la briglia;
e quel va errando intorno alle chiare onde,
che di fresca erba avean piene le sponde.

37
Ecco non lungi un bel cespuglio vede
di prun fioriti e di vermiglie rose,
che de le liquide onde al specchio siede,
chiuso dal sol fra l’alte querce ombrose;
così voto nel mezzo, che concede
fresca stanza fra l’ombre più nascose:
e la foglia coi rami in modo è mista,
che ‘l sol non v’entra, non che minor vista.
38
Dentro letto vi fan tenere erbette,
ch’invitano a posar chi s’appresenta.
La bella donna in mezzo a quel si mette,
ivi si corca ed ivi s’addormenta.
Ma non per lungo spazio così stette,
che un calpestio le par che venir senta:
cheta si leva e appresso alla riviera
vede ch’armato un cavallier giunt’era.

39
Se gli è amico o nemico non comprende:
tema e speranza il dubbio cor le scuote;
e di quella aventura il fine attende,
né pur d’un sol sospir l’aria percuote.
Il cavalliero in riva al fiume scende
sopra l’un braccio a riposar le gote;
e in un suo gran pensier tanto penètra,
che par cangiato in insensibil pietra.
40
Pensoso più d’un’ora a capo basso
stette, Signore, il cavallier dolente;
poi cominciò con suono afflitto e lasso
a lamentarsi sì soavemente,
ch’avrebbe di pietà spezzato un sasso,
una tigre crudel fatta clemente.
Sospirante piangea, tal ch’un ruscello
parean le guance, e ‘l petto un Mongibello.

41
- Pensier (dicea) che ‘l cor m’agghiacci ed ardi,
e causi il duol che sempre il rode e lima,
che debbo far, poi ch’io son giunto tardi,
e ch’altri a corre il frutto è andato prima?
a pena avuto io n’ho parole e sguardi,
ed altri n’ha tutta la spoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto né fiore,
perché affligger per lei mi vuo’ più il core?
42
La verginella è simile alla rosa,
ch’in bel giardin su la nativa spina
mentre sola e sicura si riposa,
né gregge né pastor se le avvicina;
l’aura soave e l’alba rugiadosa,
l’acqua, la terra al suo favor s’inchina:
gioveni vaghi e donne inamorate
amano averne e seni e tempie ornate.

43
Ma non sì tosto dal materno stelo
rimossa viene e dal suo ceppo verde,
che quanto avea dagli uomini e dal cielo
favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che ‘l fior, di che più zelo
che de’ begli occhi e de la vita aver de’,
lascia altrui corre, il pregio ch’avea inanti
perde nel cor di tutti gli altri amanti. 44
Sia Vile agli altri, e da quel solo amata
a cui di sé fece sì larga copia.
Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
trionfan gli altri, e ne moro io d’inopia.
Dunque esser può che non mi sia più grata?
dunque io posso lasciar mia vita propia?
Ah più tosto oggi manchino i dì miei,
ch’io viva più, s’amar non debbo lei! -

45
Se mi domanda alcun chi costui sia,
che versa sopra il rio lacrime tante,
io dirò ch’egli è il re di Circassia,
quel d’amor travagliato Sacripante;
io dirò ancor, che di sua pena ria
sia prima e sola causa essere amante,
è pur un degli amanti di costei:
e ben riconosciuto fu da lei.
46
Appresso ove il sol cade, per suo amore
venuto era dal capo d’Oriente;
che seppe in India con suo gran dolore,
come ella Orlando sequitò in Ponente:
poi seppe in Francia che l’imperatore
sequestrata l’avea da l’altra gente,
per darla all’un de’ duo che contra il Moro
più quel giorno aiutasse i Gigli d’oro.

47
Stato era in campo, e inteso avea di quella
rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:
cercò vestigio d’Angelica bella,
né potuto avea ancora ritrovarlo.
Questa è dunque la trista e ria novella
che d’amorosa doglia fa penarlo,
affligger, lamentare, e dir parole
che di pietà potrian fermare il sole.
48
Mentre costui così s’affligge e duole,
e fa degli occhi suoi tepida fonte,
e dice queste e molte altre parole,
che non mi par bisogno esser racconte;
l’aventurosa sua fortuna vuole
ch’alle orecchie d’Angelica sian conte:
e così quel ne viene a un’ora, a un punto,
ch’in mille anni o mai più non è raggiunto.

49
Con molta attenzion la bella donna
al pianto, alle parole, al modo attende
di colui ch’in amarla non assonna;
né questo è il primo dì ch’ella l’intende:
ma dura e fredda più d’una colonna,
ad averne pietà non però scende,
come colei c’ha tutto il mondo a sdegno,
e non le par ch’alcun sia di lei degno.
50
Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola
le fa pensar di tor costui per guida;
che chi ne l’acqua sta fin alla gola
ben è ostinato se mercé non grida.
Se questa occasione or se l’invola,
non troverà mai più scorta sì fida;
ch’a lunga prova conosciuto inante
s’avea quel re fedel sopra ogni amante.

51
Ma non però disegna de l’affanno
che lo distrugge alleggierir chi l’ama,
e ristorar d’ogni passato danno
con quel piacer ch’ogni amator più brama:
ma alcuna finzione, alcuno inganno
di tenerlo in speranza ordisce e trama;
tanto ch’a quel bisogno se ne serva,
poi torni all’uso suo dura e proterva.
52
E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
fa di sé bella ed improvvisa mostra,
come di selva o fuor d’ombroso speco
Diana in scena o Citerea si mostra;
e dice all’apparir: – Pace sia teco;
teco difenda Dio la fama nostra,
e non comporti, contra ogni ragione,
ch’abbi di me sì falsa opinione. -

53
Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,
ch’avea per morto sospirato e pianto,
poi che senza esso udì tornar le squadre;
con quanto gaudio il Saracin, con quanto
stupor l’alta presenza e le leggiadre
maniere, e il vero angelico sembiante,
improviso apparir si vide inante.
54
Pieno di dolce e d’amoroso affetto,
alla sua donna, alla sua diva corse,
che con le braccia al collo il tenne stretto,
quel ch’al Catai non avria fatto forse.
Al patrio regno, al suo natio ricetto,
seco avendo costui, l’animo torse:
subito in lei s’avviva la speranza
di tosto riveder sua ricca stanza.

55
Ella gli rende conto pienamente
dal giorno che mandato fu da lei
a domandar soccorso in Oriente
al re de’ Sericani e Nabatei;
e come Orlando la guardò sovente
da morte, da disnor, da casi rei:
e che ‘l fior virginal così avea salvo,
come se lo portò del materno alvo.
56
Forse era ver, ma non però credibile
a chi del senso suo fosse signore;
ma parve facilmente a lui possibile,
ch’era perduto in via più grave errore.
Quel che l’uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
e l’invisibil fa vedere Amore.
Questo creduto fu; che ‘l miser suole
dar facile credenza a quel che vuole.

57
- Se mal si seppe il cavallier d’Anglante
pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,
il danno se ne avrà; che da qui inante
nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
(tra sé tacito parla Sacripante):
ma io per imitarlo già non sono,
che lasci tanto ben che m’è concesso,
e ch’a doler poi m’abbia di me stesso.
58
Corrò la fresca e matutina rosa,
che, tardando, stagion perder potria.
So ben ch’a donna non si può far cosa
che più soave e più piacevol sia,
ancor che se ne mostri disdegnosa,
e talor mesta e flebil se ne stia:
non starò per repulsa o finto sdegno,
ch’io non adombri e incarni il mio disegno. -

59
Così dice egli; e mentre s’apparecchia
al dolce assalto, un gran rumor che suona
dal vicin bosco gl’intruona l’orecchia,
sì che mal grado l’impresa abbandona:
e si pon l’elmo (ch’avea usanza vecchia
di portar sempre armata la persona),
viene al destriero e gli ripon la briglia,
rimonta in sella e la sua lancia piglia.



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COMMENTI (1)

Da OK MORANDO SERGIO Crocefieschi Genova Malpotremo Lesegno Italia Argentina San Morando
Inviato il 23 giugno a 11:42
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False lacrime ...e codesti sono sorpassati in cattedra! Dalle nuove tecnologie vere mondiali e non presunte! I cavalieri di un tempo narrati in nobili gesta erano PERSONE AUTENTICHE nobili d'animo "Orlando Furioso" è autentico, ma i politici ed i tecnici politici odierni stessa pasta mal amalgamata con finte lacrime dei primi politici ancor presenti NON produco NULLA ! anzi hanno tecnicamente peggiorato la già PESSIMA situazione Italiana ! Rimangono aggravati i 4 problemi Italiani: 1) Disoccupazione Forzata obbligata. 2) Contratti precari. Che di fatto riportano alla disoccupazione forzata ed inoltre in quasi tutti i contratti precari si violano più di una Legge :Del Decreto Legislativo 81/2208 con conseguenze gravi con morti bianche ed infortuni continui !3) Esodati. 4) Cassaintegrati. Ricordando a i NON Cavalieri di Orlando Furioso dell'attuale governo tecnico POLITICO che oltre a questi 4 problemi Italici NON risolti hanno portato a conseguenze disastrose MOLTISSIME FAMIGLIE ITALIANE ! La disoccupazione FORZATA ha e continua a creare danni a disoccupati e Famiglie di questi ! Danni Patrimoniali, Esistenziali e Morali CONTINUI ! E anche in questo GOVERNO TECNICO POLITICO si continua a violare più Articoli della Costituzione Italiana, sempre al primo posto spetta all'Articolo 1. Ma ancora ad oggi si violano pure gli Articoli Della Dichiarazione Universale Dei Diritti dell'Uomo !!Deve intervenire la Corte di Giustizia e dei Diritti dell'Uomo contro questo continuo pessimo fare dell'Italia! A danno dei Suoi stessi CITTADINI POPOLO !!! Pertanto codesti..codeste NON saranno mai dei Cavalieri ! Non avranno in regalo nessun Castello o Palazzo Morando.