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Quinto potere

Creato il 25 giugno 2014 da Misterjamesford
Quinto potereRegia: Sidney LumetOrigine: USAAnno: 1976Durata: 121'



La trama (con parole mie): Howard Beale, veterano conduttore di programmi televisivi ed anchorman legato ai notiziari, dopo aver perduto la moglie e l'audience dei tempi d'oro, viene licenziato con un preavviso di due settimane al termine di una serata tra vecchi amici con il produttore Max Schumacher.L'evento scatena una sorta di cinica follia nell'uomo, che dichiara in diretta di volersi suicidare nel corso della trasmissione per ottenere un risultato in termini di share come mai si era visto prima: i dirigenti della rete, intenzionati ad oscurarlo, approfittano della situazione per poter riorganizzare il reparto notizie, innescando la neppure troppo sottile vendetta di Schumacher, che lascia campo libero alle dichiarazioni dell'amico, finendo per mettere in gioco anche il suo posto.Quando, però, l'aggressiva producer Diana Christensen intuisce le potenzialità commerciali della situazione, lo stesso network cambia le carte in tavola.
Quinto potere
Questo post va in onda a seguito delle celebrazioni per il Sidney Lumet Day.
Quinto potere
Nel pieno della maratona dedicata ai Mondiali, è quasi curioso tornare dopo oltre dieci giorni a scrivere di un film, specie considerando che, di norma, cerco di vederne almeno uno ogni ventiquattro ore: non poteva dunque esserci un comeback migliore di quello fornito da Sidney Lumet e dalla giornata a lui dedicata da noi bloggers cinefili, pronto a permettere al sottoscritto di recuperare uno dei film più discussi della carriera del regista, amatissimo dal pubblico - soprattutto USA - quanto osteggiato da una buona parte della critica - soprattutto europea ed italiana -.
Ricordo, infatti, quando, ai tempi in cui recuperai Classici come La parola ai giurati, Serpico o Quel pomeriggio di un giorno da cani, quanto i vari Morandini e Mereghetti trattassero con una certa ostilità questo accorato pamphlet contro il mondo dell'etere e del piccolo schermo, giudicato troppo rabbioso e gigione per poter davvero lasciare il segno, nonostante i riconoscimenti al botteghino e alla cerimonia di assegnazione degli Oscar - nove candidature, quattro vittorie: attore e attrice protagonista, attrice non protagonista, sceneggiatura -.
Passato finalmente dalle parti del Saloon, devo ammettere che Quinto potere - molto meglio, comunque, l'originale Network - risulta indubbiamente rabbioso e gigione, e anche decisamente sopra le righe: eppure, la forza del lavoro del vecchio Sid è notevole, e si inserisce alla perfezione con le sue sfumature nella poetica di demolizione del made in USA condotta dallo stesso Lumet nel corso di tutta la sua filmografia, senza contare che, in più di un passaggio, non solo ricorda le riflessioni che Welles fece nel suo Capolavoro Quarto potere, ma risulta quantomeno attuale nelle sue implicazioni sociali - il confronto tra Howard Beale, caotico e scombinato protagonista, ed il proprietario del gruppo che possiede anche la sua emittente in veste di quasi divinità di fantozziana memoria è da antologia - e nell'analisi del ruolo e nell'influenza che la televisione continua a mantenere rispetto alla società ad ogni suo livello.
Strepitosi gli attori, da un Peter Finch in pieno delirio messianico nel ruolo di Beale ad un misurato e sempre affascinante William Holden, senza dimenticare Robert Duvall ed una Faye Dunaway probabilmente nell'interpretazione che più ha reso giustizia al suo talento: in questo senso, gli stessi interpreti diventano incarnazioni dei due mondi fotografati da Lumet, quello della finzione televisiva e del dramma reale e quotidiano - si veda il racconto della "passione" che travolge Max Schumacher e Diana Christensen, fatto di amplessi soffocati da resoconti di ascolti e risultati in termini di audience -.
Certo, il ruolo dell'ex tubo catodico è stato nel frattempo esaminato, sviscerato, analizzato e raccontato in centinaia di film, serie, libri e trasmissioni, e Quinto potere a tratti risente di un'atmosfera vintage che assume i connotati di quel passo appena oltre e fuori moda che rischia di stonare, eppure il lavoro compiuto è senza dubbio efficace e tosto, pronto ad arrivare dritto dalla pancia, come una solenne incazzatura liberatoria e goduriosa.
Resta solo da capire se questa stessa, momentanea, quasi sessuale libertà - sia essa politica, intellettuale, di letto, alcolica o quello che volete - sia davvero il risultato di una scelta personale e motivata oppure di un condizionamento che, volenti o nolenti, riceviamo da uno dei mezzi di comunicazione più potenti della società attuale, scalzato soltanto nelle ultime due decadi da internet: la televisione, per l'appunto.
Ed è così che ognuno finisce per cucirsi addosso un ruolo che non saprà mai se essere il suo, quello che ha scelto o quello che gli è stato assegnato, e dovrà decidere - o credere di farlo - se gettarsi a capofitto in prima linea come un Don Chisciotte da salotto o un aspirante agnello sacrificale culturale oppure farsi da parte, perchè troppo impegnato a provare piacere, dolore, gioia, amore.
Tutto quello che si chiama vivere.
MrFord
Conducono la trasmissione accanto al vecchio Ford:
Director’s cult
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Non c’è paragone
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