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Quote rosa e questione femminile: qualche considerazione

Creato il 04 giugno 2012 da Animabella
Il mio articolo sulla scarsa presenza di donne nelle liste del MoVimento 5 Stelle ha suscitato un certo di dibattito, con vivaci - per usare un eufemismo - commenti tra i lettori. Voglio provare allora a tornare sul tema, stavolta non in relazione al M5S – che avevo utilizzato solo come esempio molto emblematico – ma tentando di prendere di petto il problema (se di problema si tratta) e analizzarlo snocciolando una per una alcune domande. 
La prima: esiste una “questione femminile”? Più precisamente: esiste un problema di presenza di individui di sesso femminile in ruoli che – ai diversi livelli – hanno a che fare con la gestione del potere? La risposta a questa domanda non dovrebbe essere oggetto di discussioni, visto che qualunque fotografia di un luogo di potere – sia esso il parlamento, il cda di un'azienda, la redazione di un giornale, un senato accademico – fissa un'immagine con poche varianti: al potere ci sono nella stragrande maggioranza uomini (e per di più anziani, e questa è un'altra “questione”).
Ora, trovandoci tutti d'accordo sul rilevare un fenomeno, ci si divide sulla risposta alla seconda domanda: a cosa è dovuta questa enorme e innegabile asimmetria? Scartiamo subito l'ipotesi del caso: non serve aver studiato il calcolo delle probabilità, per sapere che se estraggo 10 palline da un cesto che ne contiene 100 nere e 100 rosse la probabilità maggiore è di ottenere 5 palline rosse e 5 nere (con un solo campione naturalmente non è garantito che ciò avvenga, ma se provando con diversi campioni – diversi consigli di amministrazione, diversi senati accademici ecc. - continuerò a ottenere una quantità sproporzionata di palline nere rispetto alle rosse dovrò cominciare a sospettare della correttezza del metodo di estrazione). Messo da parte il caso, rimangono tre ipotesi, che corrispondono a tre atteggiamenti diversi rispetto alla “questione”:
  1. l'asimmetria è dovuta a oggettive differenze di inclinazioni e attitudini. Lo donne per natura non sono portate a ruoli di potere. Chi la pensa così – e ce ne sono tanti (uno dei commenti al mio post era: “È come lamentarsi perché a un congresso di borse e scarpe ci sono pochi uomini”) – ovviamente sarà portato a pensare che quell'asimmetria in verità non costituisca affatto una questione controversa, è così e basta. Magari le donne sono bravissime in altro (borse e scarpe, per esempio). Problema risolto.
  2. L'asimmetria è dovuta a ragioni strutturali di organizzazione della società, che ha radici storiche molto antiche e che continuano a operare ancora adesso (insomma: modello di organizzazione del lavoro e del potere). Chi la pensa così ritiene che le donne facciano molta più fatica ad affermarsi perché il percorso che porta alle strade del potere è molto più selettivo per le donne che per gli uomini.
  3. L'asimmetria è dovuta alla miopia di coloro che ricoprono ruoli di potere, che non vedono le competenze femminili che invece ci sono, ma non vengono riconosciute. Chi la pensa così ritiene che basterebbe aprire gli occhi per trovare donne perfettamente in grado di eguagliare se non superare i loro colleghi uomini, e invoca le quote rosa come strumento ideale per risolvere la “questione” non solo a livello istituzionale ma in ogni contesto (e allora: perché a quel talk show non avete invitato neanche una donna? Perché sulla rivista scrivono soprattutto uomini? E via lamentando).

Io penso che la verità stia in un complicato intreccio fra la seconda e la terza ipotesi. Numerosi studi dimostrano che se si conosce il sesso di un candidato i selezionatori tendono inconsapevolmente a preferire gli uomini, mentre selezioni al buio fanno venire fuori risultati simili a quelli delle palline nere e rosse (ringrazio elisabetta addisper la segnalazione del lavoro di C. Goldin e C. Rouse (2000); “Orchestrating impartially: the Impact of Blind Auditions on Female Musicians”, American Economic Review, Sept. 715-741, che mostra come la percentuale di donne selezionate per le orchestre sia cresciuta in misura significativa dopo l’introduzione di un sistema di audizioni “al buio”, ossia svolte dietro una tenda che nascondeva l’identità del candidato). Questo fenomeno – anch'esso in quanto tale innegabile – può però essere considerato causa originaria della scarsa presenza femminile o è esso stesso una delle conseguenze di quelle dinamiche strutturali (economico-sociali) che creano le grandi difficoltà di accesso alle donne ai ruoli di potere? In altre parole: gli uomini (ma anche molte donne) scelgono gli uomini per innato pregiudizio antifemminile o perché la storica assenza di donne in ruoli di potere, determinata da cause strutturali, contribuisce a creare un tale pregiudizio? La questione può ricordare la famosa distinzione tra struttura e sovrastruttura di marxiana memoria, ma le due dimensioni stanno in una relazione reciproca nella quale è difficile individuare l'uovo e la gallina. Ma poi: è così interessante saperlo? Non è più utile capire da quale fronte “conviene” affrontare il problema?
E qui giungiamo alla terza e ultima domanda del nostro percorso: che fare? Se ci si pone esclusivamente dal punto di vista numero 3, la soluzione sarebbe quella delle quote rosa, sia regolate per legge che “informali”. Ognuno dovrebbe fare lo sforzo (nel senso di forzare quella inconsapevole inclinazione a preferire gli uomini) di individuare personalità femminili autorevoli in ogni settore in modo da riequilibrare la presenza femminile in ogni ambito. Questa soluzione ha il pregio di mettere ciascuno di noi di fronte ai propri condizionamenti culturali e soprattutto di far emergere singole individualità femminili che certamente esistono (se non esistessero, non staremmo neanche qui a parlare di una questione femminile). Ha però due difetti a mio parere molto grandi: il primo è che “esporta” in un contesto culturale molto diverso un istituto giuridico che ha dato buoni frutti in paesi dalla storia e dalla cultura molto diversa dalla nostra. Detto in altri termini: il rischio che in Italia le quote rosa si trasformino in quote veline è straordinariamente alto. Il secondo è che si affida con un po' troppo ottimismo alla buona volontà degli attuali potenti – maschi, per lo più – che dovrebbero spontaneamente fare questo sforzo di individuare donne meritevoli di ricoprire incarichi di prestigio. Sforzi assolutamente apprezzabili e da incoraggiare, ma io credo altamente insufficienti. Tre donne al governo Monti con incarichi di grande responsabilità hanno fatto fare molti più passi avanti nella percezione comune di tante quote rosa fatte col bilancino (e d'altro canto il governo Berlusconi vantava una presenza femminile molto più forte che il governo Monti. E non servono altri commenti).
Questo approccio ha poi un altro grosso limite: se tutto il problema sta nel fatto che non si vogliono o non si sanno trovare donne meritevoli e competenti che però in realtà ci sono già, si rischia di non vedere invece quei problemi strutturali che spesso impediscono alle donne di diventare meritevoli e competenti. Per fare un esempio, in un piccolo paese può essere oggettivamente molto difficile, anche con tutta la buona volontà del mondo, trovare donne competenti a cui affidare i vari assessorati, e questo proprio a causa di quelle ragioni strutturali che hanno indotto le donne di quel piccolo paese, in cui magari non c'è neanche un asilo nido, a non investire sulla propria carriera professionale o politica. Faccio un altro esempio tratto dalla mia esperienza personale. Nel paese in cui vivo l'anno prossimo 10 bambini rimarranno fuori dal tempo pieno alle elementari. Oltre a essere una gravissima lesione del diritto allo studio, rappresenta certamente un problema per le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano a tempo pieno. Molto probabilmente, a meno di non poter contare sui nonni, uno dei genitori deciderà di smettere di lavorare o di prendere un part time. E, ipotizzando di trovarci in una famiglia perfettamente paritaria, come sceglieranno chi dei due lascerà il lavoro? Molto probabilmente per ragioni di convenienza familiare la scelta ricadrà su quello dei due che guadagna di meno. E indovinate un po' chi è? Non c'è bisogno di ricordare tutte le statiche che dimostrano come la retribuzione delle donne sia mediamente inferiore a quella degli uomini. Ecco qui che si torna alle ragioni strutturali: tutta la buona volontà del mondo non basta di fronte a problemi che affondano le loro radici molto lontano. E quella donna che oggi è costretta – non dal marito o dal capoufficio, ma dai tagli alla scuola – a lasciare il lavoro molto probabilmente tenderà nel tempo a rinchiudersi in un ruolo che speravamo di esserci lasciate alle spalle, allontanandosi dalla vita economica, sociale e politica del paese.
E allora, vanno benissimo le punzecchiature ai potenti perché si aprano alla presenza femminile e le lodi a Hollande con le sue diciassette donne ministre o a Doria per la sua giunta più che rosa. Ma invece di spendere troppe energie nel reclamare più spazi (richieste che a volte si trasformano in veri e propri anatemi), concentriamo gli sforzi per rafforzare il welfare che invece stanno dismettendo ogni giorno di più e per cambiare radicalmente questo modello di organizzazione del lavoro. Che poi, diciamocela tutta, sta stretto anche agli uomini.


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