Magazine Diario personale

RACCOLTA DIFFERENZIATA BIS - "Noi, poppanti col fucile"

Creato il 23 aprile 2012 da Zioscriba

NOI, POPPANTI COL FUCILE
Mi portano via con l’ambulanza militare, barella fra le camerate silenti nella notte profonda, domenica forse già lunedì, portone spalancato nella bocca autolettiga.
Venerdì. Prima volta a sparare, sui colli di Liguria. Ci sono i FAL e i Garand. I Garand comprati usati a peso dagli americani alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La sigla FAL sta per Fucile Automatico Leggero. Pesa settantadue quintali, scarico. Se non sei nel primo turno i fucili poi scottano. Attento a dove tocchi o sono ustioni, e ostioni. Mi vede incerto, pericolose operazioni di ricarica al mio posto by caporale Mastinone (coi Garand c’è chi ci ha lasciato le dita) senza nemmeno sgridarmi. E dice nulla quando sparo dove capita, nessuna voglia di rovinare i bersagli o avvicinare troppo il visino ventiduenne al mirino (coi Garand c’è chi ci ha lasciato un occhio). Lo consideravo un cane istruttore e un gran pezzo di merda, oggi così paterno e dolce quasi quasi gli voglio bene. Ma come cola il sudore bollente sotto l’elmetto maledetto.
Che cosa vogliono da me, porcaccia italia, alzabbandiera del mio cazzo che mi ci pulirei? Un anno di vita per un cromosoma sbagliato, per esser nato col pìrulo? Una rabbia che mi viene da piangere.
Giù a capofitto con l’aria fredda in faccia sui camion scoperti, autista stronzo a tavoletta fra i tornanti in discesa a rischio di accopparci. E di volata licenza lampo di un giorno e mezzo viaggi compresi, farsi più male che bene, una Notte Nel Mio Letto a sudare sette incubi di trombe d’adunata e già impazzire di rientro, mal di gola e altra ariaccia sul treno, clangori ferroviari che mi rimbombano drumburombano dentro in galleria bomborombo appenninica, come bassi domdom e batteria bumbumbum della scena finale subway di Crocodile Dundee borumbùm, borumbùm, magari sono morto da un po’ ma non mi hanno avvisato. Bumburumbùm! Bumburumbùm!
Bumbu-rumbumbu-rumbumbu-rumbùm!
Lo ha chiamato il piantone, da dimensioni distanti sento dice “Delirava e si lamentava, mi sono spaventato”, allora il cane istruttore che si chiama Bianchi o qualcosa simile un biondino che legge solo fumetti mi mette la mano sulla fronte dice “Cazzo come brucia” e fa dare l’allarme, mi è sempre stato antipatico anche se non è l’istruttore mio di plotone che abbaia è quello dell’armeria ma adesso in questo gesto della mano sulla fronte che scotta mi sembri una mamma.
Ribaltamenti, ribaltamenti, cambi di prospettiva e deviazioni in questo scécheraggio ribaltoso di ricordi d’Albenga. Quando capiremo che è (quasi) tutto il contrario di quello che sembra?
Ribaltamenti d’opinione nel ricordo del cappellano. Un prete con le stellette da capitano, più potere del comandante di battaglione, a rigor di logica dovrebbe starti sul cazzo, giusto? Ma come dimenticare l’adunata di domenica mattina in cui Mastinone stava per mandarci in fumo la giornata sulla spiaggia di Alassio gridando “Chi non alza la mano per andare a messa lo ficco dentro”, col treno che di lì a poco ci partiva, e lui bonario a dirgli “Mastinone, guarda che li puoi mica obbligare, su la mano solo chi vuole davvero”, e allora le braccia levate dei volontari messalinici come d’incanto scesero leggermente da CENTO a… DUE (Miracolo gesucristico alla rovescia: la divisione delle mani e dei bracci…)
Per non parlare del giorno, già dopo il giuramento, in cui ci apprestavamo a consumare gomiti e ginocchia su polvere e ghiaia per esercitarci nel passo del leopardo o chissà quale altra bestia, e lui sbucò fuori e al sottotenentino disse “Se ne vedo anche uno solo andare per terra avrai a che fare con me”, e allora il sottotenentino ci imboscò per due ore all’ombra di un alto muro, dove come scolaretti in gita ci raccontammo film di paura in attesa dell’orario mensa schifa, lo sapevano tutti tranne i generali invasati che l’esercito italiano era per finta.
Infermeria stanzone luminoso e infinito, solitudine fuori da tutto, il nome del pianeta non lo so. Finestre aperte per il gran caldo di giugno, tempo sospeso, soffitto infestato di vespe nere di quelle con la roulotte, come le odio come le odio le vespe con la roulotte. Il mio vicino di letto ha picchiato forte botta in testa cadendo non s’è capito da dove, un po’ se ne sta zitto, un po’ ascolta Raf col walkman, un po’ dice “diopòòrrco” per la testa che gli duole, ma più che altro sta zitto che è meglio.
È un piccoletto veneto con la faccia da casalinga bisbetica. Di quelli capaci di rammendarsi i calzini da soli, poi però cascano e si rompono la testa. Si beccherà novanta giorni di vacanza pagata a casa invece di fare il fuciliere assaltatore a Udine, lo stronzo, e si lamenta pure, voglia di dargli un’altra botta. Io solo ancora un altro paio di giorni per questa faringite acuta con febbre a quarantuno e poi mi cacciano a calci a Pavia, genio pionieri, caserma operativa, da dove cazzo sei caduto, coglione, che mi ci butto pure io?
Alle pareti paesaggi fotografici in formato gigante con laghi canadesi e boschi autunnali che sprizzano Libertà da ogni foglia dorata. Vorrei conoscere l’inqualificabile idiota merdone testa di cazzo gli venissero tutti i mali del mondo che ha operato la perversione di una simile scelta, farci annusare la Libertà così, a noi che l’abbiamo perduta. Appendete astrattismo o caricature o ritratti di generali granmaiali su cui si possa sputare, gran pezzi di merda, già ci prendete per il culo col fucile automatico leggero, non sfotteteci pure con la Libertà che ci fa venir voglia diopòòrrco di tagliarci le vene!
E mi avviavo alla stazione tutto solo straniato sperduto, da un lato contento dei giorni di ritardo che mi avevano evitato il trasferimento di massa su carri bestiame e l’accoglienza in strepito dei nonni a Pavia, dall’altro ancor più spaventato di quell’essere bambino sballottato e disperso e straniero nel mondo, quando vidi venirmi incontro lungo il viale un morettino in bicicletta. Riconobbi il personaggio che bazzicava i dintorni della caserma e si faceva chiamare “la Caporalessa”. Mi oltrepassò sfrecciando e in apparenza senza accorgersi di me, fantasma dolente convalescente zavorrato di bagagli. Lo sentii frenare, e prima di riallontanarsi gridare “Peccato, bella giraffona, ti aspettavo tanto tanto”.
Già, si sapeva: decine di eteromiliti teenagers in mancanza di fidanzata mamma biberon facevano la fila fuori mura dal bel morettino e i suoi amichetti per succhiarli e farsi succhiare, mentre io stupido mi contentavo dei soliti surrogati disperati da carenza affettiva e ciucciocapezzolare: sigarettina, birretta a canna, gelatino, zuccherino, pasticcino, e me ne stavo seduto sul molo a fumare nel tramonto schiena contro schiena col più bello e omofobo degli efebi commilitoni, barista e figlio di sbirro (“barrista”, diceva lui, e io i primi giorni a chiedermi Che cazzo sarà mai un barrista?).
Ti ricorderai anche tu, dell’esser stati cosa sola in quell’unico profilo di cameratesca virile appoggianza stagliato verso il mare, io e te come divi del cinema in posa o poppanti allo sbando, la mia schiena la tua schiena, e i nostri cuori e sogni e silenzi scapole pupille e stanchezze nel blu oltremare dipinto d’arancio e violetto? Forse un istante, per fugace distratto abbandono, addirittura guancia guancia mentre il sole se ne va come noi down down down. Ti ricorderai di me?

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