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Raffaello

Creato il 30 ottobre 2013 da Pim

RaffaelloL’ampia hall era stipata di congressisti che sciamavano rumorosamente dalla sala ristorante, tra clangori di posate nei piatti e sedie trascinate sul pavimento di marmo. Il tono delle voci era garrulo, quello tipico di chi profitta di eventi del genere per gustare la buona tavola, la compagnia e il tempo libero tra le varie attività. <<… D’altra parte non ho ancora avuto il tempo di vedere la città >>, esclamò una giovane donna appartenente a un nutrito capannello. << Puoi farlo domattina >>, rispose una collega, << Il convegno inizia alle nove, il centro sta a un quarto d’ora da qua >>. Intervenne un ragazzo occhialuto: << Se ti alzi presto puoi visitare brevemente la cattedrale che apre alle otto. Merita >>. << No >>, rispose quella che aveva parlato per prima, << Intendevo piuttosto fare un giro, entrare in qualche negozio, comprare… >>. << Andiamoci ora, dai, ci sono dei locali carini. >>. << Sì, beviamo una cosa tutti insieme… Che ne dici Raffaello? >>.

Il cattivo umore nel quale Raffaello indugiava l’aveva indotto a tenersi fuori dalla discussione. Gli mancava la voglia di bevute e spiritosaggini alle quali l’invito alludeva. Coglieva nei colleghi, e soprattutto nelle colleghe, l’insensibilità di persone che stanno invecchiando male, che si illudono di una libertà dalle convenzioni solo apparente. Sentiva il desiderio di assentarsi, perciò aspettava il momento in cui nessuno più badasse a lui. << Stasera sono stanco >>, disse allora sfoderando un sorriso d’ordinanza, << Ci vediamo domani >>.

Roberta, che aveva accennato ai locali carini, lo scrutò dagli occhiali in su. Conosceva bene l’istinto da viveur di Raffaello, spesso l’aveva accusato di avere la mente fissa solo ai successi sessuali. Pensò, dunque, che quella inconsueta ritrosia nascondesse un segreto, che avesse preso di mira qualche donna, e la gelosia le stava crescendo nel petto. Al contrario, lui ricambiò distrattamente lo sguardo che gli altri gli avevano appeso addosso. Temeva soprattutto che la proverbiale aggressività di Roberta gli esplodesse in quei giorni tra le mani. Non si poteva certo definirla una donna virtuosa, durante i convegni condividevano sesso clandestino e senza rimorsi, ma era incapace di sopportare la frustrazione di non essere l’unica nella sua vita. Comprensibilmente, desiderava confermarsi agli occhi di lui come la migliore, e i suoi eccessi carnali andavano forse a compensare i tratti somatici piuttosto grossolani che non la rendevano particolarmente seducente. Raffaello pensava di non avere colpa se era innamorata, o infatuata, non si sentiva responsabile dei sentimenti altrui.

<< Si può sapere che cazzo ti ho fatto? >>, chiese Roberta non appena riuscì a prenderlo da parte all’imbocco del corridoio che conduceva al centro benessere. A cena aveva bevuto più di quanto convenisse, esibendo per giunta una fastidiosa possessività che non era passata inosservata. << Niente, Ro, stai tranquilla. Sono solo un po’ giù di corda, tutto qui >>, cercò di disinnescarla. << E vuoi che io ti creda? >>, si animò invece lei, << Che adesso non ce la fai a prendere per il culo tua moglie, continuare a metterle le corna… >>. << Te l’ho spiegato, Ro, è un momento in cui ho bisogno di riflettere >>. << Ma, cristo, ti senti quando parli? >>, e un robusto insulto riecheggiò sopra la sua testa.

Il roof garden apriva alla vista il golfo e il crinale della costiera che si sperdeva nell’oscurità. Nell’aria galleggiavano profumi estivi e in cielo era appeso il faccione tondo della luna piena. Finalmente solo, Raffaello teneva ora le mani in tasca e la mente occupata in un lavorìo non del tutto consapevole - come quando si esita nel dormiveglia. Aveva sempre confidato nella propria buona stella, cullato dalla sicurezza di sé si abbandonava alle avventure erotiche con piacevole nonchalance. Si vedeva come un uomo attraente, capace di passare impunemente attraverso il gioco della seduzione senza caderne preda. L’ultima scappatella ad Ascona aveva però dissipato quell’alone pervasivo di autocompiacimento. Silvia gli si era avvicinata durante il break coffee pomeridiano, con la scusa di qualche tematica che non riceveva adeguato trattamento. Si erano incontrati nuovamente nel dopo cena, poi trattenuti fino a tarda ora sulle comode poltrone della hall. Senza tanti preamboli, avevano infine fissato di continuare la notte in piacevole accordo. Un incontro eccitante, di quelli casuali, senza inutili complicazioni, come gli accadevano spesso ai congressi o a qualche conferenza. Poco importava che, stavolta, capitasse nel bel mezzo dei preparativi per le nozze con Vittoria: si trattava, come al solito, di una pura e semplice divagazione, nulla di male tra adulti consenzienti. Invece, qualche giorno dopo, durante l’orario ambulatoriale, il numero di Silvia gli risuonò sul cellulare. Una voce d’uomo si accertò che stesse parlando con la persona giusta e poi si qualificò. A Raffaello occorse più di qualche minuto per rendersi conto che costui, il marito o il compagno di lei, lo stava pericolosamente minacciando. “So chi sei. Adesso ti sputtano con la tua donna, poi vengo a cercarti in ospedale e ti massacro”. In un soffio, il mondo gli crollò addosso. Il suo mondo vanitoso fatto di sesso facilmente accessibile, di conquiste con toccata e fuga, di divertite autoassoluzioni. Ma anche il matrimonio imminente, la reputazione che si era costruito, il prestigio sociale della famiglia di provenienza, la carriera accademica. Caduto nello sconcerto più assoluto, si rivolse in via confidenziale a un avvocato che, dal canto suo, cercò di rassicurarlo: la legge gli concedeva ampi mezzi per difendersi da una tale aggressione. Fortunatamente quanto inaspettatamente, invece, quell’uomo non diede esito alle intenzioni, e così, a seguito anche delle nozze celebrate di lì a poco, l’eco della vicenda si era pian piano spenta nella memoria. Non aveva smesso di provocare l’interesse femminile, ma la cautela aveva velato i suoi approcci fino a renderli quasi del tutto platonici, una specie di virtuosismo, un esercizio di stile esibito ormai per abitudine più che per convinzione.

Raffaello aveva gettato qualche ragionamento sul senso del suo ritiro dall’agonismo erotico. Pareva impensabile credere che fosse soltanto per la paura provata, d’altronde non avrebbe mai smesso di giocare perché il gioco gli era scappato di mano. Gli sembrava tuttavia verosimile che, quasi senza rendersene conto, avesse progressivamente spostato le sue battute di caccia nell’ambito di uno svago illusorio. In effetti, viveva ormai nel più regolare dei matrimoni, con tutte le sue convenzioni e le abitudini: amava abbastanza Vittoria e verso di lei nutriva una serena riconoscenza per la piccola Valentina, nata sei mesi prima. Questa era forse la realtà: una comoda, confortevole realtà nella quale si era adeguatamente innicchiato. Al di sopra, esisteva purtuttavia un altro piano di realtà in cui, con commovente attaccamento, continuava la propria adolescenza irrequieta trasformata ora in una rappresentazione innocua, via via meno interessante, un autoinganno consumato in compagnia di donne compiacenti ma, tutto sommato, sempre più estranee.

Mentre si riproponeva ancora tali considerazioni, Raffaello prese l’ascensore e, sceso al proprio piano, s’incamminò per un lungo androne moquettato. Controllò il cellulare, nessun messaggio, poi cercò nella tasca interna della giacca la tessera magnetica della stanza. Quando levò lo sguardo, vide che sulla soglia lo attendeva Roberta. Era scalza, i piedi nudi allargati sulla superficie soffice del tappeto, e il négligé nero satinato, leggermente trasparente, le copriva appena le ginocchia. L’espressione dipinta sul viso non lasciava spazio alle interpretazioni e perciò le sue parole aggiunsero appena un tocco di compiaciuta malizia: << Stanotte non mi va di restare da sola >>.

In fondo, concluse Raffaello mentre la porta si apriva con uno scatto secco, bisogna avere il coraggio dei propri vizi.

(Settembre - ottobre 2013)


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