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“Rally round the flag”. Perché radunarsi intorno alla bandiera non è sempre un bene. I limiti della democrazia americana, tra stereotipi e realtà

Creato il 01 aprile 2015 da Catreporter79

“Rally round the flag”. Perché radunarsi intorno alla bandiera non è sempre un bene. I limiti della democrazia americana, tra stereotipi e realtàTra le mitologie che alterano la percezione della società americana nell'osservatore esterno, consegnandogli un'idea agiografica, e quindi irreale, degli USA, il valore positivo e salvifico del cosiddetto "rally round the flag", formula coniata dal sociologo statunitense John Mueller in un suo articolo dal titolo "Presidential popularity from Truman to Johnson" per spiegare l'attaccamento, trasversale, alle istituzioni ed alla bandiera da parte del suo popolo nei momenti di maggior crisi e difficoltà.

Questo atteggiamento, generalmente presentato come sinonimo di robustezza della coscienza nazionale americana, nasconde, a ben vedere, una lacuna di fondo, ovvero l'incapacità di elaborare una fisionomia critica efficace, in grado di proporre una visione d'insieme diversa da quella dell'establishment, nel solco di quell'eterodossia che dovrebbe caratterizzare le società aperte. Al contrario, anche gli intellettuali (sebbene con rare e famose eccezioni, come ad esempio Eugene V.Debs) appaiono allineati con l'emotività diffusa di vicinanza alle istituzioni, lontani dal ruolo di apripista del dissenso razionale ricoperto dai loro omologhi in altri Paesi.

L'archè del fenomeno va cercato senza dubbio nel patriottismo che anima il popolo americano (pur minacciato nella sua unitarietà da spinte separatiste non marginali) ma anche in una certa prassi intimidatoria con la quale la governance a stelle e strisce si è sempre relazionata alla protesta, specialmente dagli anni dell'amministrazione Wilson.

Scriveva a questo proposito Italo Calvino, in occasione della Crisi missilistica di Cuba* del 1962: "In America il livello culturale è alto [...] questo dovrebbe dare all'intellettuale americano una posizione di primo piano, ma non è così. Il maccartismo ha creato , a suo tempo, un clima di sospetto e di paura; [...] la ferita no è sta ancora rimarginata. Ho avuto cioè l'impressione che l'intellettuale americano , il quale prima si manifestava il meno possibile per non essere accusato di essere un "agente di Mosca", oggi persiste nel suo silenzio perché si sente più o meno impotente".

Questo, è bene ricordarlo, non nega né vuol negare l'esistenza di un conflitto dialettico, nella comunità e nella cultura statunitensi, ma ne evidenzia la scarsa importanza proprio nelle fasi in cui il suo contributo risulterebbe più vitale per la vita democratica. Il ritardo con cui "western revisionista" è giunto rispetto all'olocausto dei nativi ed alla filmografia western tradizionale, così come la pellicola "governativa" sull'11 Settembre di un registra "non allineato" come Oliver Stone, sono dimostrazioni ulteriori e tangibili di questo "vulnus".

*salvo rare eccezioni, il consenso degli americani verso l'operato del loro governo fu quasi unanime. In buona sostanza, mentre i missili nucleari sovietici alle porte degli USA (a Cuba) venivano considerati un "male", quelli americani alle porte dell'URSS (in Turchia) venivano considerati un "bene".


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