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“Ranocchio trova un amico” di Max Velthuijs, Bohem Press

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

ranocchioamicocopGià in passato avevo avuto modo e piacere di raccontare del candido e generoso Ranocchio, personaggio nato dalla fantasia di Max Velthuijs, autore completo già vincitore, nel 2004, del prestigiosissimo premio internazionale Hans Christian Andersen.

Il simpatico e gentile animaletto verde, dalle sembianze antropomorfe e l’inconfondibile e buffo mutandone a righe, è il protagonista di una serie di albi illustrati dai profondi e sensibili temi pedagogici.
Lontani anni luce dall’essere didascalici, i libri di Velthuijs aprono invece uno squarcio attento e pertinente sulle emozioni e sui sentimenti dell’infanzia, trattandoli con rispetto e cogliendone lo spirito, senza l’arroganza di soluzioni facili e preconcette ma piuttosto la delicatezza – e la rarità – dell’empatia.
Già le peculiarità caratteriali di Ranocchio, che facilmente si evincono dai comportamenti nelle storie che lo vedono in azione, fanno capire che l’autore ha uno sguardo buono e accogliente verso il mondo bambino, che ne riconosce e ne apprezza l’ingenuità, la capacità d’accettazione, il potere della fantasia, che comprende il bisogno d’amicizia e condivisione e, allo stesso tempo, sa cogliere le difficoltà della crescita, la fatica di crearsi spazio e identità e di relazionarsi con gli altri.

Sono sette gli albi di Ranocchio già pubblicati dalla casa editrice Bohem Press e, tra essi, “Ranocchio trova un amico” è il più recente giunto sugli scaffali delle nostre librerie.
Il formato è ampio a sviluppo classicamente verticale, così come piuttosto tradizionale è la disposizione testo-illustrazione all’interno della facciata.
La seconda infatti è racchiusa da una cornice colorata, che ne delimita lo spazio, mentre il primo si colloca quasi sempre ordinatamente in basso, su poche righe e sfondo bianco.
Questa costruzione, che apparentemente può sembrare statica e priva di vervè, ha invece a mio parere diversi pregi.
Innanzitutto è rassicurante, permette al bambino, anche molto piccolo, di focalizzare l’attenzione e seguire le fasi del racconto senza fatica.
Metanarrativamente invece le figure acquistano l’aspetto e il significato di finestre, spalancate su un luogo altro specifico e precisamente fissato, che è quello della realtà fantastica raccontata.
Passando con lo sguardo attraverso esse, colui che ascolta – presumibilmente il bimbo – compie un passaggio che è solo suo, mentre la voce narrante – quella genitoriale o dell’adulto di riferimento – resta fuori, accompagnandolo ma non invadendo uno spazio che, metaforicamente, si mantiene aperto solo alla sua sensibilità e alla sua capacità, o desiderio, di immedesimarsi.
La scelta dell’autore quindi, oltre ad essere esteticamente pulita ed elegante, mi appare come l’ennesima nota di rispetto verso l’universo infantile, là dove il bambino viene inteso come artefice e protagonista della sua crescita, fisica come emotiva, senza però la nota di solitudine che tale chiave di lettura potrebbe richiamare.

La centralità dell’infanzia è inoltre sottolineata dalla specificità del racconto, il quale è profondamente legato allo spirito animistico dei piccoli e alla loro capacità, con la fantasia, di infondere vita ovunque anche là dove l’adulto vedrebbe e tratterebbe solo oggetti inanimati.
I temi poi, più genitoriali, della cura o quelli più psicologico-emotivi legati all’amicizia, all’abbandono e  alla scelta vengono affrontati comunque dal punto di vista dei bambini, grazie ad un loro perfetto alter-ego, Ranocchio, che non offre soluzioni ma emozioni in grado di avvicinarsi al loro animo e farli sentire accolti.

Il buon Ranocchio, durante una piacevolissima passeggiata autunnale nel bosco, trova, nel mezzo dell’erba alta, un orsetto dalla maglietta rossa e gli occhi tristi. Subito se ne prende carico, con slancio affettuoso e gioioso, decidendo di condurlo a vivere con sé.

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Sono gli amici incontrati sulla via del ritorno – Porcello e Lepre, anch’essi dagli abiti e le posture umane – a fargli notare che il suo nuovo amico altro non è che un pupazzo di pezza. Inutile, a sentir loro, e nemmeno in grado di parlare.
Ranocchio non li ascolta e non accenna alla minima delusione: innanzitutto Orsacchiotto è capace di camminare benissimo, è evidente! E poi ci penserà lui ad insegnargli a parlare.

E così è. Ancor prima di sfogliar pagina, tutti noi lettori, grandi come piccini, lo sappiamo già: l’orsetto perderà velocemente le caratteristiche inanimate da peluche per prendere naturalmente vita.
Dapprima sarà abile nello stare seduto ben diritto a sorseggiare le minestre che Ranocchio gli imbocca e, dopo poco, imparerà a pronunciare le prime parole che l’amico, con pazienza gli insegnerà.

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Come non vedere in questo passaggio, oltre a un delizioso tributo di riconoscimento al potere dei piccoli di animare con l’immaginazione, anche un tenero riconoscimento del lavoro di cura e accudimento, della capacità che hanno l’amore e la pazienza di infondere vita, intesa in maniera più complessa, come universo emotivo interiore ricco e appagante.

Come si nota, queste di Velthuijs non sono formule magiche per la crescita, ma profonde chiavi di lettura che il giovanissimo lettore può interiorizzare e fare proprie, ad incrementare il personale bagaglio di esperienze e spunti di riflessione di cui l’infanzia, a dispetto di quanto credono in molti, è ricca.

Torniamo però alla storia. Orsacchiotto, una volta in grado di interagire e comunicare, diventa parte integrante dell’affiatata comunità degli animali, apprezzato e ben voluto da tutti.
Ma come in tanti percorsi d’avanzamento e scoperta, arriva il momento in cui il richiamo del fuori diventa irresistibile e l’animaletto si intristisce bramando di tornare al suo luogo di origine.
Desiderio di esplorare o richiamo delle origini e quindi ricerca della propria identità che sia, fatto sta che Orsacchiotto sceglie di partire.

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Ranocchio, seppure amareggiato, comprende, non cerca né di trattenerlo né di dissuaderlo.
“Se mi ami, lasciami libero”, recitava un detto ed è certo che sia giusto così, perché passare ai bambini il valore dell’amore come libertà e rispetto è di fondamentale importanza, sia che essi si vedano come coloro che hanno il dover di lasciar andare una persona amata, sia che si percepiscano come l’oggetto d’amore – in questo caso più propriamente genitoriale – che ha il diritto di spiccare il volo e scegliere, senza vincoli, la sua strada.

Ma il lieto fine, forse un po’ sentimentale ma rassicurante, è in agguato! Il piccolo orso, proprio nel momento di massima tristezza e nostalgia di Ranocchio, fa ritorno dichiarando all’amico tutto il suo affetto e asserendo che il luogo adatto a lui è soltanto quello dove possono essere insieme.

Ecco, noi noiosi lettori adulti saremmo già lì a criticare come melenso il finale giudicandolo magari non fedele alla realtà dei fatti. Ma i bambini non hanno alcun interesse, né traggono utilità, dalla realtà dei fatti e per loro una conclusione felice, ricca, che chiuda con gioia il cerchio degli affetti, che racconti all’inconscio impaurito che la separazione non è per sempre e che l’evoluzione di un abbandono non è necessariamente la solitudine, è di grande importanza.

Ed è indubbio che Ranocchio sappia dirlo. E nel suo mondo bucolico e colorato, semplice e diretto, gentile e delicato, racconta ai piccoli i passaggi sani, magari un po’ difficili, ma sempre positivi, del loro cammino di crescita.

(età consigliata: dai 3 anni)

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