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RASSEGNA STAMPA/ Che tempo che fa del lunedì con il ritorno in Rai di Saviano

Creato il 04 ottobre 2012 da Iltelevisionario

RASSEGNA STAMPA/ Che tempo che fa del lunedì con il ritorno in Rai di SavianoLunedì 1 ottobre ha debuttato su Rai3 Che tempo che fa del lunedì condotto da Fabio Fazio, in un’innovativa prima serata “breve” dalle 21.05 alle 22.30, con la partecipazione di Roberto Saviano, di nuovo in Rai a due anni di distanza dall’evento del 2010 Vieni via con me. L’appuntamento del lunedì è un’evoluzione del talk show tradizionale, andato in onda per nove edizioni, e la sintesi delle esperienze e dei nuovi percorsi televisivi compiuti da Fazio e Saviano, l’ultimo su La7 con Quello che (non) ho. Ospiti delle puntate del lunedì anche Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa, e il comico Paolo Rossi. La prima puntata ha ottenuto 2 milioni 857 mila telespettatori pari al 10.02% di share.

Il lunedì di Fazio in fase di rodaggio

(A fil di rete di Aldo Grasso – Corriere della Sera) In tutta sincerità, la versione del lunedì di «Che tempo che fa» mi ha convinto fino a un certo punto. Il nuovo studio di via Mecenate sembra più adatto a un varietà che a uno show di parola: troppo grande, troppo pubblico, troppa inutile tecnologia. Fabio Fazio ha ormai il ritmo di un officiante: non fa più televisione dice messa, sia pur laica, con venature beat. E quando incontra un vero prete, il Cardinale Camillo Ruini, ne viene sopraffatto: per vivacità, per contenuti, per profondità. È stato l’unico momento veramente interessante. Fazio leggeva domande scritte dagli autori e Ruini lo stendeva. Prendiamo il duetto con Massimo Gramellini. Che senso ha che il conduttore faccia il controcanto, facendo la verginella di fronte agli atti di accusa del giornalista? Quando Gramellini ha sostituito Fazio con un leggio per leggere una lettera alla maestra di Lavitola è stato molto più efficace. Certo, «Che tempo che fa» del lunedì è una trasmissione che prende alla gola, mescola contenuti e sentimentalismo, impedisce quasi di ragionare: la figlia di Rostagno, il carcerato, la cassintegrata Fiat che si scaglia contro Marchionne (che poi magari Fazio inviterà in studio e farà tutto il gentile), le paraolimpiadi… Come si fa a non essere d’accordo? È tornato in Rai anche Roberto Saviano. «Una ferita che sento risanata », ha detto il conduttore, forse esagerando, specie nei confronti de La7, che non è propriamente un esilio. Quando non parla della sua materia, Saviano è meno efficace del solito. Che so, se la storia di Michel Petrucciani, uno dei più grandi pianisti jazz nonostante fosse affetto dalla «sindrome delle ossa di cristallo», fosse stata narrata da Alessandro Baricco o da Marco Paolini sarebbe risultata più ammaliante. Può darsi che il programma abbia solo bisogno di un rodaggio (via Mecenate non è corso Sempione), ma fin dai tempi della tv del dolore conviene diffidare dell’esibizione dei buoni sentimenti.

Ma un Fabio Fazio non fa più resistenza

(Canal Grande di Antonio Dipollina – La Repubblica) Dissipato l’equivoco (il nuovo Che tempo che fa del lunedì non è Vieni via con me) si scoprirà che non è successo alcunché di drammatico (partenza al 10% di share e meno di 3 milioni di spettatori). Ovvero l’ edizione del sabato, che ansimava un po’ , del programma di Fazio viene portata in una serata dove non abbondano le offerte per un certo pubblico (Lerner a parte, molto penalizzato). E non si capisce perché tutto quello che vale per la tv corrente – guai a criticare certi programmi, in quanto hanno il loro pubblico – non debba valere anche per Fazio, uno che è così da decenni e ogni volta il conformismo malpensante gli rimprovera di non essere l’ opposto. Mah. Nel riportare Saviano in Rai Fazio parla di “ferita risanata”. C’ è un minimo di enfasi, ma il concetto regge. Che in giro, in tv e nel programma medesimo non tiri esattamente la stessa aria di evento resistenziale che fu per Vieni via con me è altro discorso: ma siamo sicuri che quel clima sia da rimpiangere davvero?

‘Che tempo che fa’, aspettiamo l’inverno

(di Giorgio Simonelli - Il Fatto Quotidiano) Prima di tutto un giudizio, anzi un’impressione personale. A me la prima puntata del nuovo format feriale di Che tempo che fa è sembrata bella, molto bella: concentrata in una durata giusta, in uno spazio razionale, con una regia televisiva sempre brillante, con ospiti, come Aniello Arena, che avevano cose forti da dire e Saviano persino più efficace del solito, in un racconto più breve e inconsueto rispetto alle sue tematiche. Il finale poi, giocato sulla filastrocca jannacciana “Quelli che”, con l’ospitata di Gimondi e un paio di battute fulminanti di Paolo Rossi, era da urlo. Ma non è andata bene: appena un 10%, ampiamente al di sotto delle due fiction delle reti ammiraglie, ben lontano dalle cifre a cui i prodotti della coppia Fazio-Saviano erano e ci avevano abituati. E allora di questo dobbiamo parlare, cercando di spiegare perché. Faccio una serie di ipotesi che non si pongono in alternativa, ma si sommano. Sullo sfondo c’è la crisi della tv generalista, di cui si parla da anni ma che ora è arrivata in forme veramente vistose e che – secondo una mia vecchia idea – si sente maggiormente in un periodo in cui la stagione, quella atmosferica, non invita al consumo televisivo. Ieri, mentre mezza Italia era già in pieno autunno, l’altra metà viveva una bella serata estiva. Può sembrare banale questa mia osservazione, ma non tenere mai conto di quello che succede fuori dalla tv è un errore. Se poi un programma si chiama Che tempo che fa… Al di là delle battute, c’era anche una discreta concorrenza con due fiction popolari e già avviate e due talk che si sono ritagliati la loro fetta di pubblico. Poi c’è la spiegazione più specifica, riguardante il prodotto. La presenza di Fazio e Saviano insieme in onda è legata ormai indissolubilmente all’idea di evento: qualcosa di unico, dalla durata limitata e predeterminata (3, 4 puntate), irripetibile, imperdibile in quel momento e accompagnato da un’attesa degna di un’occasione eccezionale (spesso accentuata dalle polemiche di contorno). Trasformare questa eccezionalità in una consuetudine, che ci accompagnerà tutti i lunedì sera per un certo tempo, non è cosa facile e di immediata realizzazione per il pubblico. Che potrebbe essersi trovato spaesato di fronte a un programma che non è il Che tempo che fa normale di un’ora, ma non è neppure la sua versione eccezionale alla Vieni via con me. Per cui ora niente processi, niente isterismi. Tempo al tempo e se la qualità sarà quella intensa e originale di ieri, alla fine pagherà. Magari non appena se ne sarà andato lo scirocco.

Fazio-Saviano: prove tecniche di Sanremo 2013

(di Marida Caterini - www.maridacaterini.it) Torna la premiata coppia Fabio Fazio e Roberto Saviano. Il lunedì sera, fino a metà dicembre, ci sarà un’edizione speciale di Che tempo che fa, in onda dalle 21,15 alle 22,30. Cambiata, dunque, la collocazione del sabato e della domenica dello scorso anno. L’impressione avuta dall’appuntamento all’esordio lunedì 1 ottobre, è la medesima che prova il telespettatore dinanzi alle trasmissioni di Fabio Fazio. Cioè l’immutabilità degli argomenti e delle atmosfere e la staticità dello stile fintamente low profile, ma molto supponente e intellettualeggiante. Fazio spesso da la sensazione di essere il custode unico e universale di ogni verità, il personaggio dal quale corrono ministri, presidenti, scienziati, filosofi che non potrebbero permettersi di partecipare ad un’altra trasmissione televisiva, perchè nessun conduttore sarebbe all’altezza di reggere la dialettica della conversazione. Fazio è la summa di ogni nozione, lui lo sa bene, ma finge di porsi in atteggiamenti modesti e minimalisti, per esaltare ancor di più la propria onniscienza. Risultato: la sensazione che prova il telespettatore è di una profonda sottomissione intellettuale. Fazio ci fa sentire, insomma, ignoranti, quando parla dinichilismo filosofico, di assolutismo e fondamentalismo, solo per fare un esempio. Nelle interviste ai grandi della religione, della storia, della scienza, della filosofia, il telespettatore comune si sente inadatto, vorrebbe scappare verso lidi più accessibili, invece resta sintonizzato, anche se non riesce a seguire le evoluzioni del discorso, perchè così è giusto che sia. Se chiedessi ad una persona comune, come mia madre, il senso del discorso del cardinal Ruini, ospite della prima puntata, sono certa che non saprebbe rispondermi. Ma Saviano fa tendenza. E proprio perchè fa tendenza, è stato scelto per la prossima edizione del festival di Sanremo. Alla manifestazione deve dare quall’aura culturaleggiante e seria, necessaria in tempi di austerità dopo i fasti nazional-popolari delle ultime edizioni. Ora le argomentazioni di Fazio le conosciamo tutte; sono quelle di Vieni via con me, di Quello che (non) ho, e naturalmente di Che tempo che fa. Su questa base verrà costruita anche la sceneggiatura del festival di Sanremo, con alternanza di momenti comici e irriverenti a atmosfere di grande impegno sociale, umano. E la rappresentazione più viva di tutto ciò è la presenza di Roberto Saviano, tornato su Rai3 dopo la parentesi forzata trascorsa a La7 lo scorso anno. Saviano sarà presente con i suoi monologhi anche a Sanremo, proprio per nobilitare la manifestazione, come già accadde con i festival di Paolo Bonolis e dello stesso Fazio dieci anni fa. Saviano dice cose sacrosante, documentate con puntigliosa accuratezza, fa riflessioni profonde affrontando tematiche di grande impatto. Come la constatazione che la nostra nazionale Paralimpica ha vinto lo stesso numero di medaglie di quella normodotata. Infine: la consapevolezza della sua superiorità, Fabio Fazio la estrinseca nei rapporti con i mass media. Poche, pochissime interviste, mirate, spesso esclusive che secondo lui fanno la differenza e che sono dispensate a quotidiani di grande tiratura.

Saviano, il messia non basta più

(La teledipendente di Stefania Carini – Europa Quotidiano) Di nuovo Fazio e Saviano, e di nuovo sulla Rai. Dopo la parentesi La7, ecco che è stata «sanata la ferita», come spiega Fazio nel presentare Saviano. Solo che i numeri sono un po’ diversi. La prima puntata di Che tempo che fa edizione Saviano ha fatto infatti il 10% di share contro il 25% realizzato dalla prima puntata di Vieni via con me. E però i due appuntamenti non sono paragonabili. Vieni via con me era un’altra cosa, perché era stato venduto come evento unico e irripetibile, e si sa che la tv eventizzata consente grandi numeri. Ma adesso che Saviano-Fazio si fanno seriali, appuntamento settimanale come molti altri, possono ancora raccogliere così tanti spettatori? Ovvio che no, è da mettere in conto. Forse certo ci si aspettava qualcosa di più. Rimarrà costante tale ascolto? O decrescerà? Il dilemma di fondo, intimamente legato a questo cambiamento di status (da show evento a show seriale), è: questo format messianico ha o meno fatto il suo tempo? L’abbiamo già scritto, non amiamo la messa tetra di Fazio-Saviano. È come se il pubblico fosse obbligato a espiare i suoi peccati sociali e culturali durante la visione. Un obolo dovuto, che forse però si è disposti a versare solo un tot di volte all’anno, non ogni settimana. Un obolo inoltre che non smuove l’animo, ma pacifica la coscienza. Non pone domande o dubbi, ma ci ricorda che siamo colpevoli di qualche dimenticanza. E nel momento in cui ci rammenta tali oblii, automaticamente ci assolve. Sì, abbiamo celebrato questa sera i morti per mafia, i cassaintegrati, i disabili, adesso possiamo andare in pace. Il problema è anche la costruzione linguistica di questo “spettacolo civile”, composto da differenti momenti. L’intervista è un genere ben preciso, e quella di Ruini è stata interessante. Il monologo pure è un genere ben preciso, ma Saviano ormai imita se stesso, nelle pause, nei gesti, nei sospiri, e mancano una certa cura linguistica e una certa costruzione narrativa. Infine, il problema più forte è quello legato al “format leggio”, ovvero quando una persona comune legge sue o altrui esperienze da una testo scritto posato, appunto, su un leggio. È tutto così straniante: le persone leggono la loro vita che diventa così qualcosa di distante, e invece noi vorremmo che ci gettassero in faccia tutto il dolore, la rabbia, la frustrazione di cui sono capaci. Non si tratta di renderli “casi umani”, ma di liberare il potenziale dell’umano. Di non comprimerlo, così che ci possa veramente destare senza rasserenare, così che ci possa mandare a quel paese e non in pace.

Torna un po’ di sereno da Fazio

(L’indice di Mirella Poggialini – L’Avvenire) Fa bel tempo, il lunedì. Almeno per la prima puntata dell’anno televisivo in cui Raitre ripropone la tv della parola in Che tempo che fa, con l’immagine (i primi piani senza sfondo, il leggìo accanto al microfono, gli abiti “di ogni giorno”) che segue il racconto e se ne fa interprete ma non dominatrice. Un gran lavoro di preparazione e di studio, quello che si è colto nella trasmissione: con Fabio Fazio cortese dittatore, dall’alto della sua cattedra avveniristica, di ospiti illustri costretti a rivolgergli lo sguardo dal basso, e sorrisi diffusi a metter miele in domande che, trascritte, si rivelano perfino aspre. Così con il cardinal Ruini, duello sottile di ragionamenti acuti e di sintesi taglienti, in cui Dio è stato nominato mai invano. E la scelta degli intervenuti, grand cru d’alta cucina, ha offerto un panorama a 360 gradi dell’ideologia che sottostà comunque al programma, coeso e pietroso nei suoi assunti. Non un talk show, per fortuna, e non la solita caterva di toni rissosi e voci alte. Ma la lettura – garanzia di misura – ha offerto a Maddalena Rostagno, ad Aniello Arena, ergastolano a cui il teatro ha liberato l’anima, e a Alexandra Martino, operaia Fiat, il modo di comunicare con garbo dolore, rabbia e vitalità. E poi Cristicchi e Jannacci junior con la loro canzone trascinante, a far da apertura al racconto di Saviano. Che questa volta ha trascurato gli orrori delle truffe e delle ruberie nel nostro quotidiano, sfondo patchwork di molte trasmissioni attuali e anche di questa, per disegnare con accorata passione la figura di un «disabile» maestro di vita, d’arte e di coraggio, come Michel Petrucciani. Alla fine Paolo Rossi, irridente e commosso, e Felice Gimondi, con la sua diretta semplicità – «Sono felice anche se ho settant’anni!» – hanno chiuso con il sorriso in orario giusto, poco dopo le dieci e mezzo. Gli spettatori? 1.903.000 all’anteprima, share 6,6%, divenuti alla fine 2.857.000, share 10,01%.

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