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Recensione a basso costo: Io non ho paura, di Niccolò Ammaniti

Creato il 19 ottobre 2015 da Mik_94
I mostri non esistono. I fantasmi, i lupi mannari, le streghe sono fesserie inventate per mettere paura ai creduloni come te. Devi avere paura degli uomini, non dei mostri.
Recensione a basso costo: Io non ho paura, di Niccolò AmmanitiTitolo: Io non ho paura Autore: Niccolò Ammaniti Editore: Einaudi Numero di pagine: 216 Prezzo: € 10,00 Sinossi: In questo romanzo Niccolò Ammaniti va al cuore della sua narrativa, con una storia tesa e dal ritmo serrato, un congegno a orologeria che si carica fino a una conclusione sorprendente: e mette in scena la paura stessa. Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti con un segreto cosi grande e terribile da non poterlo nemmeno raccontare. E per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia storia: quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragica, che coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i campi di grano. Il risultato è un racconto potente e di assoluta felicità narrativa, dove si respirano atmosfere che vanno da Clive Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino. La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce abbagliante del sole e il buio della notte, Ammaniti alterna, a colpi di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro tenacia, la forza dell'amicizia e il dramma del tradimento.                                               La recensione Recensione a basso costo: Io non ho paura, di Niccolò Ammaniti Ricordo che, da piccolo, si andava dai miei nonni una volta all'anno. Ci fermavamo di più rispetto ad ora – due settimane, spesso anche un mese – e che il viaggio dalla Sicilia alla Campania era un'odissea di curve brusche e chilometriche attese. Qualche volta prendevamo la nave e, tutti insieme, ci stringevamo in una cabina: io e mio fratello lottavamo per il secondo piano del letto a castello e, di notte, durante la traversata, guardavamo il mare dall'oblò. Per anni, ovviamente, i miei ci hanno protetto dall'epilogo di Titanic – in ballo, le nostre preoccupazioni e i loro nervi. Durante uno degli ultimi viaggi, prima di trasferirci, durante una cena in famiglia – al tempo ero buono buono e tali ricorrenze non mi annoiavano; noi bambini sedevamo a un tavolino a parte, vicino al camino – i miei cugini avevano iniziato a parlare dell'ultimo film che avevano visto al cinema, accompagnati dalla scuola. Che invidia! L'anno prima, con la maestra, eravamo andati a vedere, dalle mie parti, il Pinocchio di Benigni: perfino all'epoca, lo avevo trovato bruttissimo. Avevo rovinato l'entusiasmo di bambini che avevano visto, chissà dove, la magia. I miei cugini – e anche la più piccola di loro, che era addirittura una femmina: somma ingiustizia – erano stati a vedere Io non ho paura. Quanto avevo sperato di vederlo anch'io, quel film o, nell'attesa che passasse in tivù, di leggere il romanzo: non ero ancora un gran lettore, ma mamma – abbonata a Mondolibri – mi aveva letto a voce alta la trama su uno dei loro opuscoli pubblicitari. Da amante dei racconti da brivido, spettatore a tradimento di horror che non avrei dovuto guardare, mi si era ficcata in testa quella storia: un protagonista con il mio nome – e, quando vivevo in Sicilia, nessuno si chiamava come me; forse, solo il proprietario dell'alimentari all'angolo – e la scoperta di un segreto più grande di lui. Ero convinto che l'altro Michele, che aveva nove anni come me e viveva al Sud come me, sarebbe stato in pericolo per – mia ossessione a quell'età – le sette sataniche. Al telegiornale si parlava tanto delle Bestie di Satana, dodici anni fa, e, al mio paese, animali fatti a pezzi e minacce sparse non si sapeva bene se fossero colpa della criminalità locale o di Lucifero in persona. Nelle ronde in bici con i miei compagni di classe – anche noi, come i protagonisti, ci spingevamo oltre il seminato, padroni di un boschetto di ortica e fiori che puzzavano come carogne – ci sfidavamo a chi diceva più parolacce e a mostrare coraggio da leoni. Anche in quel caso, ruoli che si ripetevano: un bullo come Scheletro, che ridacchiava alle mie spalle, in seconda elementare, minacciando di annegarmi nella piscina comunale; un migliore amico come Salvatore che, però, non mi ha tradito mai, anche se la vita e la lontananza ci hanno divisi; l'unica ragazza del gruppo, tormentata dai maschi come Barbara, ma assai più graziosa e assolutamente ben disposta ad affrontare maliziose penitenze; il fratello minore che ti fa perdere il ritmo della sfida – nel romanzo è una sorella, Maria – e che puoi insultare solo tu, guai gli altri. 
Recensione a basso costo: Io non ho paura, di Niccolò Ammaniti E restavo io, Michele, simile a Michele lui: quello curioso, anche a costo di farsi male, come il gatto del detto popolare; quello meno svelto e meno capace degli altri, anche se era abile nel dissimularlo. Il più sveglio. Con una mamma bellissima e che correva – e picchiava: quante punizioni e quante “cucchiarelle” rotte? - forte, un papà carabiniere – dall'altra parte della barricata, dunque, ma spesso assente, in anni di fuoco che lo volevano impegnato altrove – e un fratellino zavorra, portato appresso sotto minaccia: se non porti Diego, tu non esci: capito? Io non ho paura l'ho visto una volta sola, qualche anno dopo, ma lo ricordo molto bene: è uno di quei film che, se sei così fortunato da essere nato nell'anno giusto, da essere giovane ma non troppo – io c'ero negli anni novanta, non negli anni settanta, ma ho visto videoregistratori, musicassette, serate passate a giocare a nascondino o a "un due tre stella" prima che sparissero, come i dinosauri –, un po' ti segnano. Perciò non ho mai sentito il bisogno di leggere il racconto che lo aveva ispirato, prima di quest'anno: quando la bella stagione mi ha fatto scoprire che Niccolò Ammaniti mi piace tantissimo e che, in programma per l'autunno, c'era Anna, il nuovo romanzo. Storia di meridionali e bambini soli al mondo. In attesa di poterlo dire mio – gioia immensa quando l'ho trovato a metà prezzo su Libraccio; santi che volano, invece, se Libraccio, come in questo caso, ti cancella l'ordine – ho portato con me, in un weekend stranamente silenzioso, quel libricino che avevo in casa da dieci anni buoni e che, in copertina, aveva il bollino con il prezzo – appena cinque euro, nell'edizione I Miti Mondadori – e il giallo dei campi. 
Recensione a basso costo: Io non ho paura, di Niccolò Ammaniti Il segno di una estate in mutande e canottiera sottile che vorresti non finisse mai, oppure sì. Il colpo d'occhio, di chi ha talento vero, con cui si coglie un periodo di passaggio mentre sta passando. Quando capisci che l'uomo nero non esiste, ma che i mostri sono reali. Siedono al tavolo della tua cucina. Dormono nel letto che è di tua sorella: ospiti. Imprigionano i bambini come te nei buchi, in attesa del riscatto o del Paradiso. La storia degli innocenti di Acqua Traverse – frazione fantasma con sei case e sei famiglie; acqua che ti va di traverso e ti strozza; questione di Mafia o 'Ndrangheta, non di diavoli, il che è peggio – corre come una bici sgangherata nei mari di spighe; come un brivido che, addosso, ti lascia una sensazione che permane. Ti racconta, per voce di chi la vive, l'amicizia commovente con un mostriciattolo tenuto in cattività che non apre gli occhi, farnetica di orsetti lavatori (ma esistono davvero?) e città del nord (dov'è, il nord?); di una paura – ma Michele non ha paura, quella del titolo è una promessa a sé stesso – che in combutta con le pieghe nere dell'immaginazione trasforma la natura notturna in un inferno dantesco. Soprattutto, della dolcezza con cui una vittima può scambiare uno dei suoi diavoli per l'angelo custode. Allora niente, davanti a due mani tese, sarà più lo stesso. Letto in un pomeriggio, d'un fiato, più che una nuova lettura, Io non ho paura è stato una specie di seconda visione. Un film che avevo già visto, e che ho rivisto – per magia – attraverso le parole vivide di un Niccolò diverso dal solito. Conciso e nostalgico, quando lui invece è prolisso, pulp e fortemente ironico: abituato alla narrazione in terza persona – qui, invece, usa la prima – per porterti dire, dei suoi tanti personaggi, vite e peccati. E io che, da sempre, immaginavo che Ammaniti fosse questo. Io non ho paura, invece, è una parentesi agrodolce che dura un'estate. O forse la meta finale del viaggio? La verità, senza fronzoli, è che Ammaniti ha fede nei bambini, anche se sono condannati a soffrire. Ha fiducia nel domani, anche se pare pioverà. Ma sono i piccoli a insegnare qualcosa ai grandi, nelle sue storie di ordinario orrore: il coraggio, l'amicizia. Il coraggio dell'amicizia. 
E si potra uscire a giocare, anche con il cattivo tempo - e l'orco - fuori.  Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Ezio Bosso – Rumba verso il buco 

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