Io
e te siamo attaccati a un filo. E tutti lo vogliono
spezzare. Ma nessuno ci riuscirà. Io sarò sempre con te e tu sarai
sempre con me. E io aiuterò te e tu aiuterai me. Con il cervelletto
che ti ritrovi non capisci che non bisogna mai mostrare la gola?
Pensa alle tartarughe, alle loro corazze. Pensa che devi essere
così forte che nessuno ti può fare male.
Titolo:
Come Dio comanda
Autore:
Niccolò Ammaniti
Editore:
Piccola Biblioteca Oscar Mondadori
Numero
di pagine: 478
Prezzo:
€ 10,00
Sinossi: Premio Strega 2007. Rino
e Cristiano Zena sono padre e figlio. Rino ha trentasei anni ma ne
dimostra cinquanta, è ostinato, violento e xenofobo, ma adora suo
figlio. Cristiano ha tredici anni, è timido, alto e sottile, e sa
che quel padre ubriacone e "buono a nulla" è la sola
persona su cui può contare. Vivono in una periferia del nord-est,
tra desolazione e centri commerciali. Soli contro il mondo, hanno per
amici due tipi strani, Quattro Formaggi e Danilo. È con questi che
Rino organizza la rapina che dovrà riscattare le loro vite. La notte
del colpo, però, si scatena un furioso temporale, e una ragazzina
bionda apparsa dalle tenebre e dal fango fa deviare i destini di
tutti.
La recensione
La
neve che si farà fango sotto la suola delle scarpe, chilometri e
chilometri di strade deserte e, in lontananza, oltre il cancello di
una fabbrica chiusa per la notte, un cane che non smette un po' di
abbaiare. Presto sarà giorno e forse, domani, che poi è già oggi,
niente scuola, se il gelo dura. Ma Cristiano si alza dal letto e,
mettendo in pratica l'ultima lezione di suo padre, taglia per la
statale vuota – col pigiama a scacchi ormai fradicio – e spara.
Bang: onomatopea di una detonazione secca nel cuore del buio. Il
proiettile fa centro e il cane smette di uggiolare, attaccato alla
sua catena: padre e figlio si sono esercitati a far fuoco alle
lattine di birra, qualche tempo prima, ma la mano non trema e, anche
con un bersaglio vivente, il colpo di Cristiano è perfetto. Ha avuto
un grande maestro. Insegnamenti paterni e eredità familiari. Ci si
applica con solerzia, in casa Zena e dintorni, al culto della
violenza. Così, tra rabbia e stupore, ha inizio Come Dio comanda:
storia di affetto simbiotico e prevaricazione, su uomini senza donne
e rari momenti che ti segnano, nonché secondo romanzo di
Ammaniti che leggo – dopo Io e te, racconto di cento pagine
scarse che aveva lasciato, a sorpresa, più strascichi emotivi del
previsto -; si vocifera, inoltre, sia uno dei migliori della sua carriera di autore amato e a volte
incompreso, puntualmente corteggiato da chi fa il cinema coraggioso.
Acquistato una vita fa a metà prezzo, quando i giorni precedenti al Ferragosto hanno portato il cattivo tempo e la gente qualunque si
crucciava per la minaccia atmosferica incombente e i picnic nei prati
in pericolo mortale (avete visto, poi, quanto brillava alto il sole,
il quindici?), mi sono seduto al coperto – con un orizzonte di nubi
temporalesche e catasfrofi dalla mia parte – e ho iniziato il
romanzo che, sulla copertina originale, aveva cieli a lutto, fulmini
e saette. La mia edizione, l'ennesima ristampa, era di un angoscioso
giallo evidenziatore e aveva denti digrignati, gente con la rabbia,
inquietanti disegni tribali. Tutto comunque a tema; soprattutto i
tuoni grevi che, ora lontano, ora vicino, facevano da accompagnamento
musicale live. E la pioggia non è voluta cadere, per me che
sono amico stretto dell'inverno, ma illusioni di acquazzoni furibondi
e falsi allarmi sono risultati abbastanza. Nella bella stagione, mi
sono trovato una brutta parentesi – o forse quella perfetta? - per
dedicarmi a una lettura forte e crudele che ha richiesto la presenza
di un cielo che spirasse contro e l'aiuto di litri di sangue freddo.
E io, a dirla tutta, lo sapevo sotto sotto che questo Ammaniti –
scoperto una volta e mai approfondito, conosciuto più come
sceneggiatore che per altro – fosse nelle mie corde scordate, coi
suoi suoni stridenti, lo stile scarno, le immagini forti; inutile
spiegarsi, però, i misteriosi perché dei miei continui rimandi.
Questione di momenti propizi e provvidenza divina. Una periferia desolante spazzata dalla
burrasca, il pensiero di un tesoro in un Bancomat al di là
dell'arcobaleno, Cappuccetto Rosso in Vespa che s'incamminano nel
folto del bosco, notte di balordi – e lupi famelici. Quando Noè
costruisce la sua arca, durante il Diluvio Universale, lasciando
fuori cinque disgraziati: un padre naziskin e quel figlio verso cui
nutre tutto l'amore del mondo; lo scemo del villaggio, che tiene su
il presepe anche ad agosto e ha il nome del gusto di pizza che più
preferisce; un divorziato che, con il colpo del secolo nella tempesta
del secolo, spera di riconquistare la fiducia della sua famiglia; un
assistente sociale traditore, beccato a letto – dalla folgore –
con la moglie del migliore amico. L'acqua cheta roderà i ponti e
ognuno di loro, dopo un crimine che li renderà protagonisti di una
storia crudele, dovrà fare i conti con il proprio passato; quanto
costa caro il perdono? E la felicità, che appare impossibile? Nel trasformarsi
in film – frutto dell'ennesima collaborazione tra Ammaniti e
Salvatores, coppia collaudata quasi quanto quella dei coniugi felici
Castellitto e Mazzantini -, Come Dio comanda perde
parte della sua folgorante dimensione corale – tra tagli, ellissi e
personaggi, come quel Danilo la cui vita è una strada senza uscita,
che mancano proprio – ma finisce per essere uno dei più originali
e interessanti esempi di cinema italiano degli ultimi anni.
Le pagine
più surreali e oscure, infatti, coi dialoghi esigui, il buio
impenetrabile e innocue canzoni d'amore che diventano un viscido
leitmotiv, grazie a una fotografia pesta e a un ottimo montaggio
sonoro, vanno a costruire una parte centrale dettagliata e calzante,
saltata direttamente fuori dai passaggi più crudi del romanzo per
azzannarti al collo. Mostrando un Salvatores mai uguale a
sé stesso, a proprio agio coi toni horror così come con i tentativi
primigeni di cinecomic all'italiana, e direttore di un cast tra cui
figurano un paio di grandi nomi del nostro sottovalutato cinema.
Ridimensionare la portata del racconto, rinunciare a qualche
comprimario per questione di spazio, non appare una scelta poi troppo
imprudente, se hai a disposizione due che – per selezione naturale
– sono destinati a essere sempre protagonisti. Filippo Timi,
massiccio e con la voce altisonante, capace di percosse e tenerezza,
ha un personaggio tutto contraddizioni – e forti emozioni - che
sembra scritto pensando a Taxi Driver.
Elio Germano, con il ruolo di Quattro Formaggi, dinoccolato e
imprevedibile clochard che gli permette di essere più sopra le righe
del normale, esagera con tic e balbuzie con la tipica naturalezza di
cui ormai lo sappiamo capace. Con loro, un Fabio De Luigi dal ruolo
fortemente ridimensionato – e forse per fortuna, perché il comico
nostrano e il drammatico non sembrano in particolare intimità – e
l'esordiente Alvaro Caleca, bambino che sa reggere, spesso tutto
solo, la scena. Una storia di figli di un Dio minore – abbandonati,
diseredati, miserabili – diventa, per esigenze di copione, un caso
di cronaca nera e un'agrodolce vicenda domestica, in cui manca
qualcosa – soprattutto qualcuno – ma non un lato tecnico
all'avanguardia e interpretazioni credibili; non lo spirito indocile
del fulmine. Ammaniti alla sceneggiatura, per forze di cose, rinuncia
al dono dell'onniscienza: come il Padre eterno o gli angeli custodi,
lui sa. Ti ha creato. Ti sta fisso alle costole. Sfiora le sue
creature – anche quelle di passaggio, semplici comparse nel mucchio
– e ne fa una scansione del profondo. Così, in cinquecento pagine
pulp e scattanti, di quelle che se fossi in pubblico avresti bisogno
di tornare a casa - sennò mi metto a piangere, dici; sennò vomito
-, pioggia d'antico testamento, piaghe bibliche, tunnel senza luce e
pozzi senza fondo. Mentre nel mondo, contorta foresta di simboli, ci
si interroga sul senso di Dio – è Lui che ci ordina di tentare
ancora, di essere migliori, di tornare a respire, di smettere di
farlo? – e ci si prepara a cuore aperto agli squilli di tromba
conclusivi, per essere giudicati innocenti o colpevoli un'ultima
volta.
Pronti alla giustizia cieca dei giudizi universali.
Come
Dio comanda,
terroso noir sullo sfondo delle industrie pesanti del nord est, col
cuore caldo e le mani fredde, con una mole che pesa e una scrittura
che si beve, è l'esperienza più intensa e difficile di
quest'estate. Potente, tanto da meritarsi un bolletino meteo avverso
tutto per sé.
Il
mio voto: ★★★★½ Il
film: 7+
Il
mio consiglio musicale: R.E.M - Losing My Religion