Recensione | Castle 8×13 “And Justice For All”

Pelati bentornati al nostro appuntamento settimanale con Castle. Dopo quel gioiellino che è stata la scorsa puntata questa settimana siamo tornati ai livelli standard della serie con uno dei classici casi alla Castle. Sinceramente l’episodio non mi è piaciuto molto. Ho trovato il caso davvero troppo noioso. Inoltre il tutto è risultato un pochino assurdo. Siamo passati in  40 minuti da una classe d’inglese per immigrati al cartello della droga con l’aggiunta di un giudice corrotto e di un’indagine dell’FBI. Mi sembra troppa. Questa è un po’ una caratteristica delle serie, infatti molto spesso si parte da un anonimo caso di omicidio e si arriva a crimini internazionali, però, dopo tutti questi anni, le dinamiche iniziano a diventare ripetitive. Mi rendo conto che non si possa cambiare stile così all’improvviso però qualcosa la si dovrà pur fare. Spero vivamente che non abbiano intenzione di arrivare a fine stagione solo con episodi filler come questo altrimenti sarà davvero uno strazio seguire la serie. Non so esattamente cosa sia mancato in questo episodio. Forse i colpi di scena o forse una trama accattivante, forse entrambe.

Metteteci poi che il caro Vikram è tornato a farsi vivo e che adesso fa anche lo spiritoso cercando di farsi dire di essere il più bravo e capirete perché questo non è stato esattamente il mio episodio preferito. Un ringraziamento particolare va ad Esposito per aver detto al posto mio quello che stavo pensando Javi sei stato il mio idolo per questa settimana. Tra l’altro io continuo a non capire perchè Vikram venga costantemente coinvolto nelle indagini del dodicesimo distretto. Non è lì per capire cosa sia successo agli ex colleghi di Kate a Washington? Ecco, allora lasciatelo lavorare su quello così magari se ne va in tempi brevi.
Ovviamente non tutta la puntata è da buttare e ci sono stati anche alcuni aspetti che mi sono piaciuti. Primo fra tutti c’è il tema dell’immigrazione che ha fatto da sfondo un po’ a tutto l’episodio.  Castle ha sempre avuto la capacità di trattare temi così importanti con una
certa leggerezza senza però risultare superficiale. Basta una frase, come quella di Rick “io ho un’anima”, a fare arrivare lo spettatore al cuore del problema. Nessuno dei personaggi si perde in riflessioni filosofiche, tutto viene lasciato allo spettatore grazie a dei piccoli agganci. Ho trovato molto bella anche la scena finale che incarna un po’ lo spirito americano del Thanksgiving. Come dice Martha, gli Stati Uniti sono stati fondati dall’unione di diverse culture e questo è la dimostrazione che l’immigrazione, se gestita in un certo modo, può essere una risorsa e non un danno.

Un altro aspetto interessante della puntata è sicuramente quello dei flashback legati al rapimento di Castle. Ma ricordo male io oppure gli erano stati cancellati tutti i ricordi? Invece a quanto pare basta una forchettata di “spaghetti” per far tornare a galla tutto. C’è qualcosa che non quadra. Ormai si è capito che la sparizione di Rick è il filo conduttore di questa stagione e mi sto convincendo sempre di più che sia collegata in qualche modo anche al caso in cui sono coinvolti Beckett e Vikram. Gli autori non sono sicuri del rinnovo quindi hanno dichiarato più volte di aver scritto un season finale che potrebbe anche essere un series finale, come quello della scorsa stagione. Considerando questo e anche il fatto che siano due storyline abbastanza importanti, mi viene difficile pensare che siano completamente scollegate. Inoltre sappiamo bene che i risvolti dei casi di questo show sono potenzialmente infiniti. Si sa da dove si parte ma non si sa mai dove si arriva.

L’aspetto che più ho apprezzato dell’episodio è sicuramente come è stato trattato il rapporto fra Rick e Kate. Ormai ci eravamo abituati ad avere la scena a fine puntata, invece questa volta i Caskett sono stati presenti in tutto l’episodio in modo più o meno accentuato. Rick che dice a Kate che non può scrivere senza di lei perché lei è la sua musa è di una dolcezza allucinante. Mentre parlavano di Sherlock e Watson me li sono immaginati vicini vicini seduti sul divano a guardare Sherlock e shippare Johnlock. Quanto sarebbero belli?
Ma non è solo Rick ad aver bisogno di Kate, anche lei vuole averlo intorno e alla fine trova il modo di coinvolgerlo nel caso facendogli fare l’infiltrato. Beckett non è una donna che si perde in chiacchiere, lei preferisce i fatti e far entrare Castle nelle indagini è il suo modo di stargli vicino. Nel caso ce ne sia ancora bisogno, in questa puntata abbiamo avuto l’ennesima riprova che Kate e Rick si compensano a vicenda. Sono complementari. Castle è l’impulsività mentre Beckett è la razionalità; lui partirebbe seduta stante per la Corea ma fortunatamente lei gli fa capire che forse non è il caso. Sono piccoli dettagli eppure sottolineano come siano davvero perfetti insieme. Ma non è solo perché lei è la sua parte razionale, è perché lui l’ascolta, le dà retta e le permette di fargli cambiare idea. Intanto io non vedo l’ora di vedere i Caskett a Los Angeles, altra città importantissima per il loro rapporto (l’episodio 3×22 vi dice niente?), e scoprire qualcosa di più sulla scomparsa di Rick che ancora mi intriga e mi fa venir voglia di continuare a guardare la serie.

Voto 6.5/10

Promo del prossimo episodio

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