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Recensione del Boia Scarlatto a cura di Edoardo Rosati

Da Alessandro Manzetti @amanzetti
  Recensione del Boia Scarlatto a cura di Edoardo Rosati     In questo blog non poteva certo mancare un articolo dedicato al "Il Boia Scarlatto", il film di Massimo Pupillo del 1965 che ha (evidentemente) ispirato il nome del blog. Come avete visto nei precedenti post, spesso e volentieri mi piace cedere il timone a vari autori e amici, che conoscono meglio di me alcune mappe, alcuni tratti infidi dell'oceano oscuro. Per questa occasione speciale è salito sul ponte di comando Edoardo Rosati, scrittore e giornalista, per raccontarci questo film, che definisce: "una perla scult, bizzarra e fumettosa, che ha saputo contagiare a modo suo l’inventiva altrui e l’immaginario dei cultori del Cinema Bis." Ma come sempre l'amico Edoardo sa scavare a fondo nelle cose, con grande capacità di prospettiva e ampiezza culturale, per cui non mancano interessanti e documentate intepretazioni di questo bizzarro film come preconizzatore di alcune tendenze editoriali,  o come slasher primigenio per ciò che riguarda la cinematografia di genere. Edoardo ci offre anche uno scorcio in "bianco e nero" dell'atmosfera dell'epoca, di un nuovo immaginario che stava iniziando a dipanarsi attraverso fumetti neri come Diabolik, Kriminal e tanti altri cattivi con la K. Tutto questo rende assai affascinante seguire Edoardo Rosati nella sua esplorazione del Boia Scarlatto.
  Recensione del Boia Scarlatto a cura di Edoardo Rosati     Recensione di Edoardo Rosati  Il Boia Scarlatto di Massimo Pupillo (1965)   Il Boia Scarlatto… E qui ci vorrebbe l’interrogativo sollevato da Don Abbondio (a proposito di Carneade): «Chi era costui?». Innanzitutto, una pellicola firmata da Massimo Pupillo nel 1965 (anno magico per questo regista pugliese, che in quel periodo sfornò altre due opere: il gotico 5 tombe per un medium e il cupissimo La vendetta di Lady Morgan). Ma è anche, e qui sta il punto, una scheggia pulp dell’immaginario italico. Assolutamente weird. Un capitolo del cinema “strano” made in Italy che ha saputo rivelarsi follemente seminale.   L’incipit è fondamentalmente un classico: gli ambienti di un fascinoso castello vengono “colonizzati” da una troupe di modelle e fotografi in cerca di sfondi ideali per le cover di una pubblicazione. Ma una presenza psicopatica aleggia nel maniero: lo “spirito” del Boia Scarlatto, pazzo giustiziere dei secoli passati, dispensatore di catartiche torture all’inseguimento dell’impossibile sogno della purezza umana. Una memoria che ancora impregna quegli antichi muri e che finisce per accasarsi nella mente disturbata del padrone del castello, Travis Anderson, attore ritiratosi dalle scene. Il quale, sulla fauna seminuda che si ritrova sotto mano, comincia a esercitare la sua violenta schizofrenia. Questa specie di culturista sadico (a proposito: il film ha conosciuto una seconda edizione per le sale nel 1972, intitolata Io... il marchese de Sade ne Il Boia Scarlatto) pare spuntato direttamente dalle pagine dei fumetti nerissimi che invasero le edicole a quell’epoca. Già: il 1° novembre del 1962 nasceva Diabolik, creato dalle mitiche sorelle Angela e Luciana Giussani, inaugurando la grande stagione dei Kattivi-con-la-Kappa, perché a partire dal 1964 gli edicolanti si videro assediati da un plotone di fumetti “brutti & sporchi”: Kriminal, Satanik, Sadik, Zakimort, Cobrak, Demoniak…     Recensione del Boia Scarlatto a cura di Edoardo Rosati     Ma differentemente da questa genia cartacea di criminali, il cinematografico Boia Scarlatto è un personaggio assolutamente baciato dalla più gratuita follia, privo di un benché minimo côté caratteriale. Lui è soltanto un pensiero (e un corpo, soprattutto) delirante. Un puro pretesto per attivare una giostra di sevizie che ovviamente oggi sollecitano il sorriso, ma che, a ben guardare con l’occhio del cinefilo, anticipano di quarant’anni il torture porn dell’Enigmista, il demiurgo di Saw: le lame che tagliuzzano i seni della conturbante Femi Benussi (qui al suo cine-esordio), il baldacchino col tetto armato di aculei che cala cigolando sulla vittima annodata al letto, il cavallo-braciere con la martire incatenata prona… E sempre in quest’ottica anticipatoria, il film di Max Hunter (lo pseudonimo di Pupillo) potrebbe pure fregiarsi di un ulteriore merito: quello d’aver messo in scena uno slasher primigenio. In effetti, gli elementi sui quali si fonda la definizione di questo filone filmico ci son tutti: il maniaco (con tanto di maschera) che sferra una caccia serrata a un gruppetto di individui (in genere giovani e non sempre di specchiata moralità) in una location circoscritta. Fate i vostri conti (anzi, i vostri… body-counts), e vedrete che tornano alla grande.     Recensione del Boia Scarlatto a cura di Edoardo Rosati     Trailer - in inglese     Preconizzatore, il film di Pupillo, è anche in senso editoriale: il Boia Scarlatto (incarnato dagli ipertrofici muscoli di Mickey Hargitay, che, splendidamente monolitico e inespressivo, si sbraccia sparando sentenze superomistiche) avrebbe pure ispirato il fenomeno Killing. L’anno è il 1966: il 15 marzo le edicole nostrane ospitano il primo numero (titolo: Piombo rovente) del fotoromanzo più vietato, purgato e censurato dello Stivale (ma anche esportatissimo in Europa e in Sud-America). Pubblicato dalla Ponzoni Editore di Milano, Killing esibiva vignette e didascalie con attori impegnati in plot sex&violence, dove un Re del Crimine in calzamaglia (interpretato da Aldo Agliata) spesso e (assai) volentieri sfogava la sua natura pervertita sulle membra poco vestite di formose fanciulle. La prima cover di queste “fotostorie del brivido per adulti” è un manifesto programmatico: Killing, nella sua tuta scheletrica, è immortalato mentre, in piedi, si accanisce con una frusta su una procace vittima in ginocchio e lingerie… Più o meno la stessa idea che frullava nella testa del fittizio editore Daniel Parks (l’attore Alfredo Rizzo), quando, per realizzare le sue copertine, s’intrufola appunto nel castello del Boia, con troupe al seguito e quel nugolo di discinte ragazze arruolate per gli scatti fotografici.     Recensione del Boia Scarlatto a cura di Edoardo Rosati     Film integrale- in inglese     Insomma, Il Boia Scarlatto è per certi versi un’operazione virale: in quel mixare dialoghi e ingredienti semplicistici (merita la standing ovation l’aracnide meccanico con zampetta avvelenata che minaccia una poverina incollata a una megaragnatela sintetica, ma anche la musica da night-club del compositore Gino Peguri, che, con tutte quelle succulente curve femminili a zonzo, giustamente scimmiotta le note d’accompagnamento degli spettacoli di spogliarello), Pupillo se ne infischia fieramente della Congruenza e ci consegna una perla scult, bizzarra e fumettosa, che ha saputo contagiare a modo suo l’inventiva altrui e l’immaginario dei cultori del Cinema Bis. Ma guarda un po’: Bis… Bi Esse. Proprio come Boia Scarlatto.       Recensione del Boia Scarlatto a cura di Edoardo Rosati     Profilo dell'autore Edoardo Rosati (Pescara, 1959), laureato in medicina, giornalista specializzato nella comunicazione medico-scientifica, autore di diversi saggi per Rizzoli, Sonzogno e Sperling & Kupfer è autore di narrativa medical thriller, con racconti pubblicati nelle antologie Le tre bocche del drago (Larcher Editore), Anime Nere (Oscar Mondadori), Bad Prisma (Mondadori Epix). Ha firmato i romanzi La croce sulle labbra con Danilo Arona (Segretissimo Mondadori) e L’ultima vertigine (Giallo Mondadori). Scrive articoli di fumetti e cinema fantastico, e nel 1996 è stato uno dei fondatori della casa editrice PuntoZero.      

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