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Recensione del film L’ULTIMO LUPO di Jean-Jacques Annaud

Creato il 28 marzo 2015 da Masedomani @ma_se_domani

ultimo-lupo_Poster courtesy of Notorious Pictures

Chen Zhen è uno studente di Pechino che un giorno viene inviato a insegnare ai bambini di una comunità nomade dalle antiche tradizioni, che vive isolata sulle remote e incontaminate montagne della Mongolia. Il giovane ben presto scoprirà che avrà da imparare molto di più di quanto potrà mai insegnare ai suoi “scolari”.

A stretto contatto con la natura, in balia del clima, in una terra popolata dai lupi, il ragazzo ri-educa gli istinti e ri-impara ad osservare, ad amare e rispettare ciò che lo circonda. Da subito rimane particolarmente affascinato dal legame, dalla concezione, dalle attenzioni che quelle persone hanno nei confronti dei pericolosi, pazienti e intelligenti predatori, tanto fondamentali per l’ecosistema.

Photo: courtesy of Notorious Pictures

Photo: courtesy of Notorious Pictures

Il delicato e ancestrale equilibrio è bruscamente interrotto il giorno in cui alcuni soldati ricevono l’ordine di uccidere tutti i lupi. Chen Zhen, sconvolto dalla notizia, decide di sottrarre un cucciolo al suo crudele destino e di allevarlo segretamente con gli altri animali. Da questo momento inizia un’epopea, quasi surreale, una corsa contro il tempo con un panorama senza eguali sullo sfondo. Montagne che cambiano colore, laghi ghiacciati, prati in fiore, uomini, lupi e animali domestici in un’armonia destinata, purtroppo, a non durare a lungo.

Il nuovo film di Jean-Jacques Annaud è tratto da “Il Totem del Lupo” di Jiang Rong, best seller inatteso, nato come fenomeno letterario virale, dopo essere scampato alla censura. E a dieci anni di distanza da quell’episodio sono gli stessi cinesi ad andare a Parigi per chiedere al regista di portare su grande schermo un racconto in grado di restituire la giusta immagine e dignità a quelle popolazioni, a quei luoghi, a quella storia. Dall’incontro è nata un’opera con inquadrature mozzafiato, colori formidabili, un meraviglioso inchino alla bellezza, alla natura, alla saggezza popolare.

Photo: courtesy of Notorious Pictures

Photo: courtesy of Notorious Pictures

Imparando da routine secolari e dagli abili lupi, ascoltando aneddoti di tradizioni in via di estinzione, ci accorgiamo di quanto rapidamente il fastidio assalga tutti in sala: l’essere umano pseudo-evoluto, di città, fa la figura dell’idiota, senza possibilità di salvezza. Convinto che l’avidità giustifichi ogni decisione, noncurante delle conseguenze delle proprie azioni (intanto ricadranno su altri e soprattutto sui posteri), e sicuro che il fucile risolva ogni problema (fregandosene una volt sin più delle conseguenze), alla fine la morale è solo una, ossia che l’uomo davanti ai soldi non capisce più nulla, diventa stupido e si lascia sedurre dal loro profumo.

Con uno stile sobrio, lontano dal voler demonizzare o polemizzare, senza offensivi e imbarazzanti spiegoni, prediligendo scene dotate di forza propria, con delicatezza e intelligenza, Annaud ci ricorda che stiamo perdendo molte, troppe, abitudini tra cui il saper osservare e rispettare l’altro da sé. E per questo forte messaggio, a mezzo di inquadrature di estrema bellezza, mi piacerebbe che il film arrivasse nelle scuole. Se ciò accadesse, riuscirei – tra l’altro – a dare maggior significato a quelle battute finali, sovrabbondanti ai nostri occhi adulti, ma perfette alla presenza di piccoli spettatori.

Vissia Menza


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