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Recensione di Franca Alaimo a Ninnj Di Stefano Busà

Da Lindapinta

“Ogni cosa è inizio alla sua fine”: il messaggio di Ninnj Di Stefano Busà
nella sua raccolta: IL SOGNO E LA SUA INFINITEZZA.
La poesia di quest’ultima raccolta di Ninnj Di Stefano Busà si origina dallo stato d’animo proprio di chi ha attraversato un considerevole tragitto di vita e, attingendo alla memoria, guarda il presente disseminato di residui e sogni attraverso di essa, consapevole che i lembi della faglia ( termine spia di questa raccolta), restano separati da una profonda ferita in cui tutto è caduto e cadrà. Niente esce illeso, infatti, scrive la poetessa, mentre dispone nei versi le parole e le immagini che raccontano tutto ciò che resta per un attimo nella luce e nell’attesa per poi precipitare nel vuoto: i germogli che non si aprono, la schiarita seguita dallo schianto, gli uccelli migratori che la morte “attende al varco della rupe”.
I pochi ricordi del passato, trascinati nell’opacità del presente, addensandosi ormai privi di bagliori, non costituiscono fonte di consolazione, poiché vivere è come offrirsi “alla dimenticanza”, e, fra le molte strade tentate, la verità è rimasta un “sentiero inesplorato: l’unica legge che l’autrice abbia imparato è che la vita cammina sempre sulle orme della morte, che la luce porta sempre con sé “il debito dell’usura”
E però questo pensiero non spegne nell’autrice la volontà di un dialogo, seppure senza risposta, con la terra, le sue creature, se stessa, l’altro e, soprattutto, la poesia, dolcezza che “inonda” una solitudine “liscia come gli anni senza vento e bocci”: ne nasce, allora, “un piccolo legame amoroso”, di residua dolcezza, che accompagna i passi fino “al colpo finale”.
Tanto scetticismo non rende, però, opaco il linguaggio in cui la luce lascia le sue tracce labili ma sontuose, e che sembra avere la stessa qualità emblematica del mare: una vastità , un infinito, inadatti alla comprensione e alla definizione, ma anche una distesa di cobalto che affascina la vista. La fioritura delle immagini, spesso accostate con un procedimento d’accumulo, secondo salti analogici, dimostra, infatti, che la lingua poetica può registrare e nominare ma non comprendere il mistero del mondo e, dunque, anche di se stessa. E, tuttavia, proprio la poesia, pur non sapendo nulla, in quanto, però, costituisce l’unica forma d’espressione che possa opporsi “al turbinio dei giorni, / al turbamento delle minime cose, alle assenze”, riesce in qualche modo, vegliando sulla crepa della faglia, a salvare la vita, a darle significanza. In questo modo essa viene restituita, come scrive Walter Mauro, “alla sua più vera, autentica e alta connotazione.”
Franca Alaimo
(Marzo 2012)


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