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Recensione di Pantera di Stefano Benni

Creato il 06 giugno 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

13 Flares 13 Flares × Recensione di Pantera di Stefano BenniPanteraStefano Benni
Pubblicato daFeltrinelli
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Collana:I narratori
Genere:Narrativa Contemporanea
Pagine:
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La trama:
Il minimo comune denominatore di questi racconti è la sfida di due donne di età diversa che non hanno più niente da perdere.
Il primo è quello di Pantera che, sensuale ed enigmatica, entrerà in un mondo prettamente maschile, senza bussare alla porta ma quasi di prepotenza, portando con sé un’astuta freddezza e una passione sfrenata per i tappeti verdi dei biliardi, i quali non udiranno solo il rotolare delle biglie e lo schiocco delle stecche, ma assisteranno all’inizio di sogni, di speranze e, perché no, forse anche di un amore.
Con il secondo racconto, si entra in un mondo fantastico, fatto di boe, reti da pesca e pescatori. La protagonista, Aixi ha come mamma l’acqua del mare e come amici i pesci con i quali dialoga costantemente La sfida sarà quella di ripotare il suo babbo ormai troppo malato alla gioia della vita che lui le ha insegnato . Ci riuscirà?

Cari lettori, in questo racconto vi prenderò per mano insieme a Perdigiorno per portarvi in un mondo buio e silenzioso, nel quale sarete voi a decidere come muovervi . La voce narrante è quella di un ragazzo di soli 15 anni, Perdigiorno appunto (dato che di lui non conosciamo il nome) che sopraffatto da un’esistenza grigia, ritrova il colore scendendo le tre rampe di scale che conducono in un mondo dimenticato ai più. Un’immersione in una sorta di “grotta fatata”, che lo avvicinerà ad un’umanità, seppur malinconica e disillusa, fatta di strani ed enigmatici personaggi e che gli farà capire che anche in una tomba può esserci la vita!

Il coraggio di cambiare, innaffiato dall’abitudine a stare soli sono, assieme alla sfida e alla passione, gli ingredienti principali di questo “vasto sotterraneo” descritto minuziosamente dalla attenta penna di Stefano Benni. Per Perdigiorno è un gioco da ragazzi intrufolarsi e lavorare come garcon tuttofare, grazie al suo amico Delon, nella sala biliardi più grande della città conosciuta come “L’Accademia dei Tre Principi”. Qui sotto si sente protetto e non a caso la definisce un luogo magico, come magici sono i quarantatré biliardi che lui chiama “laghi di smeraldo”. Quaranta biliardi in file da dieci e tre appartati e speciali. Quelli a fondo sala sono i “Principi” e soltanto i veri giocatori, quelli con la G maiuscola, possono giocarci, quasi sempre con la stecca. In questa vita sotterranea, nessuno cerca la ragione ma solo la sorte. Il buio abbraccia tutto e l’unica luce è data da fredde lampade al neon, avvolte da dense nuvole di fumo che, volteggiando, si arrampicano fino a un soffitto sanguigno. A Perdigiorno e Delon – come garcons tuttofare – tocca il compito di spogliare e rivestire i biliardi e di raccogliere le scommesse. Sussurro (così soprannominato in seguito ad un intervento non riuscito alla laringe) è il Boss del locale ed interviene se qualcuno non paga. All’Accademia dei Tre Principi entrano curiosi, scommettitori, chi non ha un altro posto dove andare e naturalmente i giocatori che cercano nella buona sorte un motivo di riscatto alla loro vita. Chi decide se puoi giocare su un Principe è un vecchio cieco soprannominato Borges. Tutti i giocatori hanno dei soprannomi. Tamarindo, sempre vestito di viola; la Mummia, gobbo con un cappottino e la faccia gialla; i fratelli Bandiera, due grossi macellai; Elvis, il ballerino di Rock & Roll; Tremal Naik, che gioca sempre con il cappello in testa per coprire una vistosa cicatrice e molti altri ancora. Un mondo prettamente maschile nel quale manca una donna, meglio ancora se una dea scesa agli inferi, capace un giorno di riaccendere tutto ciò che con il tempo si era spento! E quel giorno arriva, come per incanto. Pantera varca la soglia del locale, incantando e confondendo le carte anche dei giocatori più incalliti. Gli occhi sono tutti puntati su di lei. Si muove pallida contorcendo il suo agile corpo come un’abile trapezista. Il colore nero la veste da capo a piedi con la sola eccezione per la bocca: rossa, sensuale, e irraggiungibile. Non ha più di trenta anni. Pantera vince sempre, trascinando tutte le sue partite in una rispettosa sfida. E’ come se “il dio del biliardi” l’avesse eletta a sua amante. A Borges era bastato stringerle la mano per capire quanto fosse forte la sua determinazione e per convincerlo a farle sfidare il primo dei giocatori, dallo strano soprannome di Tarzan, il quale capì quasi subito di essere perduto. Ormai era diventata la Dea, perché vinse quaranta sfide di fila, senza mai una sconfitta. Si muoveva lenta, tranquilla ma micidiale intorno al biliardo. Sceglieva accuratamente i colpi e le angolazioni senza muovere un muscolo del viso, in assoluta concentrazione. Era inesorabile. Pantera era una leggenda. Le sue sfide erano come un duello con il fioretto nel quale per vincere non serve affondare l’arma ma solo sfiorare il cuore dell’avversario.

Quando giunse la notizia che Pantera aveva battuto uno dei più grandi campioni de “I Tre Principi” i giocatori arrivarono anche da altre sale per sfidala. Così anche Chiquita, detta la Strega, e Pantera riuscì a battere anche lei. Prima di andarsene Chiquita la ammonì dicendole: “Prima o poi arriva l’ultima partita” e non era in tono di minaccia.

Cari lettori, io a breve lascerò questo sotterraneo per rientrare nel mondo soprastante e da adesso in poi sarete voi gli spettatori attenti di questa vicenda della quale non voglio svelarvi di più. Ma prima di risalire vi devo dire che un giorno arrivò Jones l’Inglese. Anche lui era una leggenda. Aveva soltanto trentacinque anni ed era considerato il miglior giocatore del secolo. La fama di Pantera lo aveva portato fino a là. Le lanciò la sfida con un biglietto “Gentile Signorina, chiedo l’onore di una partita con lei per le ventidue di questa sera. Propongo tre partite. Per la posta, desidererei trovare un accordo a voce. Con la massima stima D. Jones.”. Pantera quella sera entrò puntuale, l’Inglese le strinse la mano e si sedettero vicini per stabilire la posta delle partite. Si guardarono e parlarono per un quarto d’ora con una bottiglia di champagne. Nessuno seppe mai cosa si dissero in quel breve tempo. Perdigiorno sognò per mille notti ogni parola e ogni frase di quella che avrebbe potuto essere la misteriosa conversazione perduta. Poi Pantera si alzò e disse in un perfetto inglese “Is now playing” e la sfida iniziò. E ora cari lettori, mentre io risalgo le scale, mettetevi seduti comodamente così potrete assistere alla sfida più importante di tutta questa storia. Quella con la vita.

Aixi

“All’alba il sole esce dal mare, cammina sulla spiaggia e poi infila uno sguardo dorato e indiscreto nella capanna di Aixi”. Così ha inizio il secondo racconto del libro.

Maria Alina detta Aixi, èuna ragazzina di appena dodici anni, magra come un’alice e rossa come una volpe, e la sua sfida si chiama sopravvivenza e protezione.

Nicoletta Panciera

La sua famiglia e il suo mondo sono il babbo, i pesci come l’astice con gli occhi a funghetto che la capisce al volo senza chiederle nulla in cambio e il mare al quale confida i suoi segreti. Un mare che, con l’acqua delle onde che si infrangono sulla spiaggia, le ricorda la sua mamma con la quale, quando ancora era felice, preparava ogni giorno centinaia di ami da pesca, ma che aveva scelto di andarsene quando “Babbonino” si era ammalato. La sua casa è una baracca infilata insieme a tante altre in un lungomare deserto. Il suo mondo non è fatto di luci artificiali, di trucchi e telefonini – come quello della sua amica Aida – ma di sole, quello che brucia la pelle, e di mare che può esserti amico e nemico allo stesso tempo, nel quale immergersi quando il dolore per ciò che si è obbligati a vedere o a sentire diventa davvero troppo forte. Come quello che prova per il suo Babbo – un tempo il miglior pescatore, ma che ora si sta lentamente consumando come un fuoco che non arde più. Proprio alla piccola Aixi tocca quindi il compito di diventare un’abile trapezista, per curare e proteggere quel padre così malato e contemporaneamente difendersi dalle persone senza cadere nella rete di chi non vede e di chi non sente la sofferenza degli altri. La sua sfida è come una danza che, volteggio dopo volteggio, l’allontana sempre più dalle persone che la deludono. E la piccola Aixi capirà troppo presto che a volte proprio i familiari possono deludere più di chiunque altro. Come sua zia Ornella e il suo patetico amico, avidi e gretti. Le medicine per curare il babbo e i soldi per comperarle scarseggiano e l’unica possibilità sarebbe vendere il tesoro nascosto in una botola, fatta ad arte nel pavimento di legno dal papà quando ancora lei non era nata. Un ramo di corallo di almeno un chilo e mezzo avuto come pagamento da Geppo, il pescatore, quando il babbo gli fece da marinaio per una stagione. Sono trascorsi vent’anni e il corallo non ha perso niente della sua bellezza. E’ il loro tesoro, e nessuno sa dove è nascosto, soprattutto sua zia e il suo compagno Mandrago, interessati soltanto al dio denaro e non alla salute del padre. Venderlo però significherebbe arrendersi, gettare la spugna di una sfida che invece Aixi vuole vincere con le sue fragili forze.

È per questo che chiede in prestito a Geppo la piccola barca Fiamma. “ Cosa vuoi farci?” le chiede Geppo il corallaro. “Voglio pescare” risponde sicura Aixi. “Tu, sola, di notte in una barca con il motore che ogni tanto si spegne…?!” “Ma io, Geppo, so remare! Parto domattina e resto qui vicino, al massimo a duecento metri dalla riva, prendo solo qualche pesce da zuppa per il babbo” “Va bene” disse Geppo, scuro in volto. Invece alle tre e mezza di notte, mentre Babbo russa come un mare in burrasca, Aixi già scivola con Fiamma sulle onde ben oltre i duecento metri concordati. “Perdonami Geppo, ma so dove devo andare”. La maglietta si è bagnata. Ha freddo. Alle cinque arriva a destinazione. La rete è pronta, distesa per un chilometro, e gli ami con le esche sistemati. “Forza pesci, non siate troppo furbi, adesso tocca a voi!” Il tempo trascorre veloce, ora il sole brucia e la rete, divenuta ormai troppo pesante, fa ondeggiare pericolosamente la barca. Il motore si spegne. Aixi suda, vorrebbe urlare, ma resiste e tira con tutte le sue forze mettendo a repentaglio il suo debole cuore. Con un ultimo enorme sforzo riesce ad issare un dentice rosa di ben otto chili. Lei così piccina e fragile diventa la beniamina di quel borgo di pescatori. La sfida è vinta, ma la vita non da tregua. E quando Babbonino peggiora Aixi, immergendosi nel suo amico mare, cercherà quel rifugio e quella serenità che in terra non riesce più a trovare. Ma il mare può anche essere un nemico e fuggire da un mondo cattivo non sempre ti porta nel posto che avresti voluto. Riuscirà Aixi a vincere anche quest’altra e più importante sfida?



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