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Recensione Film Una piccola impresa meridionale

Creato il 22 ottobre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

22 ottobre 2013 • Recensioni Film, Vetrina Cinema •

il commento di Claudia Catalli

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Recensione Film Una piccola impresa meridionale

Un faro. Un prete spretato, un marito abbandonato e un’ex prostituta. I sogni traditi, l’incrocio dei destini, la voglia di ricominciare, a partire da una sana riverniciatura. Piccole grandi rivoluzioni personali: parte da qui, da dove ci aveva lasciato con Basilicata Coast to Coast, Rocco Papaleo. Una piccola impresa meridionale segna la sua seconda prova di regia, e insieme già uno stile maturo, personale, inconfondibile.

Se allora raccontava un viaggio on the road di anime decise a ritrovarsi macinando chilometri su chilometri, stavolta sceglie di concentrare tutti i personaggi in un solo punto (alla Tutti in un punto di Calvino), il faro appunto. Metafora di illuminazione, crocevia di esperienze e confronti, confessioni e dubbi condivisi. Il viaggio c’è sempre, ma si svolge all’interno di ogni personaggio. Dentro il regista/attore Papaleo che baratta la tonaca per un’avventura amorosa finita male. Dentro il pianista tormentato Riccardo Scamarcio, che affoga la frustrazione per il suo talento sconosciuto ai più, per il rapporto conflittuale con un padre con cui parla poco e male (il sempre eccezionale Giorgio Colangeli), per una storia d’amore finita nello sbadiglio, con la fuga di lei (l’intensa Claudia Potenza). Dentro una donna che ha paura di innamorarsi e dentro un’altra che si è innamorata e ha paura di dirlo (speciali e inedite le performance di Barbora Bobulova e Sarah Felberbaum).

Una piccola impresa meridionale

Un viaggio dentro i sentimenti e le disillusioni, contro i pregiudizi, le apparenze, i giudizi altrui. Lo imparerà a fatica anche l’irresistibile mamma del protagonista, e della moglie traditrice interpretata dalla Potenza, una meravigliosa Giuliana Lojodice nei panni della bisbetica indomata che si rifugia nel faro anche lei perchè in paese, oramai, con un figlio spretato e l’altra fuggita per amore, non ha coraggio di farsi vedere. Seguiranno colpi di scena, incontri, scoperte, nuovi arrivi, salti circensi, massaggi, polaroid di amanti addormentati, lezioni di scuola e suonate di gruppo improvvisate.

La musica e la terra, le note e la suggestione dei luoghi in cui gira, restano la formula magica costante del cinema di Papaleo. Un cinema che non cerca la risata facile, ma la poesia delle piccole cose. Che fa sorridere, commuove, a tratti si fa buonista, senza mai rinunciare ad essere scorretto (è uno dei pochi, in Italia, a inserire in un film un matrimonio gay al femminile). Un cinema che racconta come un raggio di sole, la brezza del mare, una canzone stonata possono cambiarti la giornata. Che si fa onirico nel raccontare il funerale che tutti sogniamo per i nostri cari, realistico nel descrivere l’aroma agrodolce dei rapporti interpersonali. La diffidenza, l’invadenza, la tenerezza, la solidarietà e la voglia di condivisione gli uni con gli altri: una piccola impresa collettiva, è questo in fondo che sempre siamo.

di Claudia Catalli per Oggialcinema.net

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