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[Recensione] I colori del male di Lidia Del Gaudio

Creato il 07 aprile 2014 da Queenseptienna @queenseptienna

I Colori del Male - copertinaTitolo: I colori del male
Autore: Lidia Del Gaudio
Editore: Lettere animate
Anno: 
2014
ISBN: 
9788868820435
Formato: 
ePub
Lingua: italiana
Dimensioni: 
201,0 kB
Prezzo:
 € 1,99
Genere: 
Thriller
Voto: [Recensione] I colori del male di Lidia Del Gaudio

 

Trama: Milo è un ragazzino di undici anni che ha perso la madre da poco. Durante una vacanza in campagna scopre una cantina abbandonata piena di oggetti antichi. Affascinato ne sottrae alcuni. Così cominciano i sogni, visioni angoscianti di quanto accaduto a Parigi nel 1873, nella lurida soffitta del pittore André Dubois, il quale, ispirato dal suo modello preferito Coquin Mechant, dipinge lo strazio di bambini mendicanti. La vicenda di questi quadri misteriosi attraverserà più di un secolo, incrociando molti eventi drammatici della nostra storia, provocando morte e disperazione. A Milo, maturato in fretta, toccherà scoprire che il male si serve delle debolezze umane per affermare il suo potere. Un racconto accattivante, ricco di colpi di scena, che si definisce attraverso le visioni, a tratti strazianti, dell’ingenuo e tormentato protagonista.

Recensione: Vi è, in ogni opera d’arte, una vocazione creativa, non di semplice imitazione. Un campo di girasoli portato sulla tela diventa il campo di girasoli. Dietro di esso gli altri vengono dopo. Un ritratto diventa il ritratto nel quale le pennellate si perdono e non si contano più.

Il campo di girasoli e il ritratto in sé sono la firma indelebile dell’artista, l’impronta della sua anima, ma anche di quello che ha inteso rappresentare. L’esempio più eclatante è il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. Quando si dice immortalare qualcosa o qualcuno in un quadro, si perpetua un volto, si scopre un carattere, si coglie il segreto di un’essenza. Ma anche un momento, un episodio. Un’antica ossessione da eternare.

C’è ben poco da aggiungere alla sinossi sopra riportata senza correre il rischio di svelare troppo. I colori del male è, in primo luogo, un romanzo che narra di una inclinazione artistica che prende una piega inaspettata, racconta una vocazione totalizzante che si fa ossessione, conduce  lontano, verso i recessi più oscuri dello spirito.

A creare tensione e suspense è l’intreccio che, coinvolgendo il piccolo Milo, si sviluppa in un percorso a tappe, i cui binari prendono forma da frammenti, appunti di diario, tracce di storie dimenticate che affiorano qua e là. Nella stazione di partenza troviamo André Du Bois, un paesaggista dell’Ottocento ambito per i suoi perfetti e oscuri  ritratti. Al capolinea  c’è Milo. Attraverso di lui passato e presente diventano veri e propri vasi comunicanti.

Ebbene sono proprio questi invisibili binari a stuzzicare l’attenzione del lettore. Di cosa sono fatti? Qual è la loro direzione? Noi non li vediamo, percepiamo solamente le fermate di un viaggio che ci porta in mezza Europa, tra Ottocento e Novecento, da Parigi a Perugia, passando per Gibilterra e Venezia, deviando verso Praga e Londra, fino a un braccio di mare nei dintorni di Casablanca.

È così che la storia di Milo si affianca a quella di una coppia di studiosi del passato recente (Cesare e Margherita Savio), a caccia di notizie e di dipinti attribuiti o attribuibili al fantomatico André Dubois. Ma soprattutto si accosta al misterioso e fascinoso ragazzo  che gli appare in sogno.

Milo è coinvolto negli eventi da una vecchia casa abbandonata da anni, fatta di stanze e soffitta inesplorate, di polvere e oggetti, cose che hanno molto, forse troppo da dire. Questa casa è, cronologicamente, l’ultima tappa del viaggio fin qui descritto, il quale fa il paio con altri luoghi a esso collegati, lontani e dimenticati, in cui riposavano pezzettini di un’anima oscura, imprigionata dentro una maledizione della quale non si è ancora trovato il contro incantesimo. E Milo di tutto questo è divenuto vittima, testimone. E non può raccontarlo, non ne è in grado. A parlare sono le tracce, gli indizi ritrovati, con le parole del padre, del nonno. I soli in grado a questo punto di proteggerlo, se solo sapessero.

Comprendiamo presto in che modo, a tratti, Milo perda il contatto con la realtà. Nel senso che il presente non gli basta. E non basta nemmeno a noi, a dire il vero, che desideriamo sapere di più di quel che emerge, a nostra volta succubi della voce dolce e rassicurante di Coquin Mechant.

Il luogo in cui egli si trova è quello in cui il Maestro non ha mai cessato di dipingere. È il luogo in cui mai è cessata l’inconfessabile aberrazione, l’innominabile sequenza di delitti all’ombra di un ritratto che intende raffigurare la sofferenza più che in una fotografia: e non una sofferenza qualsiasi, ma quella vera, incontrovertibile. Eterna, rassegnata, senza riposo, infernale. Tutto questo per raggiungere, attraverso l’orrore, la delirante immortalità di un’anima prigioniera di un vero e proprio horcrux e, insieme a lui, di chiunque ne sia stato attratto.


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