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Recensione: Io sono di legno di Giulia Carcasi

Creato il 05 gennaio 2015 da Coilibriinparadiso @daliciampa

Finalmente sono riuscita a scrivere la recensione di Io sono di legno, mentre leggo Tutto torna, sempre di Giulia Carcasi. Spero che sia uscita bene, avevo tante cose da dire :)

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  • Titolo: Io sono di legno

  • Autore: Giulia Carcasi

  • Casa Editrice: Feltrinelli
  • Data pubblicazione: Gennaio 2007
  • Pagine: 140
  • Genere: Romantico
  • Trama: È l’alba di una domenica qualunque. Giulia aspetta, Mia non è ancora tornata dai suoi sabati senza freno. Sono madre e figlia divise da un precipizio di anni e segreti, apparentemente sicure delle proprie scelte: hanno applicato alle loro vite teoremi precisi e sembrano funzionare. Ma quando Giulia si ritrova a leggere il diario di Mia, l’ingranaggio si rompe. Bisogna tornare indietro. E Giulia lo fa. Torna ai ricordi di una giovinezza ferita: il perbenismo della sorella, la fragilità di una madre che non voleva guerre, l’amicizia con una suora peruviana curiosa dell’amore e dei balli e che di Dio non parlava mai. Torna ai primi passi da medico, tra corsie e sale operatorie, al matrimonio con un primario, alla lunga attesa di una maternità sofferta e desiderata. Più la storia di Giulia si snoda nel buio del passato, più affiorano misteri che chiedono di essere sciolti. Ma per madre e figlia l’incontro può solo avvenire a costo di pagare il prezzo di una verità difficile, fuori da ogni finzione.

Opinione personale:

Saranno passati ormai un paio di anni da quando ho letto Ma le stelle quante sono di Giulia Carcasi, eppure spesso mi ritrovo a rileggere le sue pagine, le sue frasi più belle. Mi era rimasto dentro, con la sua capacità di ritrarre alla perfezione ogni aspetto dell’adolescenza, di dire le cose come le sentivo io.
Era quindi da molto tempo che avevo sulla To Read list i libri Io sono di legno e Tutto torna e solo ora mi sono decisa a leggerli. Io sono di legno è un libro che ti tiene incollata alle pagine dall’inizio alla fine, ti incatena a Giulia e Mia e alle loro storie, alle loro emozioni e alla loro solitudine.

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Perché in fondo è di questo che si tratta: di solitudini! Di Giulia che nonostante le matrioske, le donne di casa sua, è sola davanti al mondo, senza nessuno che le dia ragione o che la aiuti: perché per la mamma la colpa non è mai degli altri e per Flavia tutto è dovuto a lei, senza rimorsi, senza mezzi termini. Lei è la più piccola, in tutti i sensi nonostante l’imponente nome latino. Quando legge il diario di Mia, di una figlia che le corre davanti, dentro e fuori casa senza che lei possa fermarla, riconosce i segni della sua stessa solitudine. Riconosce i segni della paura di amare che forse è ereditaria, perché Mia non le ha avute vere e proprie delusioni, solo un istinto innato di mettersi in salvo dall’amore. Forse è la freddezza di Giulia, la totale assenza di gesti d’amore che lei ha ereditato a sua volta da sua madre; forse è paura di affezionarsi. Quando legge il diario di Mia, Giulia si mette a scrivere a sua volta. Non le piace scrivere, riflettere, al contrario di sua figlia si impegna a fare 2000 cose per non pensare. Ma ora lo fa, per Mia.

Lo so che si dice “l’ho amato con tutto il cuore”, ma io l’ho amato anche con i reni e la milza e lo stomaco, l’ho amato come solo una folle ama.

Molti hanno detto che la Carcasi ha cercato di imitare Va’ dove ti porta il cuore. Molti forse hanno ragione, ma questo non toglie bellezza alla storia: il libro della Tamaro è praticamente il mio preferito in assoluto, e credo che ciò che si può ritrovare qui, non è una copia, ma lo stesso amore che spinge una donna ad aprirsi, per sua figlia, sua nipote, per salvarla dagli ostacoli della vita, per aiutarla, per prenderle finalmente la mano e camminare insieme. 

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Ho amato questo richiamo a Va’ dove ti porta il cuore, così come ho amato il modo di scrivere dell’autrice, quelle metafore che usa, come lascia volare libera la mente dei personaggi, in disegni e pensieri che fanno venire i brividi. So che forse toglie credibilità alla recensione dirlo: ma penso che mi piacerebbe leggere gli scritti della Carcasi anche se non avessero una trama, anche se fossero solo parole vuote, perché amo il suo modo di scrivere. Allo stesso tempo però io non ho avuto l’impressione di leggere qualcosa di già sentito, o di banale. Al contrario, la storia è perfetta: ogni incrinatura nella personalità di Giulia o Mia si svela con il passare delle pagine. E con il passare delle pagine si svela anche il perché di questa incrinatura. Tra gli amori che sua madre ha usato per proteggersi, per fuggire, per non essere diversa dalle altre, Mia troverà la spiegazione a quel distacco che spesso le è sembrato disumano, a quell’indifferenza che è in realtà una lucidità nata dall’esperienza. 
Dalle pagine Mia conoscerà Miguel, Sofia, e tra una polifonia di personaggi perfetti che amano alla follia, conoscerà una madre di legno, esattamente come lei. Capirà quanto siano inutili le regole nella vita, quanto sia assurdo cercare di regolare le cose quando tutto è in balia dell’amore, che è incontrollabile e che abbatte le definizioni e le mura. O almeno lo capirà il lettore.

Il legno sembra fermo, ma è sottoposto a pressioni interne che lentamente lo spaccano. La ceramica si rompe, fa subito mostra dei suoi cocci rotti. Il legno no, finché può nasconde, si lascia torturare ma non confessa. Io sono di legno.

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La figura di Mia in fin dei conti emerge poco: mentre Giulia viene tratteggiata in tutti i suoi aspetti, riservando sempre una sorpresa, una cicatrice, Mia è l’adolescente indisciplinata e difficile che sembra spinta solo dalla paura dell’amore. Ho avuto quasi l’impressione che non fosse solo un personaggio secondario, ma piuttosto che fosse una cornice in qualche punto. Non riesco a spiegarlo bene come vorrei: si è creata nella mia mente una Mia che da forma allo stereotipo della ragazza facile, e non si scava nella sua storia per capire il perché. Si scava nella storia della madre, come se lei dopo non avesse potuto farci niente. Come se il passato non avesse rimedio
A me comunque è piaciuto tanto questo libro: ci ho visto molto di più di un romanzo rosa per adolescenti, ci ho visto una storia difficile ma travolgente. E un’autrice che riesce ad usare le parole come spade. 
Non penso che ci sia una sola categoria a cui è rivolto, ma anzi ognuno potrebbe ritrovarsi in una differente fase della storia di Giulia, comprenderla, soffrire e gioire con lei, così come ho fatto io.

Mia madre mi ha spiegato che capita, ci sono pazienti che sentono il dolore dove non può esserci. Se togli a un unomo la gamba destra, anche a distanza di anni, ci saranno giorni in cui ti dirà che sente la gamba stanca, sì, la destra, gli farà male, proprio la destra. Possiamo smettere di parlarne, possiamo fare in modo che gli altri smettano di parlarne, possiamo annullare una parte di noi e andare avanti, ma il corpo ha una memoria infallibile, si ricorda la sensazione di gambe e braccia anche quando non ci sono più. Si chiama “sindrome dell’arto fantasma”. Mia madre dice che è il dolore di una parte che manca, lo chiama “il dolore dell’assenza”.

Il mio voto:

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L’autrice:
Giulia Carcasi: nata nel 1984, è giornalista e scrittrice. Durante gli studi in Medicina ha esordito con Feltrinelli pubblicando il romanzo Ma le stelle quante sono (2005), a cui seguiranno Io sono di legno (2007, premio Zocca Giovani), Tutto torna (2010) il racconto Perché si dice addio (2012).


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