Magazine Cinema

Recensione: IO SONO INGRID, la Bergman in un docu da vedere (se potete)

Creato il 20 ottobre 2015 da Luigilocatelli

INGRID BERGMAN - IN HER OWN WORDS 2Io sono Ingrid, un documentario di Stig Björkman. Con Roberto, Ingrid e Isabella Rossellini, Pia Lindstrom, Fiorella Mariani, Sigourney Weaver, Liv Ullman. Presentato in anteprima fuori concorso a Cannes 2015, nei cinema italiani il 19 e 20 ottobre.  Distribuzione BIM.
INGRID BERGMAN - IN HER OWN WORDS 3Cent’anni dalla nascita di Ingrid Bergman. Questo documentario ce la racconta attraverso testimonianze (a partire dai quattro figli), ma soprattutto con i filmini privati che lei amava girare e le molte lettere scritte a amici, amanti, parenti. Una delle poche star dalla vita avventurosa, piena di scelte controverse e anche arrischiate. Non una donna qualunque. Documentario rispettoso, ma non agiografico. Se però se vi aspettate critiche e polemiche, e revisionismi e demolizioni del mito, non è questo il vostro film. Voto 7 e mezzo
show_photoIngrid Bergman ha imparato presto a stare davanti all’obiettivo, a mettersi in posa mostrando il lato migliore in favore di camera. Quand’era bambina il padre, rimasto precocemente vedovo, la fotografava quasi compulsivamente, e sono scatti che questo Io sono Ingrid ci mostra, immagino per la prima volta. Un film naturalmente nato per celebrare i cent’anni dalla nascita di una delle poche star del cinema ad avere avuto una vita avventurosamente interessante quanto la sua carriera, piena di svolte, deviazioni e anche inversioni a U. Film che rispetta il mito Bergman, ma che ce la fa, anche se con una qualche fatica, a evitare l’agiografia, sorvolando certo su molti angoli di esistenza lasciati prudentemente nell’ombra (l’abbandono della prima figlia Pia all’ex marito Petter Lindstrom, per dire), ma non tacendoli del tutto, se mai alludendovi con prudenza e pudore. Io sono Ingrid, operazione condotta da uno svedese come lei, Stig Björkman, merita di essere visto, e se non siete andati al cinema ieri magari fatelo oggi, secondo e purtroppo ultimo giorno della sua presenza nelle sale italiane. Un docu-bio che, vista la loro presenza in plurimi contributi in forma di intervista, ha di sicuro ottenuto l’imprimatur dei quattro figli (Pia Lindstrom, la maggiore, e Roberto e le gemelle – eterozigote – Isabella e Ingrid avute da Rossellini) e che è un qualcosa di più del solito quant’era-brava-la-madre-nostra di altre analoghe operazioni, visto come si sforza di fare un po’ di luce su una davvero eccezionale, fuori norma. Grazie soprattutto all’utilizzo di materiale, visivi e cartacei, realizzati dalla stessa Ingrid Bergman, che dal padre aveva ereditato la passione di impugnare macchine fotografiche e cineprese, passione che non ha mai abbandonato. Ingrid scattava e soprattutto filmava e filmava, viaggi, pezzi di vita altrui ma specialmente propri e della propria famiglia. Una regista instancabile di home movies, quelli che un tempo venivano chiamati in Italia filmini, e chissà cosa ne pensava un marito come Roberto Rossellini. Sicché la vita di Ingrid può essere ricostruita pressoché interamente, e il film questo precisamente fa, attraverso le infinite immagine da lei o su di lei realizzate fin dall’infanzia, e fin dall’adolescenza quando esordì nel cinema svedese, fino agli anni Settanta della malattia. Lei nella psicina della casa californiana con Lindstrom e Pia, lei con i tre piccoli Rossellini soprattutto nella villa amatissima di Santa Marinella, porto di mare e punto di incrocio di celebrità da ogni dove, una specie di paradiso perduto per i tre figli che ancora oggi la rimpiangono (soprattutto Robertino). A dimostrazione di quanto fosse acuta la Bergman, ci sono frammenti da lei ripresi con la cinepresa durante il viaggio di nozze alla fine degli anni Trenta con Lindstrom in Germania con sfilate della HitlerJugend e negozi ebraici marchiati con la stella di Davide. A quel tempo non erano in molti a intuire cosa stava succedendo da quelle parte, lei invece aveva capito. In voce off un’attrice legge le molte lettere mandate da Ingrid nella sua vita (e ricevute), comprese quelle a Robert Capa, leggenda della fotografia che fu il suo amore grande nel periodo di mezzo tra il matrimonio con Lindstrom e quello con Rossellini. Intanto scorrono veloci le immagini dei suoi molti memorabili film, da Casablanca a Notorious, fino al molto paparazzato suo sbarco in Italia alla corte del signore del neorealismo Rossellini, che la dirigerà nel meravigioso eppure allora incompreso e malamato Stromboli e che diverrà suo marito (ed è meraviglioso il ricordo di Roberto Rossellini che, dalle parri di Salerno, le dice: “Scendo un attimo in spiaggia a cercare il protagonista di Stromboli”, e ne trova due). Non manca, ovvio, la celebre lettera da lei inviata a lui da Holywood con quel (vado a memoria) “non conosco l’italiano, ma so dire ti amo”. Quante stagioni del cinema ha attraversato la Bergman, tutte puntigliosamente ricostruite da Io sono Ingrid, quella degli esordi nel cinema svedese, il trasferimento a Hollywood, l’abbandono del sistema degli studios e il tuffo da kamikaze nel neorealismo italiano (decisione per cui l’America la ripudierà), il ritorno a Hollywood in Anastasia con tanto di Oscar (il secondo: ne vincerà un terzo come best supporting actress per Assassinio sull’Orient Express, il primo l’aveva vinto per Angoscia di Cukor). Poi il teatro e il cinema in Francia con un film di Jean Renoir, la fine della storia di Rossellini e un terzo marito, l’impresario teatrale Lars Schmidt, svedese come lei, un ritorno a casa (e l’isola di sua proprietà nel Baltico diventerà un covo e un punto di ritrovo per tutti i rami della complicata famiglia). Fino a quel Sinfonia d’autunno in cui Ingmar Bergman la sottopone a una seduta psicanalitica in forma di film facendole interpretare una donna autoriferita e di massimo egoismo che per il successo e la carriera di pianista non ha esitato a lasciare sola la figlia. Che le rinfaccerà tutto e di più, in un indimenticabile e sanguinosissmo confronto. Ingrid – ricorda Liv Ullman – cercò di opporsi a Ingmar, di farsi riscrivere scene e dialoghi, ma il gran svedese tenne duro e vinse, mettendo la diva e donna di fronte ai propri fantasmi. Sì, lei che, pur tra molti dubbi e qualche senso di colpa, non aveva esitato a lasciare Petter Lindstrom e la figlia Pia per buttarsi nell’avventura italiana che le avrebbe cambiato vita e profilo professionale. Professione che per lei fu sempra la prima opzione. Anche i figli avuti da Rossellini ricordano come abitassero con le varie tate in una grande casa romana mentre mamma se ne stava a Parigi a vivere e lavorare in teatro, e papà Roberto in India o chissà dove. Pia Lindstrom, probabilmente tra i figli la più toccata dalle scelte della madre, non si lascia andare in Io sono Ingrid alla minima accusa verso di lei (“Mi hanno chiesto di scrivere un libro, ma non ne sento il bisogno”, taglia corto, e dunque un Mammina cara in versione Bergman non ci sarà), anche se par di capire che quella fase, quel tempo, le abbiano lasciato dei segni. Ma questo è un film fatto per celebrare i cent’anni di una grande star, giusto? Non aspettiamoci che vada a frugare troppo nei lati nascosti. Poco ci viene detto, quasi niente, della crisi con Lindstrom (è vero, come ha detto qualcuno, ma non in questo film, che lui la soffocasse con le sue ansie di controllo?), e la fine della storia con Rossellini viene sbrigata in pochi accenni. Il film però non è un ottuso santino e ci fornisce abbastanza elementi per farci una nostra opinione. Certo, una donna forte, che alla propria realizzazione – in questo anticipando di decadi l’emancipazione femminile di massa – sacrificava molto, tutto, pagando prezzi salatissimi. Lei era una signora poco sentimentale venuta dal Nord che sapeva come ogni scelta privata avesse un prezzo, mica come la retorica odierna che mellifluamente predica la perfetta conciliabilità per le donne di lavoro e famiglia. Ingrid, come il tempo in cui visse, aveva ancora il senso del dramma e della sofferenza, e della scelte che possono implicare l’uno e l’altra. Mica viveva nell’attuale bolla narcistica. Imparare, gente.show_photo-1


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog