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Recensione. LA LUNA SU TORINO di Davide Ferrario: che peccato, che delusione

Creato il 01 aprile 2014 da Luigilocatelli

LA LUNA SU TORINO . Eugenio FranceschiniLa luna su Torino, un film di Davide Ferrario. Con Walter Leonardi, Manuela Parodi, Eugenio Franceschini, Daria Pascal Attolini, Aldo Ottobrino. Distribuzione Academy Two.
LA LUNA SU TORINO Manuela ParodiNon era male l’idea di mostrarci tre vite che scorrono accanto, si sfiorano, senza mai compenetrarsi davvero. Cercando di restituire la volatilità delle tracce esistenziali, il gioco del caso e della necessità. Purtroppo il risultato è molto al di sotto delle (nostre) aspettative e questo film, italianio, indipendente e a modo suo coraggioso, non ce la fa mai a decollare. Voto 4 e mezzo.
LA LUNA SU TORINO Eugenio FranceschiniSpiace dirlo, ma questo film onesto, indipendente, di ottime intenzioni, non funziona proprio mai, non ce la fa a decollare, restando parecchio al di sotto delle sue ambizioni e delle nostre aspettative. Una delusione grande, nonostante il bel titolo, che resta a conti fatti la cosa migliore. Ferrario (Dopo mezzanotte) propone qui un cinema inconsueto per i nostri panorami, lieve e volutamente poco strutturato, con più personaggi e più destini che si sfiorano senza mai davvero incrociarsi, un cinema libero e aperto e come danzato, senza tracce narrative forti e composto di momenti volatili. Forse a voler restituire, così almeno immagino, le increspature sulla superficie delle vite che ci vengon mostrate e raccontate, e il loro farsi e il loro disfarsi nel gioco del caso e della necessità. Gente più agita che agente, più eterodiretta da forze esterne, e spesso semplicemente dalla forza delle cose, che in controllo di se stessa. Progetto assai interessante, che ricorda certo classico Rohmer e i suoi marivaudage, e soprattutto certo cinema indie americano, e che mi ha fatto venire in mente, stando sul recente, Frances Ha di Noah Baumabch. Solo che il risultato è abissalmente lontano e, ahimè, anche abissalmente inferiore. I tre personaggi che stanno in primo piano – Ugo, Maria e Dario – raramente riescono a interessarci, il flusso delle loro esistenze non si coagula mai in momenti drammaturgicamente forti o solo significativi, e per noi coivolgenti, i dialoghi, che vorrebbero essere naturali e mimare il vero, sono artificiosi e a tratti di una sentenziosità e pososità insostenibile (quel Leopardi citato troppo spesso e non sempre così a proposito), gli attori non ce la fanno a sopperire alle evidenti lacune della sceneggiatura e ai limiti della scrittura. Ferrario ha occhio, sa cogliere bene una Torino sempre molto Piemonte Film Commission, ma anche visitata stavolta in posti meno sdati e usurati del solito. Il suo film ha l’impronta dell’ottimo mestiere, di chi il cinema lo sa fare. Purtroppo non basta. Troppe pure, e pesano come macigni, le intenzioni metaforiche. Quell’insistere fin dall’inizio sul qurantacinquesimo parallelo, quello che sta alla metà esatta tra il Polo Nord e l’Equatore e su cui si situa Torino, ad alludere a vite a metà, sul filo, un po’ di qua e un po’ di là ma né di qua né di là. E poi, quel ricordarci come sullo stesso parallelo ci siano città e uomini e mondi assai diversi e lontani, eppure legati da quel filo virtuale (e ci si chiede se per caso Ferrario non abbia visto il documentario russo Antipodi visto un paio di anni fa a Venezia, film che cortocircuitava storie di gente abitanti nei due emisferi agli esatti antipodi tra loro). Tutto un cianciare sul mondo quant’è largo e ampio e ricco di incredibili quanto segrete connessioni, per poi farci vedere tre personaggi – un quarantenne, una ragazza, un ragazzo – chiusi nella stessa casa e con scarsi movimenti fuori, che fan cose e vedon gente in un recinto assai ristretto. Ugo non ha mai fatto niente nella vita, però abita in una villa sulla collina torinese fascinosamente delabré e shabby chic ereditata dai genitori. Sta finendo gli ultimi spiccioli dell’eredità e per tirar su qualche euro ha affittato a Maria, impiegata in un’agenzia di viaggi, e allo studente di lettere e aspirante scrittore Dario, lavoratore part time in un parco naturale (quello che una volta si chiamava zoo e adesso non si può più). Non condividono niente, se non la casa. Ugo vorrebbi portarsi a letto Maria, ma lei no. Dario ha le sue storie, che son più non-storie. Non si capisce perché vivano insieme, e poi quando mai due ragazzi senza soldi come Dario e Maria possono permettersi di stare, per quanto in affitto, in una meravigliosa villa in collina? Solo al cinema, per l’appunto. Solo nel cinema italiano, che sappiamo come non brilli per verosimiglianza e aderenza al reale. Si vorrebbe, in un film come questo, pedinare il vero, e invece si casca nel finto e nell’improbabile. Improbabili fino all’irrealtà i mestieri di certi personaggi collaterali che fan capolino (uno, per dire, fa storyboard per la pubblicità, ma come farà mai a campare? uno fa il fotografo non si capisce di cosa e per chi, con l’inflazione che c’è di fotografi, peggio che gli architetti). Improbabile che, in tempi di Expedia e Booking.com, ci siano ancora clienti come quelli che vediamo nell’agenzia viaggi di Maria. Purtroppo non ce la facciamo mai, neppure per un momento, a credere ai tre e alle loro giravolte, a quel che fanno, al film tutto. E quando sentiamo una tizia dirci che sta andando a Istanbul a un festival di acrobati con il suo furgone, è forte la voglia di dire basta e uscire dal cinema. Dario è Eugenio Franceschini, attore in ascesa visto l’anno scorso in Una famiglia perfetta, di recente nel Vanzina-movie Sapore di te e, a teatro, in Prima del silenzio di Patroni Griffi. Dotato di una naturale simpatia che riesce a salvarlo anche in questo film non propriamente riuscito.


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