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Recensione [libro e film]: Still Alice - Perdersi, di Lisa Genova

Creato il 27 gennaio 2015 da Mik_94
Cari lettori, buongiorno a voi. Oggi post più denso del solito – ma spero solo intenso, non dispersivo – in cui vi parlo della mia ultima lettura. E siccome Still Alice è arrivato anche al cinema e, grazie a un'indimenticabile Julianne Moore anche agli Oscar, mi dedico ai confronti e ai paragoni, parlandovi nel frattempo di un altro film che, nella stagione dei premi, sta facendo meritate conquiste. Questo martedì sono un po' anche Mr. Ciak. Ringraziando le gentili Marina e Cetta per la copia staffetta, vi auguro buona lettura e buona visione. Fatemi sapere la vostra, come sempre: sul film, sul libro, su quello che vi va.  Sto perdendo i miei ieri.
Recensione [libro e film]: Still Alice - Perdersi, di Lisa Genova Titolo: Still Alice – Perdersi Autrice: Lisa Genova Editore: Piemme Numero di pagine: 293 Prezzo: € 16,90 Sinossi: C'è una cosa su cui Alice Howland ha sempre contato: la propria mente. E infatti oggi, a quasi cinquant'anni, è una scienziata di successo, invitata a convegni in tutto il mondo, che ha studiato per anni il cervello umano in tutto il suo mistero. Per questo, quando a una importantissima conferenza, mentre parla davanti a un pubblico internazionale di studiosi come lei, Alice perde una parola - una parola semplice, di cui conosce benissimo il significato - e non riesce più a ritrovarla nel magazzino apparentemente infinito della sua memoria, sa che qualcosa non va. E che nella sua testa sta succedendo qualcosa che nemmeno lei può capire. O fermare. La diagnosi, inimmaginabile fino a un momento prima, è di Alzheimer precoce. Da allora, Alice, perderà molte altre parole. Perderà pian piano i nomi - per primi, quelli delle persone che ama, suo marito, i tre figli ormai adulti. Perderà i ricordi, ciò che ha studiato, ciò che ha fatto di lei la persona che è. In questo viaggio terribile la accompagnerà la sua famiglia: il cui compito straziante sarà di starle vicino, di gioire con lei dei rari momenti, luminosi e fugaci, in cui Alice torna a essere Alice. E, soprattutto, di imparare ad amarla in un altro modo.                                    La recensione Recensione [libro e film]: Still Alice - Perdersi, di Lisa Genova Mi ero perso Perdersi, anni fa, per pigrizia e non curanza. Immaginavo che dietro quel verbo riflessivo all'infinito ci fosse un manuale, un saggio d'auto aiuto; non un volto, non una storia. Non un nome. Quando hanno annunciato il film, poi sì che ho capito. E per una volta, vi dirò, sono felicissimo di possedere l'edizione che ho io, la più recente, con il poster cinematografico in copertina: io che le ristampe, eppure, non le amo troppo. L'eccezione, da attribuire al titolo originale che accompagna quello italiano, diventato improvvisamente un sottotitolo posto come in secondo piano. La lingua straniera si concentra sulla persona, su quello che durerà per sempre; la nostra, secca e fatalista, su quello che, al contrario, se n'è andato via, nel cuore della notte, per non tornare mai più. Ci si smarrisce, vero, ma resta un nome, un avverbio di tempo, per ritrovarsi... forse. Ho voluto quel romanzo con due titoli e due significati perché è risaputo quanto le storie che tutti evitano, quelle indicibilmente tristi, mi piacciano. Magari uno la scambia per una sensibilità che in realtà non ho; un altro per forza. Ma vi dico, in realtà, che a me che non l'ho mai provato il dolore fa tanta paura. E leggo, mi documento, faccio e dico, in modo che saprò, un giorno, sopportarlo a denti stretti. Non sono affatto coraggioso. Nei romanzi incentrati sulle tematiche più delicate e spinose, quelli di cui ogni pagina è un taglio profondo, la malattia è di contorno, negli spazi vuoti. E' un scusa per parlare d'amore. La classica Big C, di solito, crea il contesto adatto per una storia impossibile; cosa c'è meglio di una relazione che sfida l'evidenza, i capelli che cadono, i polmoni che ci fanno sputare sangue? In Perdersi, la malattia – un'altra, una descritta di rado tanto che è misteriosa - è la vera protagonista. La si guarda in faccia, ed è come un mare che ti travolge, ti soffoca e ti sputa a riva, senza fiato. Miracolo del self publishing, quando anche un cieco avrebbe capito immediatamente di che pasta è fatto, ha perizia, scrupolosità, realismo, grazia. E' un esordio di una potenza a cui non si crede. Complicato, credibile, in movimento costante. Lisa Genova sa quello che dice. Sa come dirlo con lo stile giusto per l'occasione giusta. Sa che ti farà male e ti ringrazia: devi essere pazzo per leggerlo, ma anche per rifiutarti di farlo. L'Alzheimer – il male più bastardo e imprevedibile del mondo – guardalo da vicino e non piangerti addosso, finché hai ancora gli occhi per guardarlo e le parole per dire quanto terrificante è.  Recensione [libro e film]: Still Alice - Perdersi, di Lisa Genova Mi aspettavo che una neoropsichiatra, una donna di scienza, non fosse in grado di scrivere romanzi. Qui, invece, pur non essendoci qualunquismo di nessun tipo, non si cade nell'eccesso. Ho letto trecento pagine scritte benissimo, che non mi spiegavano una storiellina ricattatoria, né lo facevano con i toni distaccati di una cartella clinica. Perdersi è straziante, ma non gratuito. Ha religioso rispetto verso un dolore non messo all'asta; sarà che è il dolore che ci parla di sé stesso. Ti spiega come funziona il cervello, come funziona quando qualcosa si guasta e non si può riparare, e lo fa con il linguaggio universale del cuore. Ma Perdersi è tanto quello, un conto alla rovescia inarrestabile, quanto la storia di una donna come tante e come poche. Ecco perché mi piace il titolo originale: la chiama per nome e, se è un giorno di quelli buoni, lei magari risponde. Siamo al suo fianco, come al capezzale di un malato. Ma peggio. Anche se raccontato in terza persona, il libro è dentro di lei e i suoi pensieri, onesti e brutali, anche per me – ormai dotato di una buccia dura e brutta - sono risultati bocconi difficile da mandare giù. Chi dirà ai suoi tre figli che, solo facendoli nascere, li ha messi in pericolo? Chi controllerà se ha, nelle tasche del cappoto e nei calzini, vedendola vagare per strada, il biglietto con su scritto l'indirizzo di casa? Chi aiuterà John a trovare le chiavi della macchina, quando lei non troverà neppure il bagno? Lei ha i sintomi, ma non le prove concrete sin dall'inizio. C'è sempre un'altra spiegazione. Quindi aspetta, ma lo sa lei e lo sa il lettore. Che la sua storia, dopo cinquant'anni e altrettanti capitoli pieni di gioie e soddisfazioni, parla di Alzheimer presenile. Vive di parole e le parole le sfuggono, d'un tratto, come sabbia tra le dita. A causa di una malattia ereditaria, lasciatale da un padre che sembrava avere fatto solo di lei la superstite del suo egoismo omicida, il morbo si intrufola e ruba.  Recensione [libro e film]: Still Alice - Perdersi, di Lisa Genova Rinnova traumi, dà vita a lotte già perse contro gli specchi traditori, umilia. Il romanzo è ambientato una decina d'anni fa e, istintivamente, ti viene da chiederti cosa sia stato di lei. Quella Alice che, da bambina, piangeva per la vita troppo breve delle farfalle e che avrebbe avuto, poi, la stessa memoria corta di quelle creature volanti; quella che, e commuove nel farlo, confessa che baratterebbe la sua patologia con un cancro distruttore – perché il tumore ti rende agli occhi degli altri un martire, l'Alzheimer matto. Ti toglie la dignità, anche se quella di Alice resta fieramente intatta, precludendoti perfino la possibilità di decidere quel che sarà dei tuoi domani. Di dire voglio farla finita, voglio morire. Il suicidio, come il nome dei figli e il posto del cellulare, è il più fugace tra i pensieri fugaci. Se ti scordi persino di essere così sofferente da desiderare di non svegliarti più, cosa puoi dire ci sia di più spietato e angosciante? Immaginate se un film, con una grande attrice, per una grande competizione, tentasse di dare risposta a queste domande sparse. Sarebbe potentissimo, ci sarebbe da affogare nel pianto. E invece no. La trasposizione cinematografica è tanto rispettosa della malattia, quanto del romanzo da cui è tratta. Triste, ma la metà esatta del libro. Delicata, ma coraggiosa. Spoglia e essenziale, ha una regia convenzionale, non per questo sinonimo di cattiva direzione del cast, e un uso saggio della messa a fuoco, che isola la protagonista dal resto, in una bolla a tenuta stagna. I registi, coppia anche nella vita privata, sono rimasti insieme, nonostante la Sla diagnosticata a Richard Glatzer, e dirigono un prodotto lucido e pieno di dignità. In cui il marito Alec Baldwin, con chili di troppo e difetti umani, pensava di non meritarsela una famiglia perfetta. In cui tra figli carismatici e competitivi, educati al culto della perseveranza, c'è una pecora nera che fa l'attrice, si chiama Kristen Stewart e si rifiuta di sapere quale gene ci sarà nel suo futuro. Una sorpresa la sua Lydia, interpretata con una convinzione che nessuno – fatta eccezione per chi già l'ha vista brava in Camp X-Ray e Sils Maria – si sarebbe aspettato dall'ex stella di Twilight. Gli sceneggiatori avevano a disposizione passaggi forti e scene madri che avrebbero fatto piacere all'Academy e al pubblico in cerca della lacrima facile; peccato che Still Alice non cerchi questo. Manca il pianto, ma c'è verità negli occhi vacui di una protagonista che ti emoziona senza strafare. Julianne Moore è la più brava in gara perché ti scordi che stia recitando, mentre lei si scorda del resto. Dietro la sontuosa Pike di Gone Girl, fino a poco fa la mia favorita, c'è un diabolico lavoro di costruzione: lei scuote, con un personaggio che sembra scritto dal Dio crudele dell'antico testamento. La Moore, controcorrente, fa l'opposto. Still Alice è un'opera di destrutturazione, di lenta demolizione. Come passare da volto che buca lo schermo – e il suo è un volto bello come pochi, anche a cinquantaquattro anni - a comparsa della propria vita; ad attrice di cellophane. Come spieghi a un'interprete cosa non fare? Rari i pianti, trattenuti gli scatti di rabbia, poche le crisi di panico: il film, al contrario del romanzo, non dà indicazioni temporali. Le scene sono brevissime, il montaggio è secco, le connessioni tra le sequenze sono difficili da individuare. Un cancellino spazza via tutto e sulla lavagna di una vita resta una striscia chiara, gesso, che alla prossima passata di spugna andrà via. La storia di Alice ti spolpa, ma si concentra su quello che la malattia lascia, non su quello che la malattia toglie. E' un countdown da incubo, ma finisce con l'amore, per quel che vale. Con l'amore e con l'Alzheimer. Senza sconti, senza inganni. Se l'amore – secondo la leggenda, dalla parola latina “mors”, morte, con un'alfa privativo davanti – davvero è vita eterna. Così, nel bel mezzo dell'amnesia propria di chi, in un anno, legge troppo, croce sul cuore, potrei giurare che io questa storia non la scordo. No. Il mio voto: ★★★★ {Il film: 7+} Il mio consiglio musicale: Bastille – Oblivion

"Are you going to age with grace? Are you going to age without mistakes? Or only to take wake and hide your face?"

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