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Recensione: Miele

Creato il 12 maggio 2013 da Mattiabertaina

manifesto copia

Genere: Drammatico

Regia: Valeria Golino

Cast: Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Vinicio Marchioni

Durata: 96 min.

Distribuzione: BIM Distribuzione

 

Irene, ragazza riservata e spensierata, di lavoro si occupa di suicidio assistito verso quelle persone che, a causa della malattia terminale che stanno poco a poco distruggendo anima e corpo, decidono di porre fine alla loro vita. Questa procedura è illegale in Italia, ed è per questa ragione che ci sono regole ben precise da tener in considerazione: innanzitutto il farmaco da somministrare, il Lamputal, è stato bloccato a causa dei suoi effetti letali se presi in dosi massicce, ed è per questo che Irene ripetutamente si dirige in Messico, dove è possibile comprarlo solo per uso veterinario; il suo nome non viene rivelato (per i pazienti viene chiamata Miele), in modo da tener oscura la sua vera identità. Durante la procedura, Miele instaura un rapporto con il malato, anche se distaccato: lei chiede costantemente se vuole interrompere la seduta, dando al paziente la sicurezza e il coraggio nel prendere una decisione così importante.  Il suo lavoro prosegue senza alcun problema, finché un giorno a chiederla è l’Ingegner Grimaldi, un uomo sulla mezza età. La ragazza, senza fare domande, gli da il farmaco, ma nel momento in cui scopre che in realtà non è un malato terminale, cercherà in tutti i modi di riprendersi il barbiturico. Da lì s’instaurerà un rapporto ambiguo tra i due, di conflitto generazionale e ideologico, ma soprattutto di affetto reciproco, un rapporto autentico che raramente ha avuto in questi anni, visto il distacco con la famiglia e dopo la morte di sua madre.

Valeria Golino esordisce alla regia con un film sulla carta ostico e pieno di ostacoli. Trattare di un tema così complesso come quello del suicidio assistito può indurre chiunque a prendere una posizione al riguardo, com’è successo con l’ultimo film di Marco Bellocchio. Invece qui il pubblico entra in contatto con il punto di vista di Irene (Jasmine Trinca), una ragazza che ha a cuore la sorte delle persone che devono scegliere una strada tutt’altro che semplice, vittime di una malattia che in un modo o nell’altro li porteranno alla morte, ma che per allontanarsi da tutto questo cerca di trovare quella leggerezza che Calvino illustra nelle Lezioni Americane: si cimenta in allenamenti in mare aperto, in avventure sessuali, e tutto ciò le dà la forza di andare avanti. La musica in questo contesto gioca un ruolo fondamentale: nel momento della somministrazione, la colonna sonora rende più dolce la scena, distaccando la protagonista e lo spettatore, il quale non vedrà mai l’immagine della morte, ma gli occhi della giovane Irene che, freddi, osservano la scena.  Ma quando incontra l’Ingegner Grimaldi (Carlo Cecchi), quel mondo, quella routine che lei stessa si era creata viene messa in dubbio, inizia a crollare, mostrandole tutta la complessità che la vita offre all’uomo. Le persone, che fino a quel momento Miele pensava fossero intenzionati a morire, in realtà volevano vivere, e che la loro scelta è in realtà dovuta dall’infinito dolore che provano in quegli istanti. Qui sta la bravura di un regista come Valeria: non si schiera, ma dà la libertà a ognuno di poter riflettere senza essere giudicati, attraverso immagini nette e con colori nitidi, a volte idilliaci. Si può dire che ha superato la prova a pieni voti.

Voto: 4 su 5



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