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Recensione: Mosche bianche

Da Flautodipan @miriammas
Recensione: Mosche bianche Titolo: Mosche bianche Autrice: Alessandra Magnapane Editore: Neos Pagine: 152 Prezzo: 14,00 euro
Descrizione: Sono come mosche bianche, rare e moleste, i racconti di queste pagine. I personaggi si nutrono dei rifiuti di una società in degrado e rappresentano sul palcoscenico quotidiano della normalità, la violenza, la corruzione e la follia che vi si mimetizzano e ci permettono di prenderne coscienza.
Così, ad esempio in La Playa del Sol, nel clima ilare di un villaggio turistico, i frequentatori canonici diventano protagonisti di vicende grottesche, folli e orripilanti; Ci vediamo su Facebook, si propone come la storia di una scontatissima rimpatriata, ma altrettanto prevedibile non sarà il risultato dell’incontro fra individui nel tempo cambiati; oppure, in The last song of Samantha, la semplice restituzione di un libro in biblioteca diventa puro delirio per via di un’implacabile bibliotecaria fissata con il pulp e l’heavy-metal.
I diversi stili narrativi, noir, pulp, thriller, speculative fiction che troviamo utilizzati con raffinata scioltezza in questa raccolta, varia e omogenea al tempo stesso, confermano Alessandra Magnapane scrittrice matura e consapevole, capace, nel solco dei grandi scrittori di genere, di far assurgere una forma letteraria spesso considerata di serie B, a strumento di provocazione, critica sociale, ed esplorazione della miniera del possibile.
L'autrice:
Recensione: Mosche bianche
Alessandra Magnapane torinese, vive e scrive nella città dove è nata. E’ laureata in Filosofia presso e ha un master in criminologia e psicologia investigativa. Ha pubblicato i romanzi Quattro passi con la morte (Neos, 2006) e Il tatuatore (Montag, 2009), oltre a numerosi racconti.Con le sue opere si è affermata in concorsi letterari quali il Premio Europa (2005), il Mystfest (2010)e il premio Mario Soldati(2007, 2012). Il suo sito internet è: [email protected]
La recensione di Miriam: 
Miseria umana e degrado sociale non sono rarità. Mosche bianche non sono coloro che cedono alla violenza o alla follia ma coloro che hanno il coraggio di confrontarsi con questa verità, di raccontarla rinunciando alla maschera rassicurante del falso perbenismo.  
È proprio questo l’obiettivo che si pone Alessandra Magnapane con la sua raccolta antologica: sollevare il tappeto delle apparenze per mostrare la polvere che vi si annida sotto, scavare nel quotidiano fino a portare in superficie quel lato oscuro, che è sì spazzatura, ma che chiunque  può coltivare dentro se stesso, magari senza esserne consapevole.
Cinque racconti che si aprono con cinque affreschi di vita quotidiana, cinque situazioni nelle quali facilmente ci si può riconoscere ma che si preparano a evolversi in maniera imprevedibile. Una giornata spensierata in un villaggio turistico, un viaggio in auto, una rimpatriata tra ex compagni di scuola, un episodio di stalking, una puntata in biblioteca per prendere in prestito Fight Club. Esperienze più o meno piacevoli ma che nulla hanno di particolarmente straordinario fino a che non esplode un raptus di pazzia, repentino e contagioso, in grado di stravolgere tutto. Ecco allora che un imprevisto, all’apparenza banale, può bastare a grattare via la pittura in superficie svelando ai nostri occhi un secondo quadro, splatter, surreale, grottesco.
Accade allora che un divertente ballo di gruppo, capitanato dall’animatore più figo della Playa del Sol, si trasforma in una danza di morte; un viaggiatore solitario si ritrova a guidare su una desolata strada senza fine che si snoda in mezzo al nulla; una cena tra vecchi compagni di scuola si evolve in un appuntamento con la morte; strani messaggi inoltrati, forse, da un ex fidanzato geloso finiscono per scandire i livelli di un macabro videogame; la mancata restituzione di un libro alla biblioteca comunale diviene il pretesto perché si scateni l’inferno a ritmo di rock.
La prevedibilità, di sicuro, non ha diritto d’asilo in questi racconti la cui prerogativa è soprattutto quella di spiazzare, stupire, confondere. Si comincia da incipit rassicuranti, a volte festaioli, per poi essere letteralmente strattonati e dirottati verso una svolta dal taglio decisamente pulp.
Con uno stile affilato, pungente, sorretto da una verve travolgente quanto un riff hard rock, l’autrice snoda il suo filo narrativo tracciando una scia di sangue e di humour nero.
A sorprendere non sono solo le strane pieghe che assumono gli eventi, gli imprevisti e i colpi di scena che abbondano tra le pagine, ma anche le emozioni contrastanti che questi testi riescono a scatenare. Sono racconti di morte, scanditi da colpi di mannaia e deliri collettivi, racconti che hanno il potere di shockare, a volte di provocare un senso di rigurgito, eppure riescono a scatenare anche  ilarità grazie alla forte componente grottesca che li caratterizza.
Che ci crediate o no, si inorridisce e si trema ma si ride pure, fino alle lacrime, leggendoli.
L’attualità, con i suoi pregi e i suoi difetti, con i suoi confini allargati, la sua aura ipertecnologica e le sue aberrazioni, occupa il centro della scena, è il grande contenitore spazzatura da cui la Magnapane attinge  a piene mani. Tratteggia in questo modo un percorso narrativo che, pur privilegiando il pulp, si concede interessanti cross-over sfiorando vari sottogeneri letterari e, nel contempo, travalicandone i limiti fino a consegnarci un’opera che non persegue il solo fine dell’intrattenimento ma si propone, non di meno, come strumento di riflessione sociale.
Nonostante lo spazio narrativo sia quello ristretto concesso alla forma del racconto breve, ciascun testo centra l’obiettivo di lasciare un’impressione forte e di consegnare al lettore personaggi che si imprimono facilmente nella memoria, a volte anche attraverso un semplice tic, una passione, un dettaglio che diviene tratto distintivo di una certa personalità
Basti pensare alla chioma diradata e alla sottile ragnatela di rughe che incrina le certezze di un animatore turistico forse non più proprio sulla cresta dell’onda; al colorito chiasso napoletano che, al pari di uno tsunami, travolge una spiaggia tranquilla; alle tettone di Samantha e alla sua passione intramontabile per l’heavy Metal − tanto radicata in lei dall’averla spinta a chiamare sua figlia Metallica − o al vecchio rocker incallito che, sebbene nel ruolo di semplice comparsa, lascia un vistoso segno del suo passaggio al concerto dei Satanical Piggies.
Così accade che a fine lettura ci ritrova con strane suggestioni capaci di allungare un’ombra sinistra su  gesti di routine o comportamenti all’apparenza innocui, come ritrovarsi su Facebook o scegliere di leggere Palahniuk per far colpo su una ragazza… forse non ci avete mai pensato, ma leggendo Mosche bianche, scoprirete che persino certi libri possono essere letali!  


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