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Recensione: PADDINGTON è il vero film di Natale, semplicemente (ed è un incanto)

Creato il 27 dicembre 2014 da Luigilocatelli

Paddington_escalator_ug_069_120_v001_003_MMPaddington, un film di Paul King. Con Sally Hawkins, Nicole Kidman, Hugh Bonneville, Jim Broadbent, Julie Walters.123062_galDisavventure e avventure dell’orsetto arrivato dal Perù in una Londra fredda e ostile. Ci penserà la famiglia Brown ad adottarlo e farlo felice. Un film (live action, mica animato) natalizio come quelli d’epoca, di buonissimi ma non fastidiosi sentimenti. Con una famiglia-famiglia che ricorda quella di Mary Poppins. In una messinscena smagliante da libro per l’infanzia, da stanza dei giochi prima dell’era digitale. Un bellissimo film per bambini e adulti-bambini. Che si permette qua e là sottotesti e riferimenti a faccende piuttosto serie. Voto 8Jonathan Brown-1ll film di Natale, semplicemente. Quello per bambini e adulti accompagnanti pronti pure loro a divertirsi e, all’occorrenza, a spargere qualche lacrima. Quello di buoni ma non inutili sentimenti. Quello che negli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso era specialità di marca Disney, con storie di famiglie allegre e molto medie e però mica così sciocche, peraltro sempre percorse da una qualche vena di stravaganza, sempre alle prese con fatti, cose e personaggi fuori dall’ordinario. Film di una balzana normalità. Mary Poppins, per dire, o Pomi d’ottone e manici di scopa. Ecco, qusto m’è parso di rivedere in Paddington, incantevole live-action con orsetto incorporato, un attore di peluche tra attori veri, o anche loro però un po’ creature fantastiche e irreali in quanto bidimensionali, private di ogni profondità prospettica, come uscite da un libro per infanti. Et pour cause. Paddington viene da una famosa serie di libri illustrati (che mia nipote si ricorda benissimo, e io ovviamente no) di un signore inglese che un giorno ebbe la felice idea di inventarsi questo orsetto, fecendone soggetto e oggetto di racconto. Si comincia (nel film, intendo) con un prologo in bianco e nero ambientato in anni imprecisati (i Trenta, i Quaranta forse, comunque in tempi di impero di Sua Maestà) con un inglesissimo geografo-esploratore che si imbatte in una famiglia di rari orsi del Perù. Ma, anziché catturarne e ucciderne un esemplare, si fa amico loro, introducendoli ai piaceri, agli usi e alla lingua della britannicità (e che nessuno gridi al colonialismo, please). “Vi aspetto a Londra”, è il suo saluto quando vien richiamato in patria. I due orsi adulti diventeranno nonni, e sarà il loro nipotino a imbarcarsi clandestinamente su un cargo con dstinazione Tamigi. Si aspetta, il teddy bear, un UK di buone e cerimoniose maniere molto british, di molta pioggia e molti ombrelli. Troverà un mondo nuovo inaspettato (siamo in un mood anni Settanta-Ottanta con oggetti di modernariato tipo le segreterie telefoniche o le auto familiari), rischierà di perdersi nel caos e nella frenesia della metropoli. Verrà raccolto da una famiglia, lui-lei & due figli, per esser precisi dalla madre mossa a compassione da quell’orso triste e solitario abbandonato a se stesso nella stazione di Paddington. Da cui il nome. Quel che segue è la buffa storia di un ospite venuto dall’altro mondo, dalla fine del mondo, catapultato in un realtà sconosciuta dove tutto, il dentifricio, la doccia, l’asciugacapelli, assume i connotati di un universo alieno e misterioso e anche mostruoso. Con effetti comici a cascata. Con una trama collaterale, che poi si farà portante, di una cattiva molto simile alla Crudelia Demon della Carica dei 101 (è Nicole Kidman), con l’orsetto Paddington a far da bersaglio al posto dei dalmati. Film che è un incanto, con un sapore e un sentore di fiaba prima dell’invasione dei cartoni asiatici, delle tecnologie applicate, dei giocattoloni-robottoni filmici. E sarà interessante verificare se piacerà ai pargoli d’oggidì (io lo spero vivamente). A funzionare non è solo la storia, non è solo l’irresistibile e adorabile piccolo Paddington – elegantissimo quando è nel suo montgomery blu -, è la confezione, è la messinscena assai consapevole e sofisticata. Che riproduce un’imagerie da libri illustrati e animati per bambini, da stanza dei giochi (con le bambole, i trenini, i balocchi meccanici prima dell’era digitale). Un po’ Michel Gondry e un po’ Jeunet, se volete. E anche Terry Gilliam. Ma senza mai da parte del regista la minima spocchia autoriale, senza che lo smalto di una messinscena volutamente childish prevarichi su orsetto e vari personaggi e stritoli lo storytelling. Il risultato è davvero molto buono, finalmente un film di Natale che sa di pacchi spacchettati sotto l’albero. E fa niente se si eccede alla fine in melensaggini politicamente corrette sul dovere all’accoglienza di chi viene da lontano, dell’altro-da-noi, rischiando la predica da film parrocchial-educativo di una volta. A bilanciare, ecco però una ribadita e restaurata centralità, che dispiacerà ai politicamente correttissimi, della famiglia-famiglia, non quella gender, non quella con il genitore A e il genitore B, ma proprio con mamma e papà, corredati di due figlioli prodotti si immagina con i metodi tradizionali e senza uteri in affitto e donatori di ovociti o spermatozoi in qualche laboratorio-frankenstein. Paddington si permette perfino un sobrio accenno, talmente sobrio da rasentare la cripticità, al programma Kindertransport (su cui, coincidenza, s’è appena visto un dcu sulla Bbc) che sul finire degli anni Trenta portò in Inghilterra migliaia di bambini ebrei centro ed est-europei salvamdoli dall’imminente Olocausto. E lo fa attraverso il character del vecchio berrettaio tedesco interpretato da Jim Broadbent. Tenetelo d’occhio.


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