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[Recensione] Prisoners (di Denis Villeneuve, 2013)

Creato il 09 gennaio 2014 da Frank_romantico @Combinazione_C
[Recensione] Prisoners (di Denis Villeneuve, 2013)
Finalmente sono giunto ad una visione che è stata anche una grave mancanza in questo 2013 appena scaduto, un film che zitto zitto si è fatto apprezzare praticamente da tutti: pubblico, cinefili, spettatori occasionali, critica, blogger. Ed ecco che, con estremo ritardo, ho dato fiducia alle recensioni e al mondo intero, nonché ad un cast da far strabuzzare gli occhi di chiunque vada al cinema almeno un paio di volte l'anno e abbia un televisore in casa. E così Prisoners, di Denis Villeneuve, è passato finalmente sotto i miei occhi facendosi strada tra i miei gusti personali. Ed ecco qui l'inevitabile recensione, molto ragionata, poco ragionevole di questo film. Che (meglio dirlo subito) è bello, veramente bello. Forse uno dei migliori thriller americani e non solo dal 2007 ad oggi.
Anna Dover e Gioia Birch sono due bambine di sei anni. Il giorno del ringraziamento, mentre le famiglie Dover e Birch festeggiano insieme, le due vengono rapite. Le indagini del detective Lockee portano ad un certo Alex Jones, che poi viene scagionato perché evidentemente ritardato. Intanto il rude Keller Dover non si arrende al naufragare di ogni pista intrapresa dalla polizia, così deciderà di agire personalmente per riportare a casa sua figlia.
[Recensione] Prisoners (di Denis Villeneuve, 2013)
Questo post può contenere spoiler:
La prima cosa che ho pensato guardando questo film è stata che è girato da dio. Me ne sono accorto subito perché è evidente, perché bastano i primissimi minuti a farcelo capire. Io non ho mai visto altro di Villeneuve, quindi non sapevo cosa aspettarmi. Invece la bravura di questo regista dietro la macchina da presa è palese, il modo che ha di costruire le inquadrature, l'estrema calma con cui pervade anche i momenti più concitati, la padronanza con cui rappresenta la desolazione di un'umanità sul punto del collasso. Perché è di questo che parla, Prisoners. Di un mondo in cui non ci sono buoni o cattivi, in cui l'infelicità è una sottile lama sottopelle e il controllo una semplice illusione. In cui il tutore della legge è un ex galeotto e un padre di famiglia arriverà a torturare un ritardato solo per salvare la propria famiglia. Un mondo in cui i bambini non sono al sicuro, in cui nessuno è al sicuro: colpevoli e innocenti, forti e deboli, adulti e meno adulti. E allora sembra di assistere ad un chiaroscuro che ci imprigiona, come se le ombre che ci circondano divorassero la luce. E la pioggia bagna tutto quello che i personaggi anno perso: la quotidianità, la felicità. la propria umanità.
In molti hanno accostato Prisoners a quella perla girata da Clint Eastwood nel 2003 che è Mystic River. E in effetti il capolavoro di zio Clint ha segnato un'epoca divenendo pura scuola. Villeneuve dimostra di aver imparato la lezione ma non si limita a riproporla pedissequamente. Poi c'è Zodiac, forse il lavoro migliore e più personale di David Fincher, che ha ridefinito le dinamiche investigative della detective story americana più di quanto fece Seven nel 1995. Per non parlare del cinema coreano e della sua poetica della violenza. 
[Recensione] Prisoners (di Denis Villeneuve, 2013)
C'è quindi memoria storica in questo lungometraggio veramente lungo, c'è la sceneggiatura di Aaron Guzikowski che nonostante qualche piccola forzatura funziona alla grande, permettendo allo spettatore di farsi una propria idea e giungere alle proprie conclusioni prima del colpo di scena finale. C'è un labirinto in cui è difficile districarsi ma che conduce comunque alla soluzione dell'enigma. E poi ci sono i personaggi, troppo spesso semplici pedine ma che qui prendono vita. E' vivo il detective Lockee, con i suoi occhi preda dei tic, i suoi tatuaggi che raccontano una storia e la sua camicia abbottonata fino al collo. E' vivo Keller Dover con la sua ansia di controllo, la sua follia e il suo dolore. 
In questo film funziona tutto. Funzionano gli attori: il sempre più bravo Jake Gyllenhaal, la conferma Hugh Jackman, Terrence Howard, una svilita Maria BelloViola Davis, Melissa Leo (bravissima) e Paul Dano, uno dei migliori attori della sua generazione. Funziona la fotografia di Roger Deakins, che trasforma le ansie e le rende palpabili e dolorose. Funziona il finale cupo e lasciato lì, in sospeso, come non ci fosse davvero una soluzione. Come non ci fosse un domani. E la violenza rimane lì, la vita flebile come il suono di un fischietto. La speranza a cui aggrapparsi, l'unico modo per non morire (dentro). C'è tutto questo in Prisoners. Non solo il semplice intrattenimento. Quando c'è tutto questo, c'è grande cinema. Questo film è cinema vero. Quello che mi manca così tanto, quello che sono sempre così felice di riscoprire. 
[Recensione] Prisoners (di Denis Villeneuve, 2013)

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