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Recensione: “Raccontami di un giorno perfetto”, Jennifer Niven.

Creato il 20 aprile 2015 da Chiara

Difficile essere obiettivi, con questa recensione. Dopo aver avuto modo di incontrare l’autrice, il mio nuovo essere umano preferito, e aver conosciuto una parte di quello che si cela dietro le pagine e l’inchiostro, ammetto di essere accecata dal mio amore per lei, per le storie – la sua e quella che racconta, così strettamente intrecciate che mi è impossibile parlare di una senza citare l’altra – e per i suoi personaggi. Il lato positivo? Raccontami di un giorno perfetto è un libro troppo bello e troppo ben riuscito per poter meritare meno del massimo, quindi sapete cosa? Va bene così. La mia sarà una dichiarazione d’amore spassionato più che una recensione, una lettera imbevuta di commozione, tristezza, felicità, sgomento e speranza. Siete pronti? Io decisamente no, quindi fatemi coraggio e statemi vicini.

Recensione: “Raccontami di un giorno perfetto”, Jennifer Niven.
Titolo: Raccontami di un giorno perfetto Titolo originale: All the bright places Autore: Jennifer Niven Editore: DeAgostini Pagine: 418 Anno: 2015

È una gelida mattina d’inverno quella in cui Theodore Finch decide di salire sul tetto della scuola solo per capire che cosa si prova a guardare di sotto. L’ultima cosa che si aspetta però è di trovare qualcun altro lassù, in bilico sul cornicione. Men che meno Violet Markey, una delle ragazze più popolari del liceo. Eppure Finch e Violet si somigliano più di quanto possano immaginare. Sono due animi fragili: lui lotta da anni con la depressione, lei ha visto morire la sorella in un terribile incidente d’auto. È in quel preciso istante che i due ragazzi iniziano a provare la vertigine che li legherà nei mesi successivi. Una vertigine che per lei potrebbe essere un nuovo inizio, e per lui l’inizio della fine…

Recensione: “Raccontami di un giorno perfetto”, Jennifer Niven.

I sopravvissuti sono una categoria di esseri umani che portano sulle spalle fardelli inimmaginabili di dolore, cordoglio, paure e shock. Eppure, a vederli da fuori, sono esattamente come tutti noi. Respirano, amano, piangono e vivono esattamente come tutti noi, custodendo a fondo nei loro cuori un segreto fatto di ricordi, perdite e mancanze. Jennifer Niven è una sopravvissuta, esattamente come Violet che affronta il mondo spogliata della presenza confortante, chiassosa, esuberante della propria sorella, morta in un incidente d’auto che ha visto la sorte giocare con due vite giovani, scegliendo di salvarne una e sacrificarne un’altra. Finch è anche un sopravvissuto, a modo suo: si è appena risvegliato dal Grande Sonno, un buco nero in cui è precipitato senza sapere cosa fare per evitarlo e che adesso non vuole più affrontare, a costo di non dormire più e consumare la sua stupefacente energie bruciando nelle notti più buie. Quando Violet e Finch s’incontrano, lo fanno un po’ come due meteoriti lanciati a tutta velocità nello spazio, le cui orbite sono tragicamente destinate ad incrociarsi e dar vita ad un Big Bang di emozioni, sentimenti e legami che nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginare, standosene in piedi sul tetto del loro liceo, fantasticando su cosa avrebbe potuto voler dire allungare il passo fatale verso la caduta. La loro è una corsa folle che procede in direzioni inaspettate, percorrendo i chilometri che separano le tappe di un compito assegnato a scuola verso un futuro che non è chiaro fino a quando non è troppo tardi per tornare indietro, un futuro che riempirà le loro esistenze trasformandole in vite, riempiendo ore, poi giornate, poi settimane di colori irruenti, al limite del violento, così intensi da far male agli occhi. E al tempo stesso così belli che distogliere lo sguardo si rivelerà impossibile – tanto per noi lettori, quanto per loro.

Perché la vita non può essere così? Solo le parti piacevoli, niente parti terribili o anche soltanto sgradevoli. Perché non possiamo allontanare le cose brutte e tenere solo quelle belle? È quello che voglio fare con Violet: darle solo il bello e tenere fuori il brutto. Voglio che siano solo cose belle a circondarci.

Violet e Finch sono personaggi che vorrei fossero di carne, invece che di carta. Li vorrei nelle mie vita, tutto il giorno tutti i giorni, per godere della loro presenza così come si gode di un raggio di sole sul volto – in maniera silenziosa, per sentirne poi la mancanza durante la notte conservando la consapevolezza che solo poche ore devono scivolare via prima del prossimo incontro. Lei è come il suo nome, un fiore dalla bellezza delicata. Eppure, dietro i suoi grandi occhi grigi e le linee minute – eleganti – da ballerina, cela una voragine di dolore da cui si lascia tentare, esplosa nel suo cuore la notte in cui ha perso la sorella. Come si convive, con un dolore così, ancora non lo sa. Si trascina, spettro di quel che era e pallida proiezione di quel che potrebbe essere, dimenticando i suoi colori per poi riscoprirli attraverso lo sguardo azzurrissimo di Finch che le insegna, a modo suo, come respirare non voglia dire necessariamente saper riconoscere i profumi nell’aria. Violet legge tanto, perché nelle parole altrui riesce a non sentire la mancanza di quelle che ha perso e che non può/vuole più scrivere. Violet si nasconde dietro le circostante attenuanti, boicotta la propria felicità perché sopraffatta dal senso di colpa, non sale più in macchina, va solo dove può arrivare a piedi o in bicicletta, ogni sera traccia una grande x nera su un calendario aspettando il momento in cui potrà andarsene via e ricominciare da capo, senza rendersi conto di come questo sia impossibile. Lei è fragile, ma con una tempra di ferro e il sole dentro, oscurato dalla tempesta che si rifiuta di ammettere stia infuriando nel suo animo. Ma Violet, senza nulla togliere alle sue complessità, è ben poca cosa se messa a confronto con Finch. Perché Finch è sempre in movimento, incapace di stare fermo, vittima dei capricci di una Luna che influenza le sue maree senza mai farsi vedere, una Luna temuta, che lo spinge a rifuggire il sonno e i sogni, la stasi, la quiete. In perenne cerca di se stesso, non ha la pazienza di aspettare che gli anni trascorrano e i suoi passi imbocchino il suo sentiero con pazienza: sceglie da sé, inventandosi ogni giorno, costruendosi un pezzettino alla volta, ricomponendosi con la fantasia disincantata di un bambino che non è mai cresciuto e che continua a lottare contro i mostri senza nome nascosti sotto il suo letto. Abbandonato da una madre che preferisce ignorare i suoi figli per non accettarne i difetti, abbandonato da un padre che ha preferito far del male ai suoi figli per non accettare i proprio limiti e il proprio disturbo, Finch è un’esplosione violenta, una macchia di colore che si compone di parole mai banali e mai scontate. È il ragazzo di cui qualsiasi ragazza si innamorerebbe e al tempo stesso è il ragazzo strano, quello emarginato un po’ da tutti perché troppo diverso per incastrarsi nei meccanismo della socialità di un liceo. Finch vive un mondo che è solo suo, un mondo che si trascina nella fuga perenne dal Grande Sonno, un mondo che ignora le etichette ed è irrimediabilmente attratto dalla morte con cui gioca a rimpiattino, sfidandola costantemente e contro ogni buon senso. Le sue insicurezze sono così ben mascherate dai volti delle versioni di sé che persino lui se ne dimentica, a volte, salvo poi ricordarsi della loro esistenza quando sono troppo grandi per poter essere infilate sotto il tappeto e le energie, per affrontarle, sono già state consumate dal suo incessante tentativo di brillare sempre più.

«Avanti, tira fuori tutto quello che ti tieni dentro. Sei incazzata con me, con i tuoi genitori, con la vita, con Eleanor. Forza, tiralo fuori. Non trattenerti, non nasconderti lì dentro». Intendo dentro se stessa, dove non potrò mai raggiungerla. «Fanculo, Finch.» «Meglio. Continua. Non fermarti. Non essere una che resta in attesa. Sei viva. Sei sopravvissuta a un terribile incidente. Ma sei semplicemente… rimasta. Continui a esistere, come tutti. Ti alzi la mattina, fai questo, fai quello. Insapona. Risciacqua. Ripeti. Sempre gli stessi gesti, come un automa.»  Continua a tirarmi degli spintoni. «Smettila di comportarti come se sapessi cosa provo!» Mi tempesta il petto di pugni, io resto lì fermo a incassare. «So che c’è dell’altro, anni di stronzate magari, di sorrisi che hai continuato a fare e di cose che hai tenuto dentro.» Violet continua a percuotermi, poi affonda la faccia tra le mani. «Non puoi capire. È come se dentro di me ci fosse una creatura incazzata che scalpita per uscire. Sono anni che mi cresce dentro e ormai occupa tutto lo spazio, mi preme sui polmoni, sul petto, sulla gola. Io faccio di tutto per ricacciarla indietro. Non voglio farla uscire. Non posso farla uscire.» «Perché no?» «Perché la odio. Perché non sono io, ma è dentro di me e non vuole lasciarmi in pace. E io ho una gran voglia di avvicinarmi al primo che incontro per strada e spaccargli la faccia. Sono così arrabbiata con tutti!» «Allora non dirlo e basta. Spacca qualcosa. Fallo a pezzi. Gettalo via. Oppure mettiti a urlare. Non tenerti tutto dentro.»

Raccontami di un giorno perfetto è la storia di un ragazzo di nome Finch e di una ragazza di nome Violet. Questo è da tenere a mente, perché questo è quello che il libro è. Che poi sia anche la storia di un ragazzo che soffre di disturbo bipolare, con una terrificante e triste in maniera desolante propensione alla morte, non si può negare, ma lo è nella misura in cui è la storia di Finch e Violet. Sono loro a narrarcela, con gli sguardi disincantati di chi non ha vissuto una vita facile e ha dovuto affrontare più dolore di quanto si possa tollerare a sedici anni, e sono loro i protagonisti. Non è un saggio sull’essere bipolari, non è una guida su come sopravvivere alla morte di una persona cara – è un romanzo, il racconto di una vicissitudine che inquadra e fotografa una serie di attimi rubati a due adolescenti che s’incontrano, scontrano e innamorano. Il web sta iniziando a riempirsi di recensioni negative che denunciano una scrittura superficiale, una trattazione troppo leggera di tematiche importanti e a me, in tutta onestà, si rizzano i capelli in testa al pensiero di quanto questo Young Adult venga travisato in nome di una stupida moda che porta molti blogger a fingersi intellettuali de noantri. Si tende a dimenticare che i romanzi raccontano storie, si tende a dimenticare che questo specifico tipo di romanzi si rivolge ad una fascia di lettori giovani e che come tutti i generi ha delle caratteristiche ben precise, necessarie per altro a rientrare nella categoria d’appartenenza. Se avessi voluto leggere un trattato scientifico sul disturbo o sulla perdita, mi sarei rivolta altrove ed è quello che invito a calorosamente a fare tutti coloro che hanno totalmente frainteso la natura del lavoro della Niven – specie alla luce dell’ispirazione autobiografica. Perché sì, per quanto Violet non sia Jennifer, Jennifer ha vissuto quello che Violet vive nelle pagine del libro e tanto mi basta per apprezzare non solo il coraggio, ma anche il talento di un’autrice che ha messo in gioco una parte di sé e ha saputo rendere perfettamente una situazione delicatissima, senza mai scadere nel banale o nello stucchevole. E perdonatemi se vi costringo a cuccarvi questa polemica esplosa dal nulla il giorno di Pasquetta, ma il sassolino dovevo proprio levarmelo dalla scarpa per poter riprendere a camminare decentemente.

Lei è ossigeno, carbonio, idrogeno, azoto, calcio e fosforo. Gli elementi di cui tutti siamo fatti, ma non posso fare a meno di pensare che lei è più di questo, e che ci sono altri elementi sconosciuti in lei, che la rendono una creatura diversa. Provo un brivido di panico mentre penso: E se uno di quegli elementi si guastasse o smettesse di funzionare di colpo? Mi sforzo di allontanare questo pensiero per concentrarmi sulla sua pelle, finché smetto di vedere molecole e vedo Violet. Mentre il disco continua a suonare, sento nascermi in testa una nuova canzone: Tu mi insegni ad amarti. Questo verso continua a ronzarmi in testa, mentre ci sdraiamo sul letto. Tu mi insegni ad amarti. Tu mi insegni ad amarti. Tu mi insegni ad amarti. Vorrei alzarmi, scriverla su un pezzo di carta e attaccarlo al muro. Ma non lo faccio.

Non lo nego, è un libro stronzo. Ti entra dentro con la facilità di un respiro, s’incastra dove si è più esposti e fragili e lì rimane, facendo male – tanto male – nel mentre che si trasforma in qualcosa di meraviglioso di cui vale la pena custodire il ricordo. Si piange, si ride, ci si innamora e si soffre. La mancanza che sperimenta Violet è la nostra, l’inquietudine di Finch è la nostra e nel momento in cui inizia la fase in discesa verso un abisso di desolazione, noi siamo con lui sulle montagne russe, precipitiamo con lui e con Violet che gli tende le mani senza comprendere del tutto quello che sta succedendo, comportandosi esattamente come si comporterebbe una persona che non sa. Questo è il punto dell’intero romanzo. È costruito in modo tale da mettere in piedi due prospettive ignoranti, nel senso che né Finch né Violet hanno un’idea chiara di quello che sta succedendo. Finch qualcosa lo immagina, suo padre soffre dello stesso disturbo, ma da un lato non vuole dare un’etichetta a quanto gli accade e dall’altro ha paura di farlo, perché chiamare le cose con il proprio nome le rende spaventosamente reali e patologie di questo tipo sono tutt’ora un tabù che porta all’emarginazione. C’è tanta ignoranza sulla questione, tanti pregiudizi che non aiutano e sono profondamente convinta che lo scopo della Niven fosse mettere in luce proprio questa cosa e far capire che non si deve aver paura di parlare. Non c’è niente di male nell’aver bisogno di un sostegno, non c’è niente di sbagliato in una persona che vive un disagio quotidiano come Finch – e se Finch avesse vissuto in un mondo dove si può parlare di queste cose, se fosse cresciuto in un mondo dove non si ignorano i campanelli d’allarme ma si corre ai ripari, se la sua famiglia non fosse stata più preoccupata di quello che la gente avrebbe potuto dire che non di lui, allora forse il suo percorso sarebbe stato diverso. Per quel che mi riguarda, questo romanzo dovrebbe esser letto non solo dai ragazzi, ma anche dai loro genitori, perché non c’è niente come una sferzata di cruda realtà per far aprire gli occhi. Ho amato ogni singola pagina, ogni singola parola, ogni singolo istante di questo libro. Ho amato Finch, ho amato Violet, ho amato Finch e Violet. E quando si ama così tanto qualcosa – o qualcuno – doverne fare a meno è una sofferenza insopportabile. Mi mancano, mentre ve ne parlo, e mi mancheranno sempre. Non mi consola neppure il pensiero che posso ritrovarli tutte le volte che voglio, semplicemente aprendo le pagine stampate di un libro, respirandoli una volta ancora. Ditemi voi se non è questo da solo un motivo sufficiente per leggere questo libro.

Non smetterò mai di ringraziare la DeAgostini per avermi permesso non solo di leggere il romanzo in anteprima, ma anche di incontrare l’autrice e di poter parlare con lei.

Recensione: “Raccontami di un giorno perfetto”, Jennifer Niven.

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