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Recensione: SOPRAVVISSUTO – THE MARTIAN di Ridley Scott. La fantascienza torna all’umano

Creato il 05 ottobre 2015 da Luigilocatelli

martian-gallery3-gallery-imagemartian-gallery14-gallery-imageSopravvissuto – The Martian, un film di Ridley Scott. Sceneggiatura di Drew Goddard dal libro di Andy Weir. Con Matt Damon, Jessica Chastain, Jeff Daniels, Kristen Wiig, Sean Bean, Kate Mara, Chiwetel Ejiofor, Donald Glover.
martian-gallery5-gallery-imageUn film che ti inchioda alla poltrona, e non è che capiti così spesso al cinema. Una storia semplice e insieme irresistibile. Una storia basica, archetipica, quella di un uomo in lotta per non soccombere in un ambiente ostile. Solo che stavolta siamo su Marte. Il povero Mark, abbandonato sul pianeta dopo una tempesta di sabbia, cerca di sopravvivere usando il suo know-how di botanico e scienziato. Intanto laggiù sulla terra la Nasa si dà da fare per riportarlo a casa. Cinema puro. Da vedere. Voto 8
martian-gallery17-gallery-imageSe mi capita ancora di leggero e/o sentire che The Martian è ‘il film più nerd dell’anno’, quello che segna il trionfo in 3D della nerd culture, do fuoco alle polveri e faccio saltare tutta la blogosfera. Almeno i signori e signorini della cinecritica perlopiù digitale che la menano con questa storia abbiano la buona creanza di citare la fonte senza spacciare la cosa come originale. Anzi, le fonti, perché – basta fare un giro facile sulla rete dopo aver debitamente googlato le parole chiave – per rendersi conto che questa strombazzatissima faccenda di The Martian quale film nerd l’avevano già scritta in molti, ovviamente in America, dal NYT a IndieWire. E perché poi nerd? Perché tale sarebbe il protagonista Mark Watney, con la sua somma arte di arrangiarsi, con la sua abilità di bricoleur di mettere a frutto le proprie conoscenze tecno-scientifiche per sopravvivere lassù su Marte, dove i compagni suoi l’hanno abbandonato dopo una tempesta di sabbia credendolo disperso, anzi proprio morto. E però noi qua in Italia, che resta pur sempre alla periferia estrema dell’impero english-speaking, a nerd abbiam dato perlopiù la declinazione semantica di secchione sfigatissimo con spessi occhiali che, nell’incapacità o impossibilità  di incanalare la sua libido verso le ragazze e altri piaceri, la riversa tutta sulle sue passioni tecnologiche, soprattutto informatiche (e anche verso il junk food produttore di brufoli e chili in più). Ora, vi pare che il Matt Damon di The Martian possa considerarsi un nerd di questo tipo? Lui che pure quando coltiva con la propria cacca le piantine di patate resta coolissimo e fichissimo, con tanto di pettorali e addominali rigogliosi che la regia ovviamente non perde occasione di mostrare. Già che ci siamo, sbarazziamoci subito si altre due ovvietà che hanno accompagnato l’uscita del film: 1) che sia il primo decente di Ridley Scott da molto tempo in qua. Falso: Prometheus era visualmente magnifico e incantatorio, e The Counselor un grande noir sui signori della morte dei cartelli messicani, parecchio anticipatorio del Sicario di Denis Villeneuve in questi giorni sui nostri schermi; 2) che The Martian sia il risultato, solo l’ultima tappa, della incredibile success story di un tizio di nome Andy Weir che, lui sì nerd appassionatissimo di fisica e altre scienze complicate e applicate, ha scritto il romanzo pubblicandolo (free) online a capitoli, poi visto l’interesse suscitato se l’è autopubblicato scoprendo di guadagnare posizioni su posizioni nella classifica di Amazon. Finché poi è arrivato un editore cartaceo a mettere il suo marchio sul caso. Tutto vero e molto bello. Peccato che adesso tutti gli autopubblicati si convinceranno di essere dei potenziali bestselleristi e geni incompresi in attesa di comprensione. Effetto collaterale e assai nocivo del caso Weir. Che poi ho l’impressione che il bellissimo film di Ridley Scott il successo lo debba in gran parte alla notevole sceneggiatura di Drew Goddard più che alla storia originale digital-cartacea (ma è solo un’impressione, non avendo letto il libro). Dopo questa lunga, anche troppo, premessa arrivo al film. Che è davvero buono. Cinema-cinema. Cinema che torna a essere l’arma più nobile e efficace dell’intrattenimento di massa. Cinema dove l’uso degli effetti speciali è contingentato e dove grazie a Dio il rosso pianeta Marte è stato ricreato con le sabbie e le rocce del deserto della Giordania, mica con le solite fintissime stregonerie in digitale. Dove ti viene raccontata una storia semplice e insieme irresistibile, qualcosa che ti sembra venire dal profondo della tradizione orale, una storia da cantastorie, quella di un uomo abbandonato in una landa ostile e desolata che, nonostante tutto, ce la farà a sopravvivere e tornare a casa. Avete in mente Ulisse? Una storia primaria, archetipica, che qua viene riconfezionata secondo i canoni dello sci-fi, ma che mantiene tutta la sua capacità di avvincerci. Il merito di The Martian è soprattutto questo, di essere un mirabile esempio di storytelling che usa e mescola abilmente elementi basici ed eterni. Due ore e ventun minuti che passano senza che ci si metta mai a sbuffare invocando la fine. Ridley Scott ci mette parecchio di suo, la sua riconosciuta capacità di governare complesse macchine cinematofrafiche spettacolar-produttive e di inventarsi meravigliose immagini, quella visualità potente, densa e abbagliante che l’ha distinto fin dagli esordi dei Duellanti, e si pensi solo a come filma la tempesta di sabbia che investe a inizio film la spedizione. Quella tenmpesta che taglia fuori il povero Mark dai compagni della crew capitanata da Jessica Chastain, la quale riesce a imprimere il segno su The Martian nonostante non abbia proprio uno spazio da protagonista, ulteriore conferma della sua forza di attrice (la vedremo tra poco anche nel notevolissimo gothic Crimson Peak di Guillermo Del Toro). Comincia per il sopravvissuto Mark la lotta in solitaria per tirare avanti. Siamo all’incrocio di plurimi modelli narrativi, quello di Robinson Crusoe in pimis, in secundis quello del left behind, dell’uomo lasciato indietro in territorio ostile (uno dei più recenti esempi è il film britannico ’71), rivisti e abilmente riverniciati in chiave di sci-fi avveniristica ma non troppo. Essendo americano, il signor Mark Watney ha una fiducia illimitata nelle risorse dell’individuo e nelle proprie risorse, e una visione saldamente ottimistica e fattiva, per cui eccolo impegnarsi subitotrasformandosi grazie al suo know-how in geniale bricoleur con l’obiettivo di sopravvivere. Ecco che la stazione spaziale distrutta dalla tomenta vien riaggiustata quel che tanto che gli basta, ecco che – ed è la gran trovata del film, quella per cui credo we un po’ tempo ricordato dalle masse negli anni a venire – con la sua merda e quella lasciata daio suoi compagni fertlizza la sabbia di Marte per far crescere le patate che potranno sfamarlo per un po’. Quanto all’acqua, se la fabbrica facendo reagire idrogeno e ossigeno ricavati da non so quali materiali (certo, se la Nasa gli avesse detto quanto rivelato giusto la settimana scorsa, vale a dire che su Marte ci sarebbe l’acqua, il ragazzo si sarebbe risparmiata la fatica). Questa parte, che a leggerla sembra noiosissima, risulta invece iappassionantissima per lo spettatore, anche per il meno interessato alle cose botanico-scientifiche. E intanto si aggiungono altre tracce narrative a quella dell’inesausto e ingegnoso fai-da-te di Mark: la Nasa, che avendo scoperto come lui sia vivo mette a punto un piano per salvarlo, e i giorni sulla nave spaziale in cui i compagni, tutti rosi dal senso di colpa per averlo abbandonato, stan tornando sulla terra. L’odissea verso la salvezza di Mark si snoderà in più tappe, dovendo naturalmente fare i conti con un bel po’ di ostacoli e imprevisti, e con difficoltà inaudita. Si tratta, molto americanamente (questo è un film profondamente patriottico ma senza iattanza, pieno di orgoglio a stellestrisce ma non smargiasso), di ‘portare a casa il nostro ragazzo’, e anche questo è un modello narrativo ampiamente collaudato che The Martian abilmente riusa e ricicla. Finisce come deve finire, con pure un coinvolgimento della Cina giusto per tenersi buono da parte delle produzioni quell’enorme mercatosempre più stategico per i colossi di Hollywood (basti l’esempio recente di Terminator Genesys che, mezzo flop in Occidente, in Cina ha realizzato incassi strabilianti trasormandolo in un affare per i finanziatori). Certo vien da chiedersi se senza l’enorme impatto due anni di Gravity di Alfonso Cuaron – 723 milioni di dollari worldwide! – avremmo avuto questo film di Ridley Scott. In fondo si tratta di un plot molto simile, quello di un’asronauta disperso nello spazio che cerca di rientrare sulla terra. The Martian, esattamente come l’apripista Gravity, si colloca nel solco della fantascienza assai umana, quella che privilegia le storie minime di uomini e donne alle visioni cosmiche, alle grandi indagini sull’universo, quella che sta al livello dei corpi e delle anime dei suoi protagonisti piuttosto che navigare negli spazi profondi in cerca del Senso della Vita. The Martian riduce l’immensità del cosmo alla dimensione nostra, secondo un percorso narrativo (e anche teorico) che è l’esatto opposto di film come il kubrickiano 2001:Odissea nello spazio e Interstellar di Christopher Nolan. Dove ci si misura con l’Infinito e  forse con lo stesso Dio, dove ci si pongono Grandi Domande e ci si danno pure delle risposte. Che è un’altra fantascienza.


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